Qual è il prezzo di un'ossessione? Quanti anni devono passare affinché ci si possa sentire realizzati? E in che modo le nostre scelte ci portano fuori dal flusso della vita rendendoci sempre più solitari, chiusi in una prigione mentale che rischia di consumarci? No, non avete sbagliato: state leggendo davvero la nostra recensione di The Disciple, film indiano presentato in concorso alla 77esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia che, per due ore e dieci, segue instancabilmente l'ossessione del protagonista che cerca di proseguire una tradizione musicale destinata, via via, con l'arrivo della modernità, a scomparire.
40 anni vergine
La trama di The Disciple è difficile da riassumere. Non tanto per la sua complessità (a dire il vero il film è abbastanza schietto e diretto) quanto perché si tratta, almeno per la prima metà, di un'esperienza sensoriale che le parole non possono rendere al meglio. Il film racconta la storia di un ragazzo di nome Sharad, cresciuto con una figura paterna che l'ha educato alla musica della tradizione indiana, quella che nel film viene chiamata "musica classica", e che si compone, per lo più, di rag, composizioni semi-improvvisate che cercano di richiamare una dimensione spirituale sia da parte dell'ascoltatore sia per chi dà voce a questi canti basati sulla ricerca di un flusso interiore. È musica che cerca di arrivare al divino, al sublime, attraverso la voce umana. È anche una musica che richiede un'assoluta concentrazione e un allenamento estremo che non ammette imperfezioni o distrazioni, come ad esempio le relazioni d'amore o lavori "seri". Alcuni dei più famosi interpreti della musica classica, come viene detto nel film da parte dei guru, i maestri di canto, hanno donato ben 40 anni della loro vita pur di riuscire a cantare nel migliore dei modi. Sharad non ha dubbi: vuole diventare un famoso cantante di musica classica al pari di certi suoi idoli che ascolta fin da ragazzo seguendo gli insegnamenti della misteriosa Maai, una maestra di canto di cui lui possiede gli unici nastri esistenti che ascolta continuamente mentre viaggia in motorino. Forse, però, per riuscire nell'impresa, occorre anche del talento innato e, man mano che passano gli anni, la fede di Sharad verso sé stesso verrà messa a dura prova. È davvero nato per cantare i rag o forse, nel suo essere costantemente imperfetto, sta sprecando la sua vita?
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L'allievo
Diviso quasi nettamente in due parti, una prima metà che racconta la giovinezza di Sharad negli anni Novanta e una seconda in cui, a quasi quarant'anni, il nostro deve fare i conti con la contemporaneità e la perdita della tradizione, The Disciple tiene fede al suo titolo dando perfettamente la sensazione di un protagonista che, nonostante qualche breve successo personale, non riesce a scrollarsi di dosso il suo essere costantemente un allievo. Incapace di padroneggiare al meglio la tecnica vocale prima e impossibilitato ad avere un successo negli anni in cui è la musica viene contaminata dal pop e dai talent show poi, Sharad può solo sentirsi un maestro insegnando, senza troppi responsi positivi, a degli alunni bambini. Non sarà mai un guru, non avrà mai un discepolo come lui, pure in età adulta, lo è per il suo maestro. È un uomo che ha basato tutta la sua vita su qualcosa che prometteva di essere immortale e divino e, invece, è solo temporaneo e umano. Così, mentre Sharad lotta con sé stesso per trovare dentro di sé quel flusso emotivo che gli permetterebbe di esprimersi al meglio, il flusso del tempo che scorre, della contemporaneità, dei cambiamenti lo trascina senza possibilità di vittoria al di fuori del mondo in cui vive.
Song to song
Non è un caso che la prima parte del film metta in scena anche quella ricerca della dimensione divina, di quel flusso emotivo anche attraverso il linguaggio cinematografico. Se si accetta di abbracciare la spiritualità che lo stesso protagonista vuole cantare e dimostrare attraverso la propria passione, il film nei momenti migliori è un'esperienza incredibile: lunghi viaggi in motorino in una Mumbai notturna, performance che sembrano assomigliarsi ma in realtà sempre diverse, allenamenti per ricercare -anche e soprattutto mentalmente- quella potenza espressiva necessaria alla composizione del rag perfetto, capace di creare un'esperienza mistica da parte dell'ascoltatore. Peccato che, nella seconda parte, si perda un po' questa dimensione spirituale prima preponderante: complice un cinismo sempre maggiore, le canzoni che si susseguono sembrano perdere sempre di più la loro potenza. Sharad diventa vittima della contemporaneità sempre più pressante e capace di assimilare la tradizione culturale di un Paese per masticarla e risputarla contaminata e scevra di quei valori: che tutta la sua vita si sia basata di una bugia? Il ritmo, senza più quella tensione così presente nella prima parte del film, cala parecchio e la presa di coscienza di Sharad avviene senza troppi picchi emotivi rallentando ancora di più un ritmo già dimesso che richiede, da parte dello spettatore, parecchia pazienza.
Padre padrone
The Disciple è anche una storia di padri e figli e di quanto la lotta tra tradizione e contemporaneità si ripercuote sul conflitto tra generazioni. Sharad è figlio di due padri: uno biologico, appassionato e studioso di musica classica indiana che l'ha in qualche modo obbligato fin da ragazzo a concentrarsi sulla comprensione e sullo studio delle note e del canto costruendogli, di fatto, la passione per la musica; l'altro putativo, il suo guru, il suo maestro di canto che di questa figura paterna ne diventa il fantasma. Sharad lo assiste anche in età adulta continuando un rapporto tra maestro e discepolo (a questo punto il termine è preferibile ad "allievo" vista la relazione instaurata tra i due) non esente da continue critiche. Più il film prosegue, più si ha l'impressione che Sharad non sia in grado di cantare perfettamente proprio perché vittima di una passione iniettata artificialmente proprio in una tipologia di canto (quindi di dar voce alla propria interiorità) dove il vero sentimento è la base musicale richiesta. La perdita della tradizione nell'epoca contemporanea corrisponde alla stessa crisi di valori interiore di Sharad: che sia giunto il momento, arrivato alla soglia dei quarant'anni, di abbandonare i sogni degli altri e costruirsi definitivamente come un padre di famiglia liberandosi di quella che forse è sempre stata una passione forzata? A ben vedere, The Disciple sembra porci addirittura una domanda ancora più importante che raffigura un conflitto tra la generazione dei nostri padri e quella di noi millennials, testimoni di una rivoluzione sociale, culturale e globale che abbracciamo con la mente più aperta rispetto ai nostri antenati: cosa vogliamo fare della nostra vita? Vogliamo essere allievi, imparare e da quella base genitoriale crescere, maturare e sbocciare oppure preferiamo rimanere dei discepoli, perenni studenti sottomessi alle volontà dei padri padroni?
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di The Disciple ben sapendo che il film di Chaitanya Tamhane non è un’opera destinata al pubblico più ampio possibile. Molto spirituale, molto musicale (per quanto non sia musica che siamo abituati ad ascoltare e che può risultare stancante alla lunga) e costante nel suo ritmo dimesso per tutta la sua lunga durata, The Disciple richiede uno sforzo non indifferente da parte dello spettatore, ma capace anche di risultare ipnotico e soddisfacente se ci lasciamo abbandonare al flusso del film.
Perché ci piace
- La prima metà del film è un’esperienza sensoriale e musicale non indifferente.
- L’ossessione personale del protagonista ci permette di affezionarci al personaggio per tutta la durata del film.
- Riesce a raccontare molti dei conflitti contemporanei come la perdita della tradizione culturale, del cambiamento sociale, dello scontro generazionale, rendendolo uno film perfetto per il nostro tempo.
Cosa non va
- La ripetitività di certe scene potrebbe mettere a dura prova lo spettatore meno interessato alla vicenda.
- La seconda metà del film non regge il confronto con la bellissima e incredibile prima parte.