Tobe Hooper: ricordando il padre dello slasher horror

Tobe Hooper avrebbe compiuto gli anni il 25 gennaio: ricordiamo qual è stato il peso del suo cinema e la rilevanza che le sue opere hanno, ancora oggi, nel genere horror.

Tobe Hooper: ricordando il padre dello slasher horror

La ricezione dei film di Tobe Hooper segue tutto sommato lo schema comune ai suoi colleghi che hanno esordito in pieno clima di contestazione: come John Carpenter (la cui prima opera è Dark Star, realizzata nel 1974), come George Romero (La notte dei morti viventi, 1968), come Sean Cunningham (con il film erotico Together a segnarne l'esordio dieci anni prima dell'horror Venerdì 13), come Dario Argento (L'uccello dalle piume di cristallo, 1970), Tobe Hooper ha pagato lo scotto dell'essere un autore horror negli anni settanta. E lo ha pagato con un'intensità maggiore rispetto agli altri, dato il divario che separa la rilevanza universalmente riconosciuta oggi a Non aprite quella porta (1974) da quella che viene attribuita al resto della sua filmografia, senza grosse differenze fra un film e l'altro. È un quadro noto ed è sintomatico, su larga scala, della reputazione e del credito del genere horror tutto.

Tobe Hooper
Tobe Hooper in una foto

Nel pubblico di accoliti dei film dell'orrore nessuno oserebbe mettere in discussione la singolarità e il prestigio dello sguardo di Tobe Hooper (o quello di Romero, o di Stuart Gordon, o di altri), ma si tratta di una riconoscenza spesso limitata e confinata nel tempo. Con la sola eccezione di Wes Craven, che grazie a Kevin Williamson e al successo della saga di Scream è riuscito a riqualificare il suo nome (con una carriera che fino ad allora non ne aveva certo bisogno), tutti i "maestri del brivido" sono maestri fino a che non smettono di esserlo.

E il momento in cui smettono di esserlo, in cui "non hanno più nulla da dire", sarebbe il momento in cui l'esperienza e la maturità artistica li portano verso l'esplorazione di nuovi lidi, di nuovi modi di fare cinema (pur sempre horror) e di aggiornare il proprio sguardo sulla materia degli incubi. Un destino che, a giudicare le fortunate traiettorie dei maestri non-horror della stessa generazione, sembra riservato esclusivamente a quelli che si sono occupati di solleticare la paura e gli impulsi più spregevoli degli spettatori.

Tobe Hooper: incompreso da critica e pubblico

Per comprendere quanto il percorso di Tobe Hooper, in particolare, faccia da modello per questa tendenza basti osservare l'andamento della sua carriera nei principali aggregatori dei voti di critica e pubblico sui suoi film: su Rotten Tomatoes e su Metacritic si può notare lo stesso dislivello di valutazione fra le opere anni settanta o primi anni ottanta e quelle più recenti con un apprezzamento (comunque discontinuo) per ciò che c'è stato fra Non aprite quella porta e Poltergeist (1982), film che si vocifera sia stato realizzato in gran parte dalla mano del produttore e sceneggiatore-soggettista Steven Spielberg (autore non horror, appunto).

Non aprite quella porta: l'orrore unico nel capolavoro intramontabile di Tobe Hooper

Non Aprite Quella Porta Tobe Hooper Poster Esclusiva
Non aprite quella porta: una scena del film

Il pubblico è addirittura più severo della critica, perché abbassa l'indice di apprezzamento anche su queste due grandi opere ed è decisamente più drastico nel valutare tutte le altre. Un vero peccato, considerando che la visione autoriale di Tobe Hooper è forse quella che, più delle altre sovracitate, nel modo più autentico possibile, riporta il concetto di perturbante al suo senso più puro, restituendo all'orrore la sua innata capacità di raffigurare il famigliare che degenera e viene corrotto a tal punto da diventare totalmente estraneo e misconosciuto.

