E' l'argomento televisivo del momento negli USA e non potrebbe essere altrimenti: The Newsroom segna al tempo stesso il ritorno sul piccolo schermo di uno dei grandi autori della TV americana, Aaron Sorkin - per di più di ritorno da un'ottima doppietta messa a segno al cinema con le celebrate sceneggiature di The Social Network e Moneyball - e il debutto dell'autore di West Wing su un canale via cavo, quale la HBO.
In più a catturare ulteriolmente l'attenzione dei media statunitensi è l'argomento stesso della serie: televisione e informazione, la decadenza della comunicazione mediatica tradizionale, le apparenti relazioni tra un certo modo di fare giornalismo e la crisi attraversata da un intero paese, una volta considerato "la più grande nazione del mondo".
Questa almeno è l'opinione del protagonista della serie, il popolarissimo Will McAvoy, anchorman solitamente molto attento a non prendere posizioni e non dare così fastidio a nessuno ("proprio come Jay Leno"), che, durante un convegno, pressato dalla domanda di una giovane studentessa e incalzato dal moderatore, si lascia andare ad un vero e proprio sfogo nei confronti della società a stelle e strisce, la sua classe politica e il suo status culturale.
Pur partendo da un espediente di certo non originale, peraltro usato dallo stesso autore anche in precedenti occasioni, e che volutamente richiama il celeberrimo Quinto potere, Sorkin prende una direzione diversa: dopo il famigerato "incidente", inzialmente attribuito ad effetti collaterali di una medicina contro le vertigini, Will viene mandato in vacanza forzata ed al suo ritorno scopre che tutto il suo staff, produttore incluso, è stato assegnato ad un nuovo programma. Il network ha forse deciso di farlo fuori? La sorpresa è proprio qui, perchè The Newsroom non mostra la lotta di un uomo solo contro il proprio network o contro i propri capi, ma la precisa volontà di un intero gruppo di persone di trasformare quel semplice sfogo in qualcosa di concreto, di portare avanti quel cambiamento auspicato dal protagonista. E' lo stesso Will ad essere iniziamente riluttante e a ritenere impossibile quello che il nuovo produttore (coincidentalmente la sua ex dal buffo nome MacKenzie McHale) e il presidente della ACN gli stanno prospettando.
Ci piace immaginare che qualcosa di simile sia successo proprio tra Sorkin e la HBO, con quest'ultima pronta ad offrire all'autore una libertà, non solo creativa ma anche "politica e mediatica", a cui non era mai stato abituato. E immaginiamo che per lo sceneggiatore premio Oscar la scelta di allontanarsi per la prima volta dai grandi network non sia stata troppo difficile, principalmente a causa all'esperienza poco felice incassata con il suo precedente prodotto seriale, Studio 60 on the Sunset Strip. In verità lì il problema non fu tanto con la NBC, che anzi permise comunque a Sorkin e al suo staff di concludere l'intera stagione nonostante i ratings fossero letteralmente in caduta libera, ma con le aspettative degli spettatori e soprattutto della critica che prestarono molta più attenzione a quello che era in un certo senso il 'deus ex machina' della serie, ovvero il fittizio show del titolo à la "Saturday Night Live", che a quello che era davvero lo scopo del suo autore, ovvero di raccontare il dietro le quinte, con le sue dinamiche personali e professionali, di questo "show". Una delle critiche più frequenti a Studio 60 era semplicemente che lo show al suo interno (quello finto appunto, quello che vedevamo solo di sfuggita) non era divertente, non era all'altezza del vero SNL o programmi similari. Che poi tutto quello che Sorkin aveva costruito intorno fosse invece particolarmente brillante, acuto, a tratti esilarante sembrava non interessare a nessuno.
Qualcosa di molto simile sembra accadere anche per questo The Newsroom e ci auguriamo che le spalle larghe della HBO possano proteggere più adeguatamente il suo autore: gran parte della critica, ma anche dell'informazione statunitense, non ha esitato ad accanirsi contro il mancato realismo della serie o l'incapacità di Sorkin di dipingere quella che è l'effettiva situazione dei programmi di news. Peccato che a lui la realtà non sia mai interessata, a partire da Sports Night fino a The Social Network: Sorkin è un idealista, un romantico, i suoi personaggi e le sue situazioni non hanno mai lo scopo di rappresentare la realtà ma di mostrare eventualmente gli errori contenuti in essa. Ma attenzione, nonostante quello che pensino di norma i suoi detrattori, Sorkin non si erge mai a professore, non dice di conoscere egli stesso il modo giusto per affrontare i problemi, ma semplicemente si limita a scrivere e descrivere quello a cui tutti noi dovremmo aspirare. E non è un caso che in questo primo episodio We Just Decided To, i personaggi citino più volte il Don Chisciotte di Cervantes, come non è un caso che i protagonisti di West Wing, a partire dallo stesso Presidente Bartlet, tentino più volte, e senza successo, di ottenere risultati impossibili quali la pace nel Medio Oriente o la soluzione alla Sanità americana. L'importante non è riuscire, ma tentare e dare un esempio.
