Chiedi chi erano i Velvet Undergound e Todd Haynes ti risponderà. D'altronde chi meglio del regista di Velvet Goldmine e Io non sono qui, potrebbe spiegare l'importanza della band newyorchese che, a partire dal 1965 e per quasi un decennio, rivoluzionò il mondo del rock. Come vedremo in questa recensione di The Velvet Underground il documentario parte ovviamente da Lou Reed e John Cale, i due geniali leader della band: racconta la loro infanzia, il loro incontro e di come entrambi finirono con l'influenzarsi l'uno l'altro fino a creare un sound inimitabile e ancor oggi impossibile da dimenticare.
I'll Be Your Mirror
Parlare dei Velvet Undergound limitandosi alle sole canzoni sarebbe a dir poco limitante, ed è per questo che Haynes allarga continuamente il suo racconto stando sempre molto attento a contestualizzare ogni aspetto della storia: droga, omosessualità, l'ossessione per la perfezione e per l'innovazione. Tutti questi elementi, che sono da sempre evidentemente presenti anche nei dischi della band, in questo documentario prendono voce e forma, diventando così specchio di un'intera epoca.
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Venus in Furs
Nel 1965 ci fu l'importantissimo incontro della band con Andy Warhol, avvenimento a cui giustamente Haynes dedica molto spazio, anche qui allargando il discorso all'intera Factory dell'artista. Alle interviste agli ex membri della band e i loro parenti, si vanno ad aggiungere quindi anche tante altre personalità artistiche del periodo, così da rendere ancora più evidente e chiari i cambiamenti che tutte queste persone apportarono alla scena rock degli anni '60. Molto spazio, ovviamente, anche per la magnifica Nico, cantante tedesca che fu fortemente sponsorizzata da Warhol: da quell'incontro nacque appunto l'album di debutto The Velvet Underground & Nico (1967) che in copertina aveva la famosa banana "sbucciabile" firmata proprio da Warhol.
Heroin
La parte finale del documentario è dedicata alla crisi tra Reed e Cale, all'espulsione di quest'ultimo e da tutto quello che ne conseguì. Il documentario si chiude proprio con lo scioglimento ufficiale nella band nel 1973, senza indugiare quindi sulle successive reunion o sulle carriere individuali dei singoli. Sebbene Haynes racconti molto bene i cambiamenti non solo di lineup ma anche e soprattutto musicali di quegli anni, sembra quasi che non abbia il coraggio (o forse materiale a sufficienza) per raccontare gli aspetti più oscuri della crisi, in gran parte dovuto al sempre maggiore abuso di droghe o al carattere a dir poco "difficile" di Lou Reed.
Conclusioni
The Velvet Undergound di Todd Haynes è un documentario ricco e molto affascinante, che ha ovviamente i suoi punti di forza nel tanto materiale d'epoca nonché nelle splendide canzoni del gruppo. Ha forse il demerito di non andare mai troppo a fondo sugli aspetti meno piacevoli, finendo così con il realizzare più una celebrazione, per quanto dovuta e meritatissima, che una testimonianza completa.
Perché ci piace
- Le interviste e testimonianze d'epoca, reperti incredibili che sembrano venire da un modo che non c'è più.
- Le canzoni dei Velvet Undergound, semplicemente immortali.
- Gli aspetti musicali del documentario sono davvero esaustivi e ben spiegati...
Cosa non va
- ... peccato una certa leggerezza e superficialità su altri elementi rivelatisi comunque decisivi per la band.
- Chi non conosce per niente il periodo potrebbe avere qualche difficoltà ad orientarsi, soprattutto nella parte iniziale.