Che strane, le secondo possibilità. Un concetto applicabile a diversi aspetti della nostra vita, ma ben distante dalle opere cinematografiche o dalle imprese sportive. Se sbagli un rigore in finale di Coppa del Mondo non c'è seconda possibilità che tenga, così come se sbagli film: semplicemente non puoi rifarlo da capo. Vero, la post-produzione aiuta, ma di certo il montaggio non fa miracoli. In questo senso, il tema della rivincita si lega in modo ben strutturato gli sport movies, carichi di epica, di metafore, di spunti in cui potersi ritrovare e, chissà, riconoscere. E di rivincite, umane più che sportive, parla The Beautiful Game di Thea Sharrock, distribuito da Netflix. Allora, in apertura di recensione, è doverosa una sorta di introduzione ben oculata. Il motivo? Il giudizio sul film potrebbe restare in pending, dato lo spirito solidale della produzione: c'è cuore, c'è calore, c'è emotività, forse spicciola ma, nella sua semplicità, efficace per lo scopo ricercato.
Dall'altra parte però è innegabile quanto la struttura di The Beautiful Game sia estremamente gracile, e ancora più scricchiolante se consideriamo le due ore di durata che, spesso, girano su se stesse. Ma "se non si gioca per le medaglie ma si gioca per la squadra", il film della Sharrock punta effettivamente ad un calore tonale reso vivido sia dall'estetica (ultra-satura) sia dalla storia che, oggettivamente, si presta per essere declinata in chiave filmica. Una storia di resistenza, di rinascita, di complicità. Una storia di positività, da rintracciare anche negli anfratti più complessi. Come detto però l'umore potrebbe non bastare a salvare un'operazione lodevole ma, generalmente, poco efficace. Il motivo? Pur essendo parte di un discorso empatico e partecipe che vogliamo sottolineare, il didascalismo narrativo incombe inesorabile.
The Beautiful Game, la trama: a Roma per la Homeless World Cup
Parlavamo di spirito solidale, perché The Beautiful Game è stato sviluppato in simbiosi con la Homeless World Cup Foundation che, dal 1999, organizza la Coppa del Mondo per i senzatetto di tutto il mondo. La sceneggiatura di Frank Cottrell-Boyce, in questo caso, pur non basandosi su storia vera, ha preso spunto da diverse vicende che sono confluite sui campetti di tutto il mondo. Storie di coraggio, di speranza, di rifugiati che cercano un cielo senza bombe. Dunque, secondo il film Netflix, la nuova tappa dell'evento annuale si ferma nientemeno che a Roma (anche se in verità a Roma non è mai stata giocata). La trama quindi segue la nazionale inglese dei senzatetto: a gestire i ragazzi, complicati ma talentuosi (ognuno con i propri demoni), l'allenatore Mal (Bill Nighy, sempre un fuoriclasse) che, tra abbracci, discorsi motivazionali, e allenamenti, li porterà sotto il sole della Città Eterna per la Homeless World Cup, rappresentata dall'organizzatrice Gabrielle (interpretata da Valeria Golino!) che, scopriamo, era una vecchia infatuazione di Mal (c'è anche un'improbabile traccia romance). Quindi, in una Roma da cartolina, filtrata da uno sguardo cine-turistico, andrà in scena un torneo capace di cambiare la consapevolezza di ogni partecipante.
Una storia nobile, un film artificiale
Essenzialmente, The Beautiful Game segue in modo rettilineo la poetica dei classici film sportivi, dove un gruppo di underdog compie una sorta di percorso catartico. Viene illuminato il concetto di quanto sia fondamentale partecipare più che vincere, e si spinge al massimo la leva dei buoni sentimenti. Basta? Solo in parte, anche perché all'interno del film - nobile, lo ripetiamo - accade ben poco. L'intreccio tra i personaggi non sembra essere mai il vero fulcro, e alla lunga risulta sfilacciato, artificiale e in qualche modo superfluo (due ore di timing sono senza dubbio eccessive ed eccedenti). L'approccio estetico, patinato ed edulcorato, incide ben poco, mentre Bill Nighy prova in tutti i modi a sopperire al cast di contorno che, diremmo, non risulta propriamente esaustivo.
Ciononostante, se il giudizio complessivo mai come in questo caso è conflittuale, continuiamo a sottolineare l'oggettiva importanza umana di The Beautiful Game: il calcio è la metafora giusta per sintetizzare lo spirito di una storia di unione e accettazione che, attraverso lo sport, punta lo sguardo su coloro che, pur popolando le grandi metropoli (Roma compresa), risultano troppo spesso invisibili. E se un film - anche se ben poco riuscito - può aiutare a spostare le nostre consapevolezze, facendoci scoprire la realtà dietro la Homeless World Cup, allora il giudizio tecnico-narrativo è comprensibilmente relativo.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di The Beautifull Game, il film con Bill Nighy ci porta a scoprire la realtà dietro la Homeless World Cup, ma la storia soffre di un'approssimazione tale da renderla decisamente artificiale. Buoni sentimenti e spirito solidale, ma anche una durata eccessiva se pensiamo che all'interno del film accadono ben poche cose. Vedetelo in lingua originale, l'auto-doppiaggio di Valeria Golino è straniante.
Perché ci piace
- Bill Nighy.
- La vicenda solidale.
- Possiamo scoprire la Homeless World Cup.
Cosa non va
- C'è Roma, ma troppo patinata.
- Le sottotrame.
- Dura troppo.