Uno dei film più attesi, The Last Showgirl, terzo film della nipote d'arte, Gia Coppola, dopo Mainstream. Perché lo si attende? È la prima (escludendo il flop Barb Wire), e lo diciamo subito, superatissima prova da protagonista di Pamela Anderson che, ancor più di una Demi Moore che ha dimostrato in questi mesi, con The Substance, di non essere l'attrice popcorn con cui da 40 anni l'hanno etichettata, mette in scena il suo cuore attoriale, indipendete e coinvolgente.

In uscita con la giovane Be Water Film il 3 aprile, il film vede la ex bagnina di Baywatch nei panni di Shelly, una showgirl di Las Vegas, costretta a rivedere tutte le proprie scelte di vita alla notizia della chiusura dello spettacolo di simil Moulin Rouge dall'intrigante e giocoso nome di Le Razzle Dazzle, che la vede impegnata da trent'anni.
Un grande cast

Con due attori come Jamie Lee Curtis e Dave Bautista perfetti ad accompagnare e per certi versi veicolare meglio questo percorso di caduta, rinascita e resa dei conti da sogni imperfetti e forse mai realizzati, The Last Showgirl è un film che porta avanti, con maestria, una riflessione profonda su molti temi fondamentali come il valore dei sogni, la maternità, l'essere pienamente donna, essere un'artista. Gia Coppola non poteva scegliere interprete migliore vista l'affinità emotiva tra le vicende del film e quelle personali di Pamela Anderson, tornata alla ribalta per un documentario Netflix sulla sua vita diretto da Ryan White, dal titolo Pamela, A love Story, prodotto da uno dei figli dell'attrice, Brandon Thomas Lee. The Last Showgirl è un film malinconico dove le luci della ribalta vengono sostituite da quelle di una Vegas del dietro le quinte, dei camerini, delle delusioni e di tutti quegli artisti che creano intrattenimento senza però mai essere acclamati, visti, riconosciuti.
I sogni inseguiti, i sogni infranti

Grazie alla fotografia eclettica e poetica di Autumn Durald Arkapaw, già DOP nel primo film di Gia Coppola, Palo Alto, la regista mette in chiaro che il nostro sguardo su questa storia è quello filtrato dalle emozioni di Shelly, anche quando non è lei a vivere ed ad osservare ciò che accade, gli avvenimenti a cui assistiamo accadono dentro il suo universo. Lei vede l'arte e la creatività dove gli altri vedono un lavoro superficiale e inutile, lei si ritiene artista e abile ballerina mentre coloro che la vedranno esporsi ad altre possibilità, dopo la chiusura del suo show trentennale, la reputeranno solo una che un tempo era molto bella e attraente e ora non è più nulla.
Questo scollamento tra come il mondo di Shelly è visto da fuori e come lei lo vive, è rappresentato da Coppola con una sincerità e una malinconia spiazzanti, nel contrastante binomio tra la protagonista sul palco ( in uno show che non vediamo mai) ricoperta di lustrini e chili di trucco e quella del dietro le quinte o nella propria casa, acqua e sapone, con vestiti dismessi, mentre interagisce con le amiche e compagne di avventura o con la figlia trascurata da sempre.
E poi c'è quel viso senza artifici che la Anderson, nella realtà, ci ha insegnato a conoscere molto bene negli ultimi due anni. Sappiamo di essere a Las Vegas ma il tipico panorama scintillante al neon non lo vediamo mai perché la Vegas di Shelly ha un tramonto dai colori pastello ed è il luogo dei sogni inseguiti, realizzati a suo modo e dei tanti infranti. Per la stessa ragione, non importa veramente vedere lo show, è più importante immaginarlo nella cura che gli porta Shelly, nella noncuranza che gli riservano le ballerine più giovani e il disprezzo negli occhi di Hannah ( Billie Lourd), la figlia della donna.
Jamie Lee Curtis

