È con dispiacere ma anche con consapevolezza che scriviamo questa recensione di The Good Fight 6, la sesta ed ultima stagione dello spin-off di The Good Wife, dal 26 ottobre su TIMVISION con appuntamento settimanale. Dispiacere perché l'universo creato dai coniugi Michelle e Robert King si avvia ufficialmente verso la fine e rappresenta un unicum per come sia stato importantissimo prima per la tv generalista con la serie originale, e altrettanto fondamentale dopo per le piattaforme streaming con lo spin-off. Consapevolezza perché già dai primi episodi, pur mantenendo una certa genialità di scrittura, montaggio e fotografia si avverte la stanchezza delle storyline di un legal drama che sempre più si è avvicinato alla realtà fuori dalla nostra finestra.
The World Has Gone Mad
Finestra sul mondo da cui si affacciano i protagonisti, in primis Diane (una sempre meravigliosa Christine Baranski), il cui personaggio oltre ad essere uno dei pochi sopravvissuti dalla prima stagione, dato che ha fatto nascere questo spin-off, è anche uno dei pochi con ancora qualcosa da dire. Chi non si immedesimerà vedendo il suo sentirsi sopraffatta dal mondo in cui stiamo vivendo, soprattutto alla luce del post-presidenza Trump e del post-pandemia, arrivato un livello di ebollizione tale da farle pensare di consultare uno specialista (la super new entry John Slattery) per provare a vedere il mondo con occhi diversi e con il sorriso. Qui c'è un grande lavoro di fotografia per mostrare il coloratissimo mondo (forse fittizio) che vede ora Diane e il suo (re)innamorarsi dei fiori, del loro inebriante profumo e della loro delicata e soffice consistenza, in diretto contrasto con il grigiore del mondo là fuori. Mondo dove si succedono scontri tra cittadini e polizia durante delle proteste che sembrano non avere fine e coinvolgere tutta la città, e in cui vediamo la luce solo quando vengono lanciati i lacrimogeni.
Viene anche data una data di scadenza ai personaggi (e quindi alla serie), data in cui succederà qualcosa di terribile, come da minaccia scritta su alcune bombe finte lanciate ai protagonisti. Proprio come nella seconda stagione che tuonava al grido di "Kill All the Lawyers" lo studio Reddick-Lockhart si trova ancora una volta al centro di grandi dissensi, compreso il controllo ai piani alti. I nuovi proprietari non sembrano fidarsi a lasciare solamente Liz (una donna) al comando e quindi coinvolgono come socio nominale Ri'chard Lane (Andre Braugher, l'altra new entry direttamente da Brooklyn Nine-Nine, che ben si presta all'universo narrativo tragicomico di The Good Fight). Mentre Slattery e Diane iniziano un rapporto professionale che poi diventa sempre più intimo, Audra McDonald continua a donare grande umanità e tenacia alla sua Liz che deve affrontare più attacchi contemporaneamente da tutte le parti. In primis Ri'chard che sembra essere dalla sua parte ma, come ci ha insegnato l'universo lavorativo dipinto dai King, tutti sono sempre pronti a farti le scarpe.
The Good Fight 5, la recensione: torna il legal drama più attuale che c'è
L'inizio della fine (di Eli Gold)
Il vero grande ritorno dall'universo di The Good Wife è però quello di Eli Gold (al secolo Alan Cumming), grazie al personaggio della figlia Marissa (Sarah Steele), presente fin dagli esordi dello spin-off. The Good Fight ha cambiato continuamente pelle e cast negli anni cercando di trovare una propria identità. Non riesce a farlo totalmente nemmeno nell'ultima stagione, che però appare un po' sottotono rispetto alle due precedenti che potevano contare su due storyline orizzontali molto forti e attuali (quella del Memo 618 e quella dei finti tribunali americani). In quest'ultimo giro di boa si predilige invece il lato più onirico, surreale e suggestivo della scrittura di Michelle e Robert King, che viene messa in scena anche attraverso un montaggio più serrato. I due cercano addirittura di chiudere idealmente il cerchio nominando Alicia e Peter Florrick e il loro destino dopo il finale della serie madre. La verve e il cinismo di Eli sono confermati ancora una volta dalla straordinaria performance dell'attore, che potendo interagire con facce conosciute come Marissa e Diane aumenta il proprio appeal verso gli spettatori.
The Good Fight 4, la recensione: denaro, potere e il misterioso memo 618
Ci sono evoluzioni anche per Marissa stessa, appena diventata avvocato dopo aver superato l'esame e per l'ex new entry Carmen (Charmaine Bingwa), apparentemente gelida e irremovibile e sempre più addentrata nel sottobosco criminale di Chicago grazie al personaggio di Lester (l'adorabile Wallace Shawn). I casi guardano sempre con occhio ferocemente attento all'attualità : si pensi ad esempio a quello d'apertura sulla molestia sessuale subìta in un gioco virtuale da una ragazza, che non vuole che per questo sia considerata meno vera e che "si colpevolizzi la vittima" come accade di solito. Ciò che colpisce di quest'ultima stagione è l'attenzione ancora più chirurgica per l'aspetto tecnico che genera sequenze suggestive. Come lo spaesamento che prova lo spettatore insieme a Diane perché crede di stare vivendo un deja-vecu, ovvero un giorno in loop, oppure le misteriose proteste senza fine di questa Chicago tanto deserta quanto affollatissima, sempre inquietante e pericolosa. Se non riusciamo a stare tranquilli nemmeno per tornare a casa dopo il lavoro, dove finiremo? Se veniamo bombardati da feed news disastrose proprio come accade alla nostra Diane, come possiamo trovare un po' di pace? The Good Fight 6 è insomma un lucido e pessimistico ritratto dell'attualità che non fa sconti a nessuno ma rimane un po' confuso tra vecchio e nuovo per provare a chiudere degnamente una storia lunga tredici anni.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione della sesta ed ultima stagione di The Good Fight contenti delle new entry e dei ritorni in occasione dell’ultimo ciclo ma dispiaciuti che i coniugi King propongano una storyline orizzontale piuttosto debole, per quanto estremamente attuale, sull’ansia di vivere nel mondo post-pandemia-guerra-cambiamento climatico di oggi. Christine Baranski rimane il faro nella nebbia dello show e insieme a lei alcuni altri baluardi, come Audra McDonald e Sarah Steele, dando estremamente respiro ai personaggi femminili.
Perché ci piace
- Christine Baranski offre un’interpretazione sempre piena di mille sfaccettature alla sua Diane Lockhart.
- Montaggio e fotografia che giocano con contrasti visivi e suggestivi.
- L’ansia e l’incapacità di stare al mondo nel 2022 sono ben rappresentate dalla serie...
Cosa non va
- ...ma si dimostrano una storyline orizzontale più debole e meno incisiva rispetto alle due precedenti.
- L'attenzione al comparto tecnico di fotografia e montaggio potrebbe non piacere a tutti.