Proprio come per tutte le sue precedenti opere, Sorkin punta il dito al problema, ma i critici e la pubblica opinione non riescono a guardare oltre il dito.
Sorkin si propone di fare le stesso per ogni episodio della sua Newsroom, per ogni singolo evento coperto, e in questa luce va vista la scelta di ambientare la serie qualche tempo fa, e precisamente nel corso del 2010, in maniera da poter utilizzare fatti di cronaca realmente accaduti e ben noti al pubblico americano: può sembrare una scelta poco coraggiosa, una "scorciatoia" che permette allo sceneggiatore di riflettere a posteriori sugli errori e le mancanze dei media americani, ma è anche il modo più intelligente e diretto per identificare il problema morale e aumentare la consapevolezza del punto di non ritorno raggiunto dall'odierno giornalismo, auspicando un ritorno all'integrità, alla grandezza e allo spessore etico e intellettuale dei news anchor del passato. Quelli di un'epoca che sembra lontanissima a cui The Newsroom dedica la bellissima sigla, che omaggia personalità di spicco del giornalismo USA, tra cui Walter Cronkite o quell'Edward R. Murrow su cui George Clooney aveva incentrato il suo riuscito Good Night, and Good Luck.
Un'altra delle critiche spesso attribuite alle opere di Sorkin è la presenza di protagonisti troppo marcatamente "positivi": troppo intelligenti, troppo capaci, sempre con la battuta pronta e dalla dialettica eccellente. Almeno da quello che emerge da questo primo episodio, The Newroom non può che confermare questa tendenza; i dialoghi di Sorkin, suo vero tratto distintivo, non sono realistici, ma sono la versione ideale di quello che chiunque, o quantomeno qualsiasi liberale, vorrebbe rispondere in quelle occasioni; sono dialoghi colti, rapidi, complessi, acuti e ricchi di ironia e sebbene in questo primo episodio la grande abilità di dialoghista di Sorkin venga appena sfiorata per fare maggiormente spazio alle premesse dello show, è un piacere vedere che gli elementi essenziali della sua scrittura siano sempre presenti.
Quello che forse manca, ma è una mancanza che noteranno soprattutto gli "esperti", è una regia all'altezza dei precedenti lavori: non ci riferiamo ovviamente allo straordinario David Fincher di The Social Network, ma anche semplicemente al fedele Thomas Schlamme che negli anni passati, con il suo "walk and talk", aveva dimostrato di essere il perfetto complice di Sorkin, donando uno straordinario ritmo a tutte le sue opere e riuscendo a sublimare ed "inquadrare" al meglio ogni singolo dialogo e monologo. Qui il regista è Greg Mottola, altro onesto mestierante di cinema e TV, che a differenza di Schlamme però ha avuto esperienza solo con comedy e sitcom, e sebbene la sua regia, come tutto il reparto tecnico, sia certamente di alto livello, non siamo certi che lo stile sia quello che meglio si adatta alla visione e scrittura di Sorkin.
Altrettanto di livello è tutto il cast, con una menzione d'onore per l'ottimo Jeff Daniels che interpreta Will con la giusta gravitas ma lasciando intuire, in più occasioni, che dietro quella serietà e professionalità si cela un uomo ferito, ed Emily Mortimer, che trasmette fin da subito l'energia e la fiducia della sua MacKenzie tanto allo staff quanto agli spettatori. Per tutti gli altri, dal saggio e carismatico Sam Waterston ai giovani e rampanti John Gallagher Jr., Alison Pill e Dev Patel ci sarà occasione di parlare in futuro, nel frattempo ci limitiamo a dare loro il benvenuto in una serie sicuramente non perfetta, sicuramente lontana dall'eccellenza più unica che rara rappresentata da West Wing, ma una serie che come il suo autore fa discutere, fa parlare di sè, alza il livello di dibattito e di consapevolezza di un intero paese.
"Il primo passo per risolvere un problema è riconoscerne l'esistenza".
Movieplayer.it
4.0/5