Recensione The Child's Eye 3D (2010)

Gli inossidabili fratelli Pang decidono ancora una volta di rimettere mano all'infinita saga di 'The Eye' per dare vita al primo horror asiatico tridimensionale con risultati tuttavia deludenti soprattutto dal punto di vista narrativo.

Tra profondità di visione e piattezza di racconto

Il genere horror è stato sinora uno dei terreni più fertili in cui si è cominciata a sperimentare la pratica del cinema stereoscopico, anche se, a dire la verità, fino adesso si sono stentati a raggiungere risultati significativi sul piano espressivo. Gli effetti tridimensionali, infatti, in titoli come San Valentino di sangue in 3D o The Final Destination 3D vengono impiegati soltanto per ricreare effetti ottici di tipo puramente percettivo, volti soprattutto a includere lo spettatore all'interno dell'universo di finzione e a proiettarlo all'interno dello schermo. In molti casi, tuttavia, il gioco tridimensionale si limita a trucchi ad effetto quasi di tipo circense, del tutto svincolati dalla dimensione narrativa del film. Da questo punto di vista anche The Child's Eye 3d, primo horror tridimensionale asiatico, non fa purtroppo eccezione.

Gli inossidabili fratelli Pang decidono ancora una volta di rimettere mano all'infinita saga di The Eye (che al suo attivo può già contare una trilogia, un remake americano girato dagli stessi registi e persino una versione in chiave parodica) per elaborare un soggetto che potesse essere funzionale a una rappresentazione in 3D, pur attingendo al contempo alla consueta iconografia dell'orrore asiatica. Il problema più grosso è che i registi e sceneggiatori Oxide Pang Chun e Danny Pang, forse tra i realizzatori hongkonghesi più innovativi e capaci sul piano squisitamente tecnico, si focalizzano esclusivamente sull'ambientazione scenografica, tralasciando del tutto di concentrarsi su uno sviluppo del plot che sia quantomeno coerente e, perlomeno, raziocinante.

L'intera storia si svolge, infatti, in un hotel tailandese in cui sei ragazzi di Hong Kong in vacanza finiscono per rifugiarsi dopo l'esplosione dei tumulti rivoluzionari contro il regime di Bangkok. L'albergo nasconde, naturalmente, (come il cinema horror asiatico insegna) una maledizione che grava sui proprietari originari e che dà adito a bizzarre manifestazioni spiritiche. Man mano che l'intreccio si dipana, cominciano a essere rivelati particolari sempre più grotteschi e improbabili, fino al sopraggiungere di una rivelazione che lascia quantomeno interdetti. Va da sé che il contesto politico che incornicia la vicenda viene ben presto dimenticato dai registi (i quali, comunque, non hanno mai dimostrato di essere interessati a istanze politiche nel loro cinema), mentre piuttosto emergono alcuni temi che avevano contrassegnato la precedente trilogia (come l'orrore legato alla nascita), con annesse citazioni e strizzatine d'occhio autoreferenziali.

Effetti pacchiani a parte (tra cui un bacarozzo in _computer graphic _ che attraversa lo schermo) bisogna comunque dire che, nonostante le limitazione tecniche, la regia dei Pang riesce spesso a lavorare sulla resa tridimensionale dello spazio, immergendo lo spettatore nei claustrofobici meandri dell'hotel tramite alcune sequenze girate in soggettiva. Ma si tratta di ben poca cosa rispetto alla mancanza di profondità del racconto...