Non possiamo che iniziare la nostra recensione di The Book of Vision sottolineando l'audacità del regista Carlo S. Hintermann nel portare in scena una storia che travalica il tempo e lo spazio, si svolge attraverso due storie parallele che si incrociano attraverso un libro (che dà titolo al film) e lo mette in scena con un certo lirismo delle immagini. Presentato come film d'apertura per la Settimana Internazionale della Critica al Festival di Venezia 2020, The Book of Vision esce finalmente in sala, luogo adatto per lasciarsi trasportare dalla bellezza e dalla raffinatezza delle immagini. Un trasporto che il film cerca in tutti i modi di costruire, ma che fatica ad ottenere. Al netto di un inizio intrigante, The Book of Vision sfoglia le proprie pagine, una alla volta, in maniera un po' automatica, più interessato alla confezione e a un modello aulico e poetico come il cinema di Terrence Malick, ma senza riuscire a trovare una voce vera che sappia portare in scena (e catturare lo spettatore) le emozioni di cui tanto parla.
Il libro che lega
Eva (Lotte Verbeek) è una dottoressa universitaria che ha deciso di lasciare i suoi studi medici oncologici per concentrarsi sulla storia della medicina. Il suo interesse si rivolge in particolare alla figura di un dottore del Settecento, tale Johan Anmuth, che in conflitto tra la vecchia medicina, più legata all'anima del paziente e alla comprensione, e la nuova, che tratta il corpo come una macchina secondo una spinta più razionalista, scrive un libro di memorie che di questo conflitto ne simboleggia l'unione. Il Libro della Visione che dà titolo al film è questo manoscritto delicato e antico che Eva studia e legge, rimanendone coinvolta a livelli intimi. Si svolgeranno così due storie parallele: quella di Eva, ambientata nel mondo contemporaneo, che troverà una nuova ragione di vita nonostante le difficoltà a cui il suo corpo è sottoposto a causa di una malattia e quella di Elizabeth (sempre Verbeek), paziente di Anmuth nel Settecento. Il tempo inizierà a confondersi, il destino delle due donne miracolosamente sembrerà unirsi, sino ad arrivare alla consapevolezza dell'eterno ciclo tra vita e morte, tra passato e futuro, tra fine e nuovo inizio.
Fotografare un cast sdoppiato
Scelta saggia e interessante quella di utilizzare gli stessi componenti del cast per entrambe le storie. Interpretando personaggi diversi ma dai ruoli simili, i protagonisti hanno modo di mettere in scena attraverso i corpi la ciclicità tematica che il film vuole affrontare. A fianco di Lotte Verbeek, attrice olandese già vista nella serie televisiva I Borgia e nel film Colpa delle stelle, troviamo Charles Dance, nel duplice ruolo del medico che ha in cura Eva e lo stesso Anmuth. Si viene a creare, così, un piacevole corto circuito che collega le due storie e ne mette in scena analogie e differenze attraverso le immagini. Non c'è dubbio che la parte visiva sia il vero fiore all'occhiello del film. La fotografia di Joerg Widmer contribuisce a separare le due diverse ambientazioni temporali (più digitale nella contemporaneità, più affrescata e barocca nel Settecento) riuscendo a connetterle attraverso i movimenti di macchina, parecchio virtuosi. Da questo punto di vista la visione di The Book of Vision (vogliate perdonare il gioco di parole) trova una piacevole dimensione nel grande schermo della sala cinematografica.
I 15 film più attesi dell'estate 2021
Nel nome di Malick
Non sorprende trovare nei titoli di testa, nel ruolo di produttore esecutivo, il nome di Terrence Malick. Il regista di The Tree of Life (film a cui lo stesso Carlo S. Hintermann ha lavorato) è ben presente all'interno di The Book of Vision, forse sin troppo. Vedendolo come un padre putativo, Hintermann replica lo stile del regista americano, non solo nel reparto visivo ma anche in quello di scrittura. Ecco che troviamo voci fuori campo, dilemmi esistenziali e filosofici sulla vita e la morte, speranze espresse ad alta voce, inni all'amore come salvezza del proprio essere. Tutto un repertorio che Malick ha ben sviluppato nell'arco dei suoi film degli anni Dieci del Duemila. Se per la prima parte del film il tutto appare un sincero e amorevole omaggio al grande maestro cinematografico, con il passare del tempo, mentre il film continua a scorrere si ha la sensazione di assistere a qualche analogia di troppo. Il risultato è un film che sacrifica l'unicità della propria voce per assomigliare alle opere, decisamente più poetiche e raffinate, del regista vincitore della Palma d'Oro. Pagina dopo pagina il Libro della Visione appare più come un oggetto prezioso e pregiato nella confezione che contenitore di vera e propria scrittura originale. Se dal lato estetico il film riserva alcuni momenti particolarmente riusciti e impressionanti (su tutti una bellissima sequenza che ha a che fare con le radici di un albero), davvero visionari e potenti, l'incantesimo presto si rompe a causa di una scrittura che non sa coinvolgere lo spettatore. Ne risulta un film che si ferma alla superficie, che vuole mettere in scena l'importanza delle emozioni (il conflitto corpo/anima assomiglia molto a quello Grazia/Natura di The Tree of Life), ma fallisce nelle proprie ambizioni, creando un esercizio di stile audace sulla carta, ma freddo alla lettura.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di The Book of Vision non possiamo considerare il film di Carlo S. Hintermann completamente riuscito. L’ambizione c’è, la cura estetica pure, ma la tematica principale del film avrebbe meritato molto di più. Replicando lo stile di Terrence Malick in tutto e per tutto, il film sembra rimanere costantemente sulla superficie, spoglio di un significato più profondo, lasciando lo spettatore ammaliato dalla forza delle immagini, ma glaciale dal punto di vista emotivo. Emozioni che sono il cuore del film, ma che non trovano una voce unica e personale per poter portare lo spettatore in un viaggio davvero oltre il tempo.
Perché ci piace
- La cura estetica delle immagini lascia ammaliati.
- Il film è audace per la trama e per le tematiche che vuole affrontare.
- Il cast sdoppiato in due storie parallele e distanti nel tempo si fa valere.
Cosa non va
- Troppo derivativo dal cinema di Terrence Malick, il film fatica a trovare una voce unica e sincera che possa donargli profondità maggiore.
- La scrittura non trova mai la poesia che cerca, lasciando poco coinvolgimento allo spettatore.