Ci sono le serie televisive, e poi c'è The Pitt. Quindici episodi (sembrano tanti, ma poi non ne vorreste più farne a meno) creati da R. Scott Gemmill (lo stesso di E.R.) per uno dei migliori medical drama in circolazione. Pura adrenalina da corsia, pura estasi da racconto che punta al midollo: reale, asciutto, estremo, compresso. In The Pitt c'è tutto il complesso macrocosmo di un pronto soccorso, intanto che l'esaltazione del linguaggio seriale - e lo show si presta al binge watching - viene descritto e circoscritto attraverso una credibilità in grado di farci vivere la stessa identica esperienza affrontata dai protagonisti. Cosa rara, oggi, nell'epoca dei contenuti atrofizzati e atrofizzanti.

E allora non è un caso che la serie, prodotta da John Wells e Noah Wyle (con Gemill si ricompone il terzetto storico di E.R.), abbia vinto, a prima botta, cinque Emmy Awards, tra cui Miglior Serie Drammatica e miglior attore protagonista. Ah, dimenticavamo, talmente presi dall'entusiasmo: The Pitt è su Sky e NOW dal 24 settembre.
The Pitt: una giornata al pronto soccorso
Ma di cosa parla The Pitt? Semplice: seguiamo l'intero turno del Dott. Michael "Robby" Robinavitch (Wyle, superfluo sottolineare la sua aderenza al ruolo, ritrovandolo in corsia dopo il leggendario John Carter dei Medici in prima linea) nella "buca" - come la chiama lui - del pronto soccorso del Pittsburgh Trauma Medical Center. Il triage, l'emergenza, il sangue, l'odore della morte, che si mischia a quello dei solventi. Le luci fredde al neon e i parenti in attesa, la decisione giusta e quella sbagliata. Il tempo infinito, l'empatia, la perseveranza.

Accanto al dottor Robby (diciamolo, uno che vorremmo incontrare nel momento del bisogno) studenti e specializzandi, dottori e infermieri (ottime facce di supporto: da Gerran Howell a Tracy Ifeachor, da Patrick Ball a Katherine LaNasa). Ognuno, così come i pazienti che si alternano, entrando e uscendo, compongono l'universo di The Pitt. Dietro, però, il trauma ricomposto. Perché per il dottor Robinavitch questo non è un turno normale: è l'anniversario della morte del suo mentore, avvenuta nei giorni esplosivi della pandemia da Covid-19.
Una serie da non perdere

Ecco, The Pitt, tra le altre cose, è la prima vera serie medical post-pandemia. Niente trucco, parrucco e mascherine enfatiche alla Grey's Anatomy (ci mancherebbe!), ma solo la traccia di una ferita in qualche modo catartica, e spartiacque nell'affrontare l'emergenza quotidiana di un pronto soccorso in cui confluiscono centinaia di persone ogni ora. Di più, una serie ispirante, indicativa, quasi accademica nel tono e nel glossario (se siete ipocondriaci, potrebbe farvi male tutto, vedendola!), che segue la continuità di un racconto dove l'instancabile movimento diventa la traccia da percorrere: lo sfondo che si muove, alterando e anticipando la scena successiva, senza mai farci uscire dal climax, teso e instancabile (menzione ai registi, e menzione alla scenografia di Nina Ruscio).

Uno show stilizzato ed elettrizzante, ma al contempo elegante, organico e osmotico nella costante ricerca del suo tema cardine, imprescindibile e contemporaneo: l'empatia. La ferita di Robby, per l'appunto, è stuzzicata da diversi flashback che, tuttavia, non indugiano mai troppo sul più facile e schematico dei drammi, ma anzi rendono il qui ed ora della narrazione un ulteriore punto di contatto, facendone degli episodi (durano un'ora scarsa) un assoluto tripudio. Talmente potente e, se vogliamo, anche radicale nella messa in scena, che The Pitt si potrebbe affiancare al contesto culinario di un'altra serie capolavoro come The Bear: l'umanità dietro il camice, il dubbio e mai la certezza, l'istinto che supera la ragione, mescolando vita, morte e miracoli. Sì, ci sono le serie televisive, e poi c'è The Pitt.
Conclusioni
La miglior serie medical dai tempi di E.R.? Senza dubbio. Vera, verace, tesa, elegante nella regia e nella scrittura. Uno show in tempo reale che non lascia respiro, capace di portarci dritti dritti nel cuore di un pronto soccorso in tumulto. Se Noah Wyle non ha chiaramente bisogno di ulteriori elogi, lo show ha il merito di distinguersi nello sconfinato panorama dei prodotti anestetizzanti. Ecco: se cercate un vero stimolo narrativo, non perdete The Pitt.
Perché ci piace
- Noah Wyle non ha bisogno di presentazioni.
- Reale, autentica, elettrizzante.
- Ogni episodio, in tempo reale.
- La ricerca dell'empatia.
Cosa non va
- Se siete ipocondriaci potrebbe venirvi voglia di andare al pronto soccorso!