Tra fuga e resistenza
Siamo al confine tra Mongolia e Cina, in un piccolo villaggio situato in una zona desertica. Dopo anni di sforzi e sacrifici, la gente del luogo sta ormai lasciando il villaggio per l'incombente avanzata del deserto, che sta rendendo la zona inospitale.
Hungai, però, non si arrende e continua a piantare alberi nel vano tentativo di fermare l'avanzata del deserto e resta nella sua abitazione anche quando persino la moglie si trasferisce in città per risolvere i problemi di salute della figlioletta.
Un giorno si presentano alla sua porta due rifugiati coreani, Choi SonHee con il figlio ChangHo, e i tre sono costretti a conoscersi e convivere pur non parlando la stessa lingua, cercando di superare i problemi di comunicazione.
Sono i tre personaggi il cuore di Desert Dream, ed il contrasto tra Hungai, che sceglie di restare quando tutti gli altri sono ormai andati via, e i due Coreani che invece hanno fatto la scelta opposta e sono in fuga.
Il regista cinese Zhang Lu lavora molto sugli spazi del deserto mongolo, mettendo in risalto la desolazione dei personaggi al suo interno.
Questi ultimi sono spesso persi nell'inquadratura e la camera li segue con lenta partecipazione, non ponendoli quasi mai al centro della narrazione.
La vastità del deserto è resa ancora più opprimente dalla quasi totale assenza di un accompagnamento musicale e il senso di solitudine è accresciuto anche dalla difficoltà di comunicazione tra Hungai e i suoi ospiti coreani.
Ma non c'è partecipazione da parte dello spettatore nei loro confronti, quanto piuttosto un freddo distacco dovuto ai tempi del film e all'eccessiva ricerca visiva: troppo lento per poter coinvolgere e forse troppo dilatato e lungo per la storia che racconta, il film di Zhang Lu non favorisce l'empatia e non suggerisce domande ed approfondimenti.
Anche la critica sociale sulla situazione nord-coreana contemporanea appare solo superficiale e forse solo marginalmente legata al fulcro del film per poter colpire.
In definitiva Desert Dream è un film non brutto, ma inutilmente lento e poco sicuro del messaggio che vuole trasmettere, di cui probabilmente ci si dimenticherà velocemente.
Movieplayer.it
3.0/5