Esiste la verità, un'unica incontrovertibile verità? E ha senso parlarne quando si tratta della sentenza di un processo, ovvero del risultato di un procedimento giuridico che mira a trovare, o eliminare, colpe piuttosto che ad ottenere la fedele ricostruzione di ciò che è accaduto? Ed inoltre, le convinzioni dei legali possono, o devono, influenzare le azioni che questi compiono nel difendere il proprio cliente? Prova a chiederselo Hirokazu Koreeda nel suo ultimo lavoro dal titolo Il terzo omicidio, film che potremmo ascrivere al filone dei thriller processuali e che si discosta tantissimo da quanto il regista giapponese aveva realizzato negli ultimi anni, quando era stato apprezzato, da noi e dalla stampa internazionale in genere, per dei family drama delicati e toccanti come Father and Son, Little Sister e Ritratto di famiglia con tempesta, presentati in quel di Cannes tra il 2014 ed il 2016.
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Presunto colpevole
La storia di Il terzo omicidio inizia con l'avvocato Shigemori, figlio di un giudice in pensione, che viene convocato dal collega più anziano Settsu per assisterlo in un caso di difficile gestione: si tratta della rapina con omicidio del proprietario di una piccola azienda, per il quale è sospettato uno dei dipendenti della vittima, tale Misumi, già condannato in passato per un doppio omicidio compiuto trenta anni prima. L'uomo, appena licenziato dall'uomo che avrebbe ucciso, non sembra avere possibilità di essere assolto, al punto da dichiararsi colpevole, quindi il compito di Shigemori e colleghi è soltanto quello di portare il verdetto del giudice verso una sentenza a vita piuttosto che alla pena di morte. Eppure, colloquio dopo colloquio con il suo cliente, i dubbi di Shigemori aumentano ed i racconti dell'imputato continuano a variare. Nel frattempo, le indagini proseguono, lo conducono fino in Hokkaido e soprattutto lo portano a contatto con la figlia dell'uomo ucciso, Sakie, una quattordicenne con problemi fisici, violentata dal padre e dal forte legame con il cliente che sta cercando di difendere.
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La ricerca della verità
Hirokazu Koreeda si prende i suoi tempi per gestire andamento e struttura della storia, ricalcando le caratteristiche del dramma processuale, ma sfruttandole per dar vita e valore al messaggio e le riflessioni che più gli interessano. È centrale, infatti, ne Il terzo omicidio il ragionamento sulla verità a cui abbiamo accennato, sottolineato ed enfatizzato dai dubbi che man mano si instillano nella mente di Shigemori, a dispetto di una lucidità e professionalità nell'affrontare e gestire il processo, cercando di limitare i danni ed evitare la pena capitale per il proprio cliente. Il risultato è un film diverso dagli ultimi lavori dell'autore giapponese, più rarefatto e dilatato, meno semplice e diretto, più radicato nella sua cultura per il modo in cui alcuni dei suoi valori fondanti lo permeano, come il senso del dovere.
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Riflessi di colpa
Ma il vero cuore pulsante de Il terzo omicidio è l'interpretazione di Koji Yakusho, che incarna l'intensità e il dramma interiore di un sofferto Misumi. È nel ripetuto faccia a faccia tra lui ed il freddo Shigemori di Masaharu Fukuyama che il senso del film di Koreeda trova compimento, in lunghi e dilatati colloqui che risultano vivi e vibranti nonostante l'inevitabile staticità della messa in scena. Sono segmenti corposi che il regista riesce a valorizzare con un ispirato uso del vetro che separa i due personaggi nella stanza degli interrogatori, arrivando a sfruttare il riflesso per sovrapporne i volti nel lungo, intenso colloquio finale. The Third Murder è un lavoro diverso del regista di Father and Son, che va a cercare un pubblico ed un'estetica diversi. Un film che mira più in alto e non riesce a far centro in ogni aspetto, che risulta meno compatto del passato, ma ugualmente emozionante.
Movieplayer.it
3.5/5