Il film della controcultura: Eggshells

Basterebbe una sommaria analisi di Eggshells, entusiastica e iper-sperimentale opera prima del giovane regista, per rendersene conto: fuori da ogni canone e da ogni genere, Eggshells si serve di una trama "da horror" per farsi manifesto dalla cultura hippie. A differenza di tutti gli altri autori horror del post-sessantotto, inclini a trovare la propria libertà espressiva nell'affermazione della sregolatezza e dell'assenza di regole (basti considerare il satirico Hollywood Boulevard e The Movie Orgy, film-montage di Joe Dante, o l'ironia anarchica di Carpenter in Dark Star), Tobe Hooper professa la stessa emancipazione incanalandola nei valori della controcultura ma proiettandola nelle allucinazioni stesse che fanno da scheletro del film, anziché studiandola dall'esterno.

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Eggshells
Eggshells: una scena del film

Tramite le visioni dei personaggi Hooper costruisce la struttura stessa di Eggshells, che quindi è un film della, e non sulla, controcultura giovanile. Poco dopo lo stesso autore propone una riflessione ugualmente intemperante, ma stavolta disillusa, sul destino di quegli stessi ideali che ormai, superata la soglia del 1970, cominciavano a subire continue rimasticazioni fino ad affievolirsi gradualmente. Nel 1974, infatti, Non aprite quella porta cambia il genere con un impeto senza precedenti arrivando a plasmare la forma attuale dello slasher e ponendosi come nuovo punto d'inizio da cui ripartire per legittimare l'horror come genere cinematografico indipendente.

Il game-changer: Non aprite quella porta

Negli anni settanta il cinema di genere ragionava sulla società contemporanea attraverso i mondi distopici che venivano partoriti dalla fantascienza, trattando del presente con raffigurazioni di universi possibili, alternativi o ucronici. Non aprite quella porta compie un'operazione inversa, inserendo le più classiche figure orrorifico-fantastiche in un contesto iperrealistico che potesse rappresentare la realtà, o parte di essa. Il mostro è un uomo mascherato che brandisce una motosega (che non è neppure il peggior villain), il castello maledetto è una vetusta casa ornata di resti umani e la donna in pericolo è una casta adolescente in fuga disperata.

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Nonaprite
Una scena di Non aprite quella porta

I cannibali costituiscono un nucleo famigliare di stampo patriarcale, privo di elementi o membri femminili, in cui le nozioni di giusto e sbagliato cessano di esistere e di essere comprese o insegnate. Le azioni dei malvagi, anzi, sono dettate dall'incapacità di cambiamento e dalla totale insensibilità agli elementi esterni, che invece vengono consumati e divorati per assecondare l'istinto disumano della famiglia disfunzionale. Non aprite quella porta inaugura una nuova grande era dopo la crisi dei grandi mostri del folclore (lupi mannari, vampiri, mummie e demoni), ma l'aspetto cruciale del capolavoro di Hooper è il modo in cui la nuova forma del genere s'intreccia a un sottotesto socioculturale strutturato su tropi narrativi ispirati a Psycho e a Reazione a catena. Ciò che è disturbante non sono tanto le azioni della famiglia in sé o l'iconografia di Leatherface, destinata a fare scuola, quanto più l'agghiacciante predizione sul confronto generazionale fra gli adulti e i giovani della rivoluzione, e su quel nucleo famigliare che affermerà il proprio sistema di valori fagocitando tutti gli altri.

Quel Motel Vicino Alla Palude
Quel motel vicino alla palude: una scena del film

Nel '77 Quel motel vicino alla palude sovverte il senso di realismo per ritornare a una dimensione onirica, che s'innesta su un'architettura narrativa del tutto simile a quella del film precedente. Si tratta di un'opera imperfetta ma rara, riluttante nel fornire allo spettatore ciò che vorrebbe e nell'offrire, per esempio, personaggi con cui possa essere possibile empatizzare attivamente. Negata l'identificazione spettatoriale rimane un'atmosfera irrazionale, febbrile, difficile da descrivere ma più palpabile di ogni momento di violenza.

