Come spiegheremo nella nostra recensione di The I-Land, questa serie TV Netflix, che è stata definita come la brutta copia di Lost, in realtà attinge a più di uno show di successo degli ultimi anni, cercando con poca fortuna di conquistare gli spettatori nel corso delle 7 puntate prodotte.
La serie creata da Anthony Salter non è totalmente priva di potenzialità interessanti, tuttavia ogni possibile elemento positivo viene diluito in una narrazione confusa e che non può contare su un cast di livello, situazione che peggiora ulteriormente la sorte di uno dei titoli più sorprendentemente mal riusciti proposti dalla piattaforma di streaming negli ultimi anni.
Un'isola deserta e molti misteri
The I-Land si apre con il risveglio di una giovane donna su una spiaggia e la scoperta di essere insieme ad altre nove persone su quella che sembra essere un'isola deserta, senza alcun ricordo legato al proprio passato o al motivo per cui si trovano in quella località remota.
Una serie di oggetti rinvenuti tra la sabbia e le etichette presenti sui loro vestiti che riportano i nomi di chi li indossa sono i primi indizi su cui il gruppo cerca di lavorare per capire cosa stanno affrontando e perché. La più attiva nel tentativo di risolvere il mistero è Chase (Natalie Martinez), le cui teorie e azioni vengono però criticate dagli altri "compagni di sventura": la gelida KC (Kate Bosworth), il violento Brody (Alex Pettyfer), Cooper (Ronald Peet), Moses (Kyle Schmid), Blair (Sibylla Deen), Mason (Gilles Geary), Donovan (Anthony Lee Medina), Taylor (Kota Eberhardt), e Hayden (Michelle Veintimilla).
Tra litigi su come sopravvivere, attacchi fisici senza apparenti motivazioni, rivalità, la strana ripetizione del numero 39, ritrovamenti e persino creature marine assetate di sangue, i protagonisti iniziano a ricordare il proprio passato, rivelando un lato oscuro che forse vorrebbero dimenticare.
Una copia non riuscita e poco ispirata di Lost
Senza alcun dubbio i primi minuti della serie prodotta da Neil LaBute, coinvolto anche come sceneggiatore e regista, sembrano una copia perfetta, anche per quanto riguarda le inquadrature, di Lost, con la protagonista che si risveglia come Jack, con una personalità simile al personaggio interpretato da Matthew Fox, ricordato persino nell'abbigliamento. Le somiglianze proseguono poi nelle reazioni alle strategie di sopravvivenza e negli atteggiamenti di ognuna delle persone coinvolte. Ben presto, tuttavia, si capisce che il progetto non possiede in nessun modo la profondità che aveva caratterizzato il cult andato in onda su ABC.
Il primo episodio di The I-Land (titolo che bisogna ammettere essere al limite del ridicolo, pur possedendo un significato nascosto) riesce comunque a suscitare una certa curiosità nonostante il gruppo al centro degli eventi sia quasi insopportabile, introducendo degli elementi che si avvicinano a Westworld, somiglianza che diventa sempre più evidente proseguendo con la visione.
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Gli autori, quasi inspiegabilmente, hanno totalmente evitato ogni approfondimento psicologico e in soli due capitoli della storia si assiste a tentativi di violenza sessuale, omicidi, attacchi in mare, ritrovamenti inspiegabili e tentativi di rivolta. Il susseguirsi di eventi porta alla svolta, costruita a livello narrativo in modo incredibilmente approssimativo, che non aiuta però a migliorare il livello della serie, al contrario lo affossa definitivamente perché giustifica l'entrata in scena di ulteriori personaggi, tra cui un'imbarazzante coppia chiamata, senza alcuna inventiva, Bonnie & Clyde, e impone una chiave di lettura che smorza sul nascere ogni possibile spunto di originalità.
Un cast poco ispirato
Se non bastasse una sceneggiatura - firmata da LaBute e Lucy Teitler - nata dalla fusione di altri show televisivi, film e romanzi, fragile e surreale, le interpretazioni sono prive di ogni trasporto emotivo o briciolo di convinzione, aderendo probabilmente all'unidimensionalità che contraddistingue i protagonisti. Natalie Martinez, un po' come la sua Chase, è l'unica che dimostra un po' di energia e impegno nella sua performance, e proprio per questo esagera in più passaggi della serie, perdendo quella spontaneità che le avrebbe forse permesso di salvarsi dai risultati fallimentari raggiunti da The I-Land.
Alex Pettyfer prosegue un periodo della sua carriera piuttosto in ombra con un personaggio davvero incomprensibile nella sua mancanza di lati positivi, e persino Kate Bosworth non riesce a emergere dalla mediocrità nonostante i suoi flashback siano forse i più interessanti.
La svolta del racconto in stile Dieci piccoli indiani stronca poi sul nascere ogni speranza di evoluzione dei personaggi che rimangono solo figure stereotipate, superficiali e in più di un caso al limite del ridicolo, anche a causa di battute davvero forzate.
A peggiorare ulteriormente il destino della serie sono degli inspiegabili buchi di trama all'interno di una storia in realtà molto semplice. La serie riesce addirittura ad autosabotarsi mostrando il passato di Chase, ma non motivando in nessun modo le immagini che fin dal primo episodio la ragazza ricorda.
Le sette puntate contengono inoltre innumerevoli contraddizioni, mancanza di coerenza tra quello che i personaggi dicono e le azioni, e una riflessione sul sistema giudiziario talmente superficiale da risultare esilarante. La violenza, seppur non eccessiva o visivamente disturbante, in più di un passaggio è immotivata e gratuita, l'atmosfera non ha mai un pizzico di leggerezza e l'epilogo del racconto supera ogni immaginazione proponendo ulteriori 'sorprese' fini a se stesse, non conducendo a un finale soddisfacente ed esaustivo.
Un epilogo deludente
Il settimo episodio, pur avendo a disposizione tutti i tasselli per completare il puzzle e risollevarsi almeno sul finale, scivola in un cliffhanger legato al titolo dello show, al riscaldamento globale (per quanto sembri assurdo) e al destino di alcuni dei protagonisti.
La serie creata da Anthony Salter, incapace di trovare un genere a cui appartenere o focalizzarsi su una delle tematiche o sottotrame, affonda inevitabilmente nel suo caos narrativo, non riuscendo nemmeno a copiare in modo utile titoli ben più curati e dal livello tecnico e artistico nemmeno paragonabile.
Conclusioni
La recensione di The I-Land, per spiegare la vera portata dei risultati disastrosi raggiunti dal progetto, dovrebbe rivelare alcuni spoiler importanti sugli eventi rappresentati, ma questo rovinerebbe in realtà il divertimento degli spettatori che troveranno il coraggio di iniziare la visione delle sette puntate. Il susseguirsi di rivelazioni surreali, le azioni 'mortali' dei protagonisti che scivolano nel ridicolo, l'emergere del passato e il finale della storia riescono infatti almeno a suscitare, in modo non volontario ovviamente, più di una risata.
The I-Land spreca tutto il potenziale che sembrava avere a disposizione nel pilot nelle sei puntate successive, diventando uno dei flop in campo seriale di Netflix più memorabili degli ultimi anni, al punto tale che un binge watching diventa quasi obbligato per poter assistere con un pizzico di stupore a un racconto assurdo fino a superare i limiti dell'incredibile.
Perché ci piace
- Il pilot riesce comunque a suscitare una certa curiosità.
- Le tematiche al centro del racconto sono attuali e interessanti.
- Se considerati un omaggio al valore degli show originali, i riferimenti a Lost e Westworld sono comunque interessanti.
Cosa non va
- La sceneggiatura è approssimativa e piena di buchi nella trama.
- Le performance degli interpreti sono mediocri e prive di trasporto emotivo.
- La risposta ai misteri apre la porta a ulteriori quesiti destinati a rimanere irrisolti.
- I passaggi 'copiati' da show cult come Lost evidenziano ancora di più i difetti del nuovo progetto.