C'è chi ha scritto e detto che la grandezza di Jamie Lee Curtis e il carisma del suo personaggio oscurano quello di Pamela Anderson, e dunque rischiano di far perdere il fuoco su Shelly e il suo percorso. Come abbiamo invece anticipato nell'introduzione, è vero l'esatto contrario. La magnificenza di Jamie Lee Curtis, rafforza l'universo di Shelly, lo rende più chiaro e più amaro. La sua Annette è finita a servire cocktail ai tavoli da gioco di un casinò, abbigliata in una tenuta che ricorda una via di mezzo tra un fattorino d'albergo e una majorette in scuro.
Dietro i suoi discorsi apparentemente saggi, concreti e pieni di "ho il controllo su tutto" c'è una donna nostalgica di un periodo della propria vita in cui gli occhi di tutti erano su di lei, sulla scena e fuori, un sentimento che anche Shelly condivide, manifesta in maniera diversa e che permea tutto il film. Curtis riesce a condensare tutto in una scena che le avrebbe dovuto almeno regalare una nomination ai maggiori premi, in cui, nell'indifferenza generale, mentre lavora, sale su un tavolo e balla sensualmente la storica ( e sicuramente non casuale) hit anni '80 Total Eclipse of the Heart.
Dream Hard

Shelly ha scelto di non essere una madre presente. Lungo il film scopriamo chi è il padre di sua figlia, le sue vicende sentimentali ed anche che la storica performer di Le Razzle Dazzle, si è dedicata anima e corpo allo show per trent'anni ritenendolo il sogno realizzato, sacrificando la sua presenza nella vita della figlia. Gia Coppola è molto schietta nel mostrarci il tentativo delle due, di trovare una chiave per avere un rapporto, per essere madre e figlia, perdonare o accogliere che sia andata come è andata. In questo test genitoriale, Shelly si ritrova a dare consigli ad Hannah (Billie Lourd) tra cui quello, insolito, del Dream Hard che in italiano potrebbe essere tradotto con un Sogna fortemente, continua a sognare senza lasciare spazio a piani B più sicuri e, dunque, rassicuranti.
Tutto ciò la dice lunga sul perché Shelly abbia fatto le scelte che ha fatto e senza giudicare le sue azioni, Gia Coppola mette a nudo una donna che è di fatto andata contro una narrativa già prestabilita che le imponeva, come madre, di rinunciare alla carriera per un lavoro più convenzionale e consono al ruolo di genitrice. Coerente fino alla fine, Shelly, nello scusarsi per non esserci stata per la figlia, ribadisce però il suo diritto a scegliere quale versione di sé essere o no. È tutto amaro, triste, opinabile ma stramaledettamente concreto e vero e Gia Coppola sa quando togliere poesia e puntare alla cruda realtà.
Conclusioni
The Last Showgirl, prima vera prova da protagonista di Pamela Anderson, diretta da Gia Coppola, è affresco disincantato, crudo ma poetico del dietro le quinte di una Las Vegas di sogni imperfetti e a volte infranti, nello sguardo di una ballerina in crisi alla notizia che il (mediocre) show in cui si esibisce da trent’anni, sta per chiudere. Pamela Anderson si rimette in gioco artisticamente e riesce bene a incarnare disillusione, imperfezione e malinconia coadiuvata da interpreti che accompagnano il senso del film, Dave Bautista e l’immensa seppur mai invadente Jamie Lee Curtis.
Perché ci piace
- Pamela Anderson è perfetta nell’incarnare la resa dei conti con i sogni.
- Gia Coppola è schietta e poetica nel rappresentare sia la protagonista che Las Vegas.
- Parla efficacemente d’arte, di speranze, di fallimenti, genitorialità, sogni.
Cosa non va
- Non ha lo stesso impatto, per regia e protagonista, di film rinascita come The Wrestler.
- È più malinconico che duro, non prende posizioni chiare.