Gli anni ottanta: Poltergeist e il ritorno a Non aprite quella porta

I codici di Non aprite quella porta vengono ulteriormente aggiornati nella rilettura carnevalesca che ne fa Il tunnel dell'orrore (1981), mentre Poltergeist (1982) riflette sul ruolo della tecnologia nella vita dell'essere umano utilizzando il linguaggio dell'orrore sulla possessione demoniaca. La televisione, in particolare, diviene oggetto magico e maledetto in grado di rispecchiare il panico generalizzato del video e del suo potere di suggestione manipolatoria (anticipando The Ring, in cui però la televisione diviene una vera e propria fenditura su un'altra dimensione atemporale e assolutamente soggettiva).

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Non Aprite Quella Porta 2
Non aprite quella porta 2: una scena

Dopo Space Vampires e Invaders è Non aprite quella porta - Parte 2, nel 1986, a costituire forse la fase più significativa del percorso autoriale di Hooper dopo il primo capitolo. È difficile non ricondurre numerosi epigoni di Leatherface e di quell'universo narrativo (come, ad esempio, i film di Rob Zombie) al sequel di Non aprite quella porta, che trasferisce l'intreccio sommario del primo film nella cornice buffonesca presa in prestito da Il tunnel dell'orrore e lo amplifica a una tonalità farsesca, ironica, sproporzionata nelle misure e nelle interpretazioni (quella eccessiva di Dennis Hopper in primo luogo) e autoriflessivo in molteplici modi. La tendenza al franchise horror stava appena nascendo, ma Hooper ne rifiuta anarchicamente già le impostazioni tipiche.

Gli anni novanta: I figli del fuoco e The Mangler

I figli del fuoco apre il periodo meno celebrato di Tobe Hooper, ma figura come titolo fra quelli citati da Kiyoshi Kurosawa quando deve nominare i suoi film preferiti. Il perché è anche fin troppo evidenziato dalle somiglianze tematiche e concettuali del film di Hooper con Pulse (2001) o Cure (1997), in cui l'orrore è declinato al terrore del ritorno del passato e visceralmente connesso al dramma umano. La scoperta del protagonista (Sam, interpretato dal sempre eccellente Brad Dourif) non lo porta alla reazione attiva e consapevole, bensì alla disperazione e allo smarrimento nelle desolate lande del terrore, raffigurate scena dopo scena attraverso notevoli espedienti registici che riportano il regista alla dimensione indomita e radicale degli anni sessanta.

The Mangler
The Mangler: una scena del film

The Mangler, tratto da un racconto di Stephen King (non è il primo approccio di Hooper alla materia kinghiana: ricordiamo la miniserie Le notti di Salem), identifica l'orrore nella condizione di lavoro all'interno di una lavanderia industriale, in cui operai e operaie cominciano a perdere la vita a seguito di inspiegabili incidenti causati dal compressore che dà il titolo al film. Hooper utilizza ancora il linguaggio sperimentale che ha di rado abbandonato nel suo percorso autoriale, ma lo fa a servizio della straordinaria allegoria sociale proveniente dal testo di partenza: i lavoratori vivono nell'incubo della "macchina" interpretata da un grandioso e repulsivo Robert Englund che ne controlla, in senso lato e letterale, gli ingranaggi.

Fra opere minori e opere indimenticate, il cinema horror di Tobe Hooper è stato uno dei più adamantini e meno quotati fra i maestri della generazione anni settanta che ha concepito l'orrore moderno. Eppure è, anche nelle sue deformità e nelle sue debolezze, uno sguardo autoriale e registico senza eguali e caratterizzato da un'identità fiera e riconoscibilissima, spesso ricondotta al suo magnum opus del '74. Se è vero che la distanza temporale è il fattore principale per valutare la capacità di un'opera di leggere la società anche nei decenni a seguire, l'horror di Tobe Hooper si candida a essere uno degli esempi più riusciti di cinema universale e, insieme, del proprio tempo.