The Meatseller, Margherita Giusti: "Il mio è un racconto sul corpo"

La nostra intervista a Margherita Giusti, regista del cortometraggio d'animazione The Meatseller firmato dal collettivo Muta Animation, prodotto dalla Frenesy Film Company di Luca Guadagnino e presentato nella sezione Orizzonti di Venezia80.

The Meatseller, Margherita Giusti: 'Il mio è un racconto sul corpo'

Nell'ambito della sezione Orizzonti dell'80esima edizione della Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia è stato presentato The Meatseller, un cortometraggio d'animazione di grande fattura che racconta una vicenda biografica reale per parlare di tematiche importantissime come il viaggio migratorio e, soprattutto, l'affermazione di se stessi attraverso il lavoro. La regia è di Margherita Giusti (la sua prima di un'opera del genere al di fuori della realtà scolastica), "alla guida" del collettivo Muta Animation e con la produzione della Frenesy Film di Luca Guadagnino, che si è innamorato del progetto fin da subito.

Il Collettivo Muta Animation A Venezia80

The Meatseller è un lavoro ambizioso e significativo perché presenta una grande varietà dal punto di vista del registro delle tecniche di animazione adoperate dal team di lavoro (che vanno dal digitale al disegno a mano, suggerendo una certa libertà autoriale), ma anche per come si è deciso di strutturare l'intera narrazione.
A ben vedere sembra infatti che la preoccupazione primaria che ha mosso il team sia stata quella di essere fedeli al racconto della protagonista, Selinna Ajamikoko, una ragazza nigeriana con il sogno di seguire le orme materne, non solo per quanto riguarda i contenuti, ma anche per il ritmo e la modalità, sul quale poi è stata ricamata la componente estetica, fortemente evocativa.

L'incontro con Selinna

Raccontami la genesi di The Meatseller.

Io vengo dal Centro Sperimentale di Torino, dipartimento animazione, e il mio corto di diploma era un documentario animato. Dopo la scuola la mia idea era di costruire una storia in pillole animata, sempre di natura documentaristica, incentrata su donne che si erano emancipate tramite il lavoro. Avevo in mano due storie. Una era quella di Selinna. Dopo l'arrivo del COVID sono tornata a Roma e ho fatto una prima conoscenza e una prima intervista con lei e già in quel momento mi era parsa potentissima, anche in termini di retorica, per questo suo modo di parlare, anche ripetitivo. Caratteristica che ho voluto mantenere in The Meatseller, non solo in termini di voice over, ma anche di animazione.
Questo mio interesse, insieme alla consapevolezza crescente che una storia in pillole si presentava di una complessità potenzialmente controproducente, mi ha fatto virare definitivamente verso Selinna.

C'è qualcosa in particolare che ti ha fatto innamorare di Selinna?

Quello che mi ha fatto innamorare definitivamente di lei forse è stata una frase bellissima che ha detto. Quando le ho chiesto "Che animale vuoi essere?", lei mi ha subito risposto "una mucca". "Perché?", "Because that's my experience in life".
Ho continuato, insieme ad una ragazza che lavorava nei servizi sociali e con la quale poi abbiamo scritto il soggetto, Margherita D'Andrea, con le interviste a Selinna per un anno, mentre era incinta. Dopodiché ho scritto la sceneggiatura, fatto gli storyboard e l'ho proposta a Luca Guadagnino, a cui è piaciuta molto, e così abbiamo iniziato la produzione a settembre 2022.

The Meat Seller
The Meatseller: un'immagine

Quindi il lavoro sul cortometraggio è iniziato prima del COVID?

Si, nel 2020. Ci ho messo tre anni a farlo (ride). Tra una cosa e l'altra, eh. Interviste, sceneggiatura, storyboard e tempi di produzione... sì, tre anni.

Ho trovato The Meatseller molto ambizioso, sia a livello formale che di contenuto. Cosa ti ha colpito della storia?

Come ho detto prima, non volevo fare una storia di migranti, anche perché la storia che stavo cercando non era necessariamente di donne migranti.
Mi interessava raccontare la vicenda di una donna che tramite il desiderio del lavoro poi riuscisse a trovare se stessa e riuscisse nella vita.
Al tempo, quando l'ho conosciuta, lavorava come macellaia. Una ragazza giovanissima (nata nel 2000) animata da un senso di rivalsa e di rivincita nei confronti del mondo, determinata ad inseguire il suo sogno. Tra l'altro, come figlia di un sistema matriarcale molto forte e quindi anche con l'onere di portare avanti il lavoro della madre.

Raccontare il rapporto con il corpo

La carne è carne umana, è carne animale. È la carne che Selinna vende per lavorare, è la sua carne che viene venduta.

Lei è la carne che viene venduta da Joy, una di quelle figure che promettono alle ragazze africane di portarle in Italia per poi farle arrivare in Libia, dove le costringono a prostituirsi nelle connecting houses.
Lei diventa carne, diventa mucca, trasfigurata dal senso della violenza alla quale è sottoposta. A dir la verità la prima volta che si è prostituita (una cosa molto pesante che io non ho raccontato benissimo perché non serviva, a mio avviso) era vergine e quindi l'uomo con cui andò a letto non la violentò, ma la picchiò. A quell'episodio fa riferimento la scena dove le donne lavano la mucca. Quello che vedi nel cortometraggio è tutto vero.
Il fatto che poi lei si accoltelli è una presa di posizione attiva durante uno stupro, che invece di solito è sempre raccontato in termini di una donna passiva che subisce e basta. Io infatti nella prima sceneggiatura avevo scritto che era qualcuno altro a tagliarle la pancia, poi ho deciso che era più giusto fare inversione. Mi sembrava corretto legare l'intero atto a lei. Il dramma è il suo e il sangue è il suo, lo stesso della mucca che lei macella.

Il finale di The Meatseller segnala un'emancipazione dal proprio corpo e dal proprio passato. Una liberazione necessaria, ma anche un'accettazione degli stessi. Come lo hai inteso?

Un po' in tutti e due i modi. Quello che ho visto nel racconto di Selinna è una percezione molto ambigua del proprio corpo perché così giovane e allo stesso temo così abusata. In più quando l'ho conosciuta era incinta. Per lei il fatto di raccontare la sua esperienza è necessariamente una catarsi e quindi si può vedere nel finale come la liberazione da questo corpo. Allo stesso tempo però ci sono delle persone che l'hanno visto come un atto di suicidio o un pensiero di suicidio, che però non è l'idea che volevo dare io.
The Meatseller è un racconto sul corpo, un racconto sulla carne, quindi mi sembrava corretto finire con una liberazione catartica.

The Meatseller
The Meatseller: un'immagine

Una scelta ambiziosa anche questa, perché non c'è la rinascita canonica né il finale della sua vicenda pratica, del suo viaggio dalla Nigeria all'Italia.

Il finale c'è ed è all'inizio: lei arriva in Italia e lavora come macellaia. La sua rivincita c'è all'inizio. Essendo la sua testimonianza ed essendo un cortometraggio ho fatto un ragionamento diverso rispetto alla narrazione più classica, infatti c'è un discorso più lineare all'inizio che poi si sfalda man mano che si va avanti.

Si percepisce questa coerenza con l'ordine della maxi testimonianza di Selinna, eppure si avverte un rimescolamento.

Ho rimescolato tanto. Le sceneggiature sono state 12... o 32... non mi ricordo neanche. È stato anche allungato. Fu proprio Luca che mi ha suggerito di fare così.
Dopo aver raccolto la lunga testimonianza di Selinna abbiamo ideato una struttura a spirale in cui abbiamo anche deciso di sfidare i limiti canonici del tempo, utilizzando flashback e flashforward.

Il percorso di lavoro

Com'è stato lavorare con un cineasta importante come Luca Guadagnino?

Avevo già lavorato con Luca per gli storyboard e dunque era una conoscenza già prima che gli mandassi la sceneggiatura, per la quale in realtà volevo un semplice parere professionale. A lui invece è piaciuta molto e così abbiamo iniziato la produzione. Devo dire che mi ha e ci ha lasciato, come collettivo Muta Animation, molto liberi ed è una cosa molto rara e preziosa. I suoi consigli erano perfetti, rivelatori e originali.

Quanti siete nel collettivo?

Siamo quattro ragazze, però per The Meatseller abbiamo lavorato in 16, di cui tutte animatrici donne e soli tre uomini: montatore, sound designer e produttore esecutivo.

Passiamo all'animazione. Mi racconti un po' questo registro così vario, complesso, sfaccettato usato per The Meatseller? Le tue references per esempio!

Il Colletivo Muta Animation

Tutte le parti con carne e violenza sono state fatte su carta utilizzando l'acrilico, mentre il resto è digitale. Per la prima abbiamo scansionato i vari foglietti e poi abbiamo aggiunto la carne che è stata colorata su altri fogli. Poi è stato fatto un lavoro di compositing in cui sembra che sia disegnata sui fogli. Sono cose molto tecniche, scusami.
Più che references, penserei al mood, che ho ideato con Elisabetta Bosco, la background artist. In realtà avevo fatto degli schizzi prima, anche se poi noi iniziamo da delle cose e finiamo con tutt'altro... ti direi che dentro c'è tutto ciò che mi ha ispirata e guidata durante l'infanzia e che in un certo senso lo fa ancora oggi.
Per i characters è tutta un'altra storia. Io ho fatto gli animali, ma anche gli schizzi di Selinna, che poi abbiamo animato cercando di emanciparci dall'idea disneyana, provando a mantenere il più possibile un tratto autoriale.

Quanto c'è di conscio e quanto di inconscio nelle scelte di animazione?

Nel processo creativo c'è tanto di conscio, di scelto, ma anche di inconscio, di viaggio sottopelle e che ti guida senza emergere. Il senso era proprio quello di raccontare un viaggio e dunque ci siamo lasciati trasportare anche noi.
Poi questo mix è in realtà la nostra cifra stilistica, il nostro tratto. Un'omogeneità di fondo c'è, però si tratta di un timbro più, direi, libero.

The Meatseller è la tua prima regia di un cortometraggio animato al di fuori dalla scuola. Che esperienza è stata?

Vengo dal cinema, dai set. Ho fatto 5 anni come assistente alla regia, quindi a livello di lavoro in team non ho avuto tanti problemi, poi noi come collettivo avevamo lavorato al cortometraggio di diploma, quindi già ci conoscevamo.
È stato anzi molto divertente perché abbiamo abitato insieme. Di fatto è stato come lavorare in una grande famiglia per 9 mesi. Una comunità più che uno studio professionale. Un lungometraggio, per dire, sarà sicuramente molto più difficile.