Ryan Murphy dopo FX ha trovato in Netflix la sua seconda casa. Ce ne rendiamo conto scrivendo la recensione di The Prom, il film tratto dal pluripremiato musical di Broadway di Chad Beguelin, Bob Martin e Matthew Sklar in arrivo l'11 dicembre sulla piattaforma che, come sua ultima fatica, chiude questo strambo 2020. Scritto dagli stessi Beguelin e Martin, il film è diretto proprio da Murphy, che torna dietro la macchina da presa di un lungometraggio dieci anni dopo Mangia, Prega, Ama. L'instancabile showrunner si rimette alla prova con - ovviamente - una storia che grida, anzi canta, all'inclusione e all'accettazione, un concetto che purtroppo ancora oggi ha bisogno di essere urlato a squarciagola, perché molte barriere devono ancora essere abbattute.
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La trama è presto detta. Su Twitter fa tendenza la storia di una diciassettenne in Indiana, Emma, che voleva andare al ballo scolastico (il "prom" del titolo) con la propria fidanzata non ancora dichiarata. Il risultato è l'intervento del consiglio dei genitori-insegnanti capitanato dalla madre della suddetta fidanzata (una Kerry Washington particolarmente incattivita) con l'annullamento del ballo. Lo scopre dai social un gruppo di celebrità in declino, reduci da una pessima accoglienza della critica del loro ultimo musical su Eleanor Roosevelt (Meryl Streep, James Corden, Nicole Kidman, Andrew Rannels), e si precipita dalla Grande Mela all'Indiana per farsi promotori di accettazione e inclusione ma soprattutto per ripulire la propria immagine pubblica. "Perché quello che serve oggi è un brand, una causa a cui votarsi" si dicono prima di partire. Lo svolgimento è quindi abbastanza prevedibile ma lo fa con un crescendo musicale e narrativo che, pur inciampando in qualche stereotipo e cliché di troppo, arriva forte e chiaro allo spettatore.
Le tematiche care a Murphy sono quindi ancora una volta riproposte e messe in scena, con una fotografia coloratissima e scintillante e una regia e degli arrangiamenti che omaggiano e strizzano l'occhio ad alcuni classici del genere, come Chicago, Wicked, Hairspray e altri. Le stesse canzoni di The Prom celebrano e allo stesso tempo prendono in giro Broadway ("i Tony sono un premio politico, lo sai, non conta la tua interpretazione ma conta l'immagine che hai in pubblico" dice a un certo punto la disillusa Dee Dee di Meryl Streep), con i suoi meriti e le sue contraddizioni. Il mondo dello spettacolo e l'arte in generale vengono altrettanto celebrati, come canta ad un certo punto Keegan-Michael Key (il preside del liceo che è a favore di Emma): l'arte è molto di più che "evasione" dalla realtà o lo è comunque nel senso più alto del termine. Se solo questa "influenza" bastasse a sensibilizzare davvero tutti sulle tematiche LGBTQ+.
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UN GLEE PER IL GRANDE SCHERMO
Per certi versi The Prom sembra il Glee per il grande schermo che Murphy ha sempre sognato di fare. Ancora una volta il soggetto di partenza coinvolge una cittadina rurale e "sperduta" dove non ci sono suite e nemmeno un ristorante chic - lì eravamo in Ohio, qui siamo in Indiana - l'entroterra americano ancora una volta simbolo della repressione religiosa e del bigottismo. Ci sono le star narcisistiche ed egocentriche, c'è la ragazza di provincia che vuole solamente essere se stessa, c'è il lato teen che perdura anche negli adulti, tra amicizie non ricambiate, rapporti coi genitori irrisolti e innamoramenti nella mezza età.
Torna quindi il tema del significato dell'arte in generale già espresso con la miniserie, sempre per Netflix, Hollywood. Se lì era un "potere" che riusciva addirittura utopisticamente ad andare contro la politica, in The Prom si tratta di un "potere" che veicola le masse, proprio come fanno influencer e celebrità, che in questo caso dovranno imparare che aiutare gli altri va fatto senza secondi fini affinché abbia davvero l'impatto che si vorrebbe. Il film parla anche del complesso rapporto fra genitori e figli, sciorinato attraverso il coming out di alcuni dei protagonisti, e proprio dell'importanza e della responsabilità di quest'ultimo per la comunità LGBTQ+ (Emma a un certo punto canta "non mi interessa iniziare una rivolta, vorrei solo poter ballare con te" rivolta ad Alyssa).
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IL BALLO SCOLASTICO COME TOPOS
Il Prom è un simbolo e un topos ancestrale che gli americani ci mostrano nei teen drama, teen movie e via discorrendo fin dall'alba dei tempi. Si tratta di una sorta di rito di passaggio che, come spesso capita oltreoceano, è la sede di grandi gesti romantici ma anche di adolescenti prematuramente messe incinta, focus della grande contraddizione americana. In un crescendo musicale e narrativo il pathos aumenta per tutti i protagonisti che devono risolvere i propri drammi personali: per Dee Dee un ex marito, per Barry (Corden) l'essere stato estraniato dai genitori quand'era adolescente per via della propria omosessualità; per Angie (una Kidman che in una parte sorprendentemente di contorno splende e ci fa rimpiangere di non aver visto la sua Roxie Hart) l'essere abituata a una vita da corista e ballerina di fila che non viene notata, per Trent (Rannels) il superare il fatto di aver studiato alla Juilliard. Mentre Meryl Streep è meravigliosa ed emozionante anche quando semplicemente fa un occhiolino, Corden inciampa in alcuni stereotipi lungo la strada, e le giovani Jo Ellen Pellman e Ariana DeBose dimostrano di essere già molto promettenti sia come attrici che come cantanti.
Peccato che nel complesso, tra canzoni orecchiabili e dal testo azzeccato, interpreti in parte e altri meno, tutto abbia una patina di già visto, già raccontato, già cantato, e nonostante la lacrimuccia sulla coreografia finale che come da tradizione dei musical coinvolge tutti rimane un po' di rimpianto, perché forse questo film poteva essere "qualcosa di più" nel veicolare l'importante messaggio di cui si fa manifesto.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di The Prom consci dell’importanza del suo messaggio di inclusione e accettazione, ma che ci sarebbe piaciuto vedere sviluppato in modo un po’ più originale. Funzionano le canzoni e alcuni dei protagonisti - le giovani Jo Ellen Pellman e Ariana DeBose, la sempreverde Meryl Streep e la “comparsa” Nicole Kidman - meno altri, come James Corden. I brani musicali oltre ad essere orecchiabili giocano nei testi e negli arrangiamenti ad omaggiare i classici del genere, così come la regia di Murphy che in questo caso trova “casa” nella propria tipica patinatura esagerata. Tra lustrini e pailettes, la fotografia coloratissima è una celebrazione del messaggio di cui il film si fa manifesto.
Perché ci piace
- Meryl Streep, neanche a dirlo, è meravigliosa e Nicole Kidman nella sua unica esibizione ci fa rimpiangere di non aver visto una sua Roxie Hart in Chicago.
- Il messaggio di inclusione e accettazione del film, che non passa mai di moda, e quello sul “potere” delle celebrità e degli influencer sulla “massa”.
- La regia patinata e che strizza l'occhio ad alcuni classici e la fotografia coloratissima.
Cosa non va
- Alcuni stereotipi e il buonismo finale che spesso contraddistingue i lavori di Murphy.
- Alcune storyline e tematiche andavano forse approfondite maggiormente, come il rapporto fra genitori e figli.