È un mondo cupo e minaccioso, quello in cui si muovono i personaggi di The Americans. Un mondo pervaso, in ogni suo anfratto, da un sottile ma ineludibile senso di paranoia. Un mondo in cui, anche di giorno, la luce rimane avvolta da una spessa coltre di nubi, come se un impenetrabile manto grigio avesse avvolto il pianeta. Un mondo dove, al calar del sole, la realtà all'improvviso si capovolge, gli individui mutano sembianze e perfino la più armoniosa famiglia americana può rivelare un volto completamente inaspettato.
E sono appunto l'ambiguità e la doppiezza i due paradigmi tematici attorno ai quali ruota l'universo di The Americans. In onda sulla FX dal 30 gennaio 2013, tre stagioni applauditissime dalla critica e una quarta attualmente in lavorazione e in calendario per il 2016, The Americans ritorna finalmente anche in Italia: a partire da stasera, infatti, alle 21:50 Fox trasmetterà in prima visione la terza stagione della serie spy thriller ambientata durante l'ultimo decennio della Guerra Fredda.
La famiglia Jennings
Facciamo un passo indietro. All'origine di The Americans c'è l'esperienza di Joe Weisberg, un ex agente della CIA che, dopo aver esordito in TV nel 2011 come regista di alcuni episodi di Damages e Falling Skies, si è basato sulle proprie conoscenze in materia - e su una vicenda realmente accaduta e finita nelle cronache nel 2010 - per creare una serie incentrata su una singolare coppia di spie. Perché Philip ed Elizabeth Jennings, a prima vista, sembrano incarnