Con la recensione di The Farewell - Una bugia buona accogliamo, finalmente, l'uscita italiana di uno dei film che hanno dominato le conversazioni cinematografiche oltreoceano, fin dal suo esordio al Sundance Film Festival a gennaio dove è stato presentato all'interno del concorso americano. Successivamente l'opera seconda di Lulu Wang ha conquistato il pubblico americano (a oggi ha incassato quasi 20 milioni di dollari, pressoché sette volte il budget) e si è fatto apprezzare in diversi festival internazionali, tra cui la Festa del Cinema di Roma, ed è ora in lizza per due Golden Globe, per la migliore attrice e per il miglior film straniero (pur essendo una produzione statunitense, ha la maggioranza dei dialoghi in cinese). Un traguardo notevole per un progetto molto piccolo, delicato e personale, basato sulle vere esperienze della sua autrice.
Una storia (vera) all'insegna della famiglia
Le figure centrali di The Farewell - Una bugia buona sono Billi (Awkwafina) e sua nonna paterna, Nai Nai (Zhao Shuzhen). La ragazza vive a New York, mentre la nonna è rimasta a Changchun, in Cina. Billi, già alle prese con una delusione personale dopo aver scoperto che le è stata negata una borsa di studio offerta dal Guggenheim, scopre poi dai genitori che Nai Nai è in fin di vita: le è stato diagnosticato un tumore ai polmoni, in fase terminale, e le rimangono pochi mesi di vita. Per passare un ultimo momento insieme a lei, senza farle sapere la verità, la famiglia organizza una festa per il matrimonio di Hao Hao, cugino di Billi residente in Giappone. Alla giovane viene però chiesto di rimanere a New York, dato che lei è quella maggiormente legata a Nai Nai e rischia quindi di svelare l'inganno. Billi infrange però il divieto e si unisce al resto della famiglia, faticando a riconciliare l'affetto per la nonna con le tradizioni culturali cinesi che sono all'origine della bugia: come le spiega suo zio, lo stratagemma fa sì che il peso della diagnosi gravi sulle spalle dei parenti e non della diretta interessata.
Autobiografia, portami via
Come svelato da Lulu Wang in diverse interviste, la storia è basata su un vero episodio della sua vita, rielaborato con grande fedeltà. La regista, nata a Pechino, ha passato un anno a Changchun con la nonna, prima di trasferirsi negli USA a sei anni per via del lavoro del padre. Dopo aver mosso i primi passi dietro la macchina da presa con diversi corti, ha esordito nel lungometraggio nel 2014 con Posthumous, un dramma romantico su un artista squattrinato che in seguito a un equivoco si finge morto per approfittare del prestigio postumo. Già lì erano presenti l'ibridazione tra commedia e dramma e il tema dell'inganno, ripresi in questa sede con una maggiore maturità registica, dettata forse anche dalla dimensione più personale: la cultura cinese è rappresentata con precisione mista a incredulità, riflettendo la confusione di una persona divisa tra due mondi e due concezioni filosofiche della vita.
Come ha spiegato la cineasta in un'intervista a Variety ai tempi della prima al Sundance, lei ha sempre percepito il divario tra il rapporto con la famiglia e quello con amici e colleghi, e questo è evidente nella caratterizzazione di Billi, alter ego che regge sulle proprie spalle il peso di un racconto specifico e al contempo universale, una storia che attraversa un oceano per farci ridere e piangere nella consapevolezza che il tempo a disposizione è poco e va passato con le persone a noi più care.
Da The Farewell al nuovo Aaron Sorkin: ecco il 2020 di Bim!
La nonna è sempre la nonna
Il film vive di piccoli dettagli, mostrando squarci di tradizioni nelle quali ci si può riconoscere pur avendo un bagaglio culturale diverso. È un continuo equilibrio tra commedia e tragedia, espresso al meglio nel rapporto tra le due figure principali e nel contrasto tra le due attrici scelte per incarnarle: da un lato c'è Billi, ruolo affidato ad Awkwafina che si lascia alle spalle il suo classico stile votato alla risata pura (basti pensare a Crazy & Rich) e si tuffa senza remore in un universo drammaturgico a lei per lo più ignoto (a differenza del suo personaggio, l'attrice è americana di nascita), sfruttando la nuova esperienza per dare maggiore credibilità al percorso della protagonista, anch'ella alle prese con qualcosa di nuovo e a tratti troppo grande per lei; dall'altro c'è Nai Nai (soprannome tradizionale per indicare la nonna paterna nella cultura cinese), la cui interprete Zhao Shuzhen è invece alle primissime armi davanti alla macchina da presa ma non lascia trasparire alcuna inesperienza, regalandoci una performance intrisa di un vissuto e di un non-detto che arrivano dritti al cuore. Attorno a questo strambo binomio è impostato un meccanismo narrativo semplice ma in realtà denso di significati più profondi, che trasformano la banalità quotidiana in uno struggente ritratto intimo di un grande affetto famigliare.
Conclusioni
Con la chiusura di questa recensione di The Farewell - Una bugia buona ci congediamo da un piccolo grande film, che racconta il contrasto fra due culture in modo intelligente, sensibile e delicato, ponendo al centro le contraddizioni che esistono all'interno di ogni famiglia. Si ride e si piange, e alla fine, nonostante le implicazioni del titolo, non si ha voglia di dire addio. Anzi, viene spontaneo voler rivedere subito quello che succede a Billi e Nai Nai.
Perché ci piace
- La storia colpisce con semplice efficacia.
- Awkwafina sorprende con un inedito registro drammatico.
- La rappresentazione della cultura cinese è rispettosa e intrigante.
Cosa non va
- Sconsigliato a chi non ha voglia di piangere.