The Mastermind, Kelly Reichardt: “Racconto il conflitto tra società e individuo”

Un cinema che gioca con i generi e con un protagonista disfunzionale. Ce lo racconta la regista in occasione dell'uscita del film in sala.

La regista Kelly Reichardt sul set

L'idea le frullava in testa dagli anni '90, quando avevo iniziato a pensare a un film su un furto d'arte girato in Super 8. Ma l'occasione arriva qualche tempo dopo, quando Kelly Reichardt, sguardo ormai iconico del cinema indipendente americano, si imbatte in un articolo sul cinquantesimo anniversario di un furto avvenuto in un pomeriggio del 17 maggio 1972 al Worcester Art Museum in Massachusetts, dove alcuni uomini armati trafugarono due Gauguin, un Rembrandt e un Picasso.

The Mastermind Sequenza
Josh O'Connor in una scena del film

Così nasce The Mastermind, un film che ancora una volta dà alla regista di First Cow e Showing Up, la possibilità di rimaneggiare il genere: se nel 2010 toccava al western con Meek's Cutoff, oggi è il turno dell'heist movie, che Reichardt trasforma in un ritratto morale e psicologico dell'America degli anni Settanta e, inevitabilmente, del presente. Il protagonista James Blaine Mooney, un falegname disoccupato che non sa cosa fare della sua vita incapace di soddisfare le aspettative di una comoda vita borghese, fatica a trovare una propria identità e per guadagnare soldi facili decide di mettere in atto dei piccoli furti d'arte. Il suo primo grande colpo organizzato in compagnia di una scalcagnata gang di malviventi, prevede un'audace incursione in un piccolo museo d'arte di provincia per rubare i dipinti di Arthur Dove. Dopo la presentazione allo 78esima edizione del Festival di Cannes, il film arriva sala con Mubi dal 30 ottobre.

La riflessione sul conflitto tra individuo e società

The Mastermind Immagine
Alana Haim in una scena del film

Ambientato nei quartieri residenziali del New England negli anni '70, The Mastermind non è solo il racconto di un ambizioso colpo, ma è anche un'analisi profonda delle dinamiche familiari e della follia umana attraverso le vicende del protagonista Mooney e delle persone che lo circondano: suo padre, un rispettabile giudice della zona (Bill Camp); sua madre, una donna fin troppo generosa (Hope Davis); sua moglie Terri (Alana Haim) e i loro figli Tommy (Jasper Thompson) e Carl (Sterling Thompson) e la scombinata banda di teppistelli al suo seguito, che lo aiutano a mettere a segno il colpo. "J.B. Mooney è un personaggio che ha tutti i privilegi che un uomo potrebbe avere: è un bianco della classe media, ha genitori istruiti, anche lui è istruito, è attraente e ha un certo talento per la lavorazione del legno".

The Mastermind Scena
Josh O'Connor in una sequanza del film

"Eppure, sente di aver bisogno di una scorciatoia, non ha pazienza e vuole ribellarsi alla sua vita borghese o a suo padre e allo stesso tempo approfittarne ogni volta che gli fa comodo". - ci racconta la regista - "All'inizio del film ha un percorso ben definito, tipico del genere: sa cosa deve fare ma, una volta superata quella fase, non ha più una direzione. Il film lascia andare la struttura di genere e osserva il personaggio che prova a andare avanti con l'idea che per lui tutto debba comunque funzionare perché così è sempre stato e così va la sua vita. Non so se si tratti di un sogno o piuttosto dell'idea di appropriarsi di qualcosa di pubblico per scopi personali: è il classico conflitto tra individuo e società".

La narrazione dell'antieroe

La regista Kelly Reichardt
Kelly Reichardt sul set di un film

Come molti protagonisti del cinema di Reichardt - dai giovani amici on the road di Old Joy ai coloni smarriti di Meek's Cutoff - anche Mooney è un personaggio alla ricerca di un'identità** lontano dalle logiche borghesi che hanno governato la sua vita fino a quel momento. "J.B è un po' un prototipo, ma anche una tela bianca su cui il pubblico può proiettare di tutto. Ricorda il tipo di anti-eroe degli anni '70: un personaggio disfunzionale, incasinato ma affascinante, ironico e divertente, uno per cui lo spettatore continua a fare il tifo nonostante tutto" - spiega Reichardt - "Mi sono chiesta se questo genere di prototipo potesse funzionare ancora oggi. Le sue sfumature emergono soprattutto nei rapporti con le donne del film come sua madre e sua moglie, che portano sulle spalle il peso delle sue scelte, mentre lui cerca la propria libertà personale. Questo squilibrio mi interessava molto. E poi, con Josh nel ruolo, il film ha preso vita propria".

The Mastermind Foto
Josh O'Connor in una scena di The Mastermind

Ma l'immagine di Mooney trova una ulteriore definizione anche attraverso la relazione con i suoi figli, due bambini molto diversi tra loro, "uno più logorroico, l'altro invece più introverso, tranquillo, non verbale, quasi come suo padre". Una scena in particolare sintetizza l'essenza di questo rapporto, quella in cui padre e figlio si ritrovano da soli in macchina, una sequenza nata dai ricordi d'infanzia della regista. "Se ripenso alla mia infanzia in Florida il mio primo ricordo è il caldo e l'attesa nei parcheggi, passavo moltissimo tempo in macchina. Mia madre era un'agente della narcotici sotto copertura, e io e mia sorella dovevamo abbassarci per stenderci sul pavimento dell'auto mentre lei incontrava qualcuno. Non capivamo bene cosa stesse succedendo: c'erano delle valigie che venivano spostate da una macchina all'altra e mia madre era vestita tutto il tempo come qualcun altro, era sempre in incognito".

Night Moves a Venezia 2013: la regista Kelly Reichardt tra Dakota Fanning e Jesse Eisenberg
Kelly Reichardt con Dakota Fanning e Jesse Eisenberg a Venezia nel 2013.

E prosegue: "Mi ci è voluto molto tempo per capire chi fosse, per anni ho pensato fosse una hippie, solo in seguito ho scoperto che era una poliziotta. Ogni volta avevo la sensazione di non dover essere lì: se tua madre si stava nascondendo, allora stava infrangendo qualche regola. Lo percepivo, anche se non capivo bene cosa stesse succedendo. Ed ero confusa, perché da bambina pensi di dover sempre stare dalla parte dei tuoi genitori. Volevo trasmettere qualcosa di quella sensazione: il bambino segue il padre, lo accompagna, ma in realtà il padre gli chiede di mantenere un segreto, l'opposto di ciò che, da bambino, ti insegnano a fare".

Un memorabile Josh O'Connor

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Kelly Reichardt mentre stringe il premio a Locarno nel 2022

Nel ruolo del ladro d'arte dilettante, un indimenticabile Josh O'Connor che la regista rivela di aver scelto mentre stavo già lavorando alla sceneggiatura: "L'avevo visto in La terra di Dio, quando era uscito, poi in The Crown, ma non avevo subito collegato che fosse lo stesso attore. Mi dicevo: 'Chi è questo ragazzo?'" - ricorda - "Poi l'ho cercato e ho capito che era perfetto: ha un volto senza tempo, è alto, slanciato, molto espressivo e versatile, è un attore molto fisico, quasi un camaleonte. Volevo qualcuno capace di padroneggiare il dialetto della regione in cui è ambientato il film, e lui è bravissimo con le lingue. L'ho incontrato a New York e ho scoperto che è anche molto spiritoso, quindi era perfetto. Così ho iniziato a mandargli del materiale e da quel momento mi sono convinta che era quello giusto, e ho cominciato a lavorare con quell'immagine".

Josh Oconnor
Josh O'Connor in una scena di The Crown

E per aiutarlo a immergersi nell'atmosfera di inizio '70, ha inviato a O'Connor "alcuni documentari dell'epoca: erano filmini amatoriali in 16mm che mostravano la vita quotidiana di una famiglia della classe media nella Est Coast. Gli ho anche preparato una playlist con la musica che si ascoltava in radio in quel periodo, gli ho fatto leggere saggi di Joan Didion e altri scrittori del tempo, e gli ho mandato anche roba della scena artistica dell'astrattismo americano, di cui Dove è il pioniere". L'intento era far respirare a tutto il cast "la cultura dell'epoca, ma senza cliché: non gli anni '70, ma quel preciso momento storico. Ho cercato di riempire il film con quante più cose possibili lo rendessero coerente con quell'epoca".

Giocare con il genere

Night Moves: la regista Kelly Reichardt in una foto promozionale
Kelly Reichardt in una foto promozionale di Night Movies

The Mastermind è un film profondamente libero, politico e capace di giocare con il genere sovvertendone le regole. Quando ha iniziato a scriverlo Reichardt aveva in mente un heist movie, poi qualcosa è cambiato e ha lasciato che il film si aprisse verso qualcosa di più "libero e improvvisato".

Andando avanti ha scoperto che "in un heist movie classico i protagonisti escono di prigione, si incontrano, fanno un'ultima rapina e poi si ritirano; la rapina è il colpo di scena finale, io invece ho spostato il furto all'inizio. Ma è proprio quando vuoi rompere le tradizioni che ti rendi conto del perché funzionino così bene; non è stato facile, ho continuato a scrivere per quasi un anno e mi sono ritrovata con un terzo atto che sembrava un inizio, ma non riuscivo a liberarmene. Ero confusa, succedevano troppe cose e c'erano troppi personaggi; così ho fatto leggere la sceneggiatura alla persona con cui in genere scrivo i miei film (Jonathan Raymond n.d.r), che questa volta però era impegnato altrove. È stato lui ad aiutarmi a ritrovare il filo conduttore, semplificando tutto. Ogni volta che penso di potermi allontanare dalla struttura narrativa classica, mi rendo conto di non avere il talento per farlo e alla fine ci ritorno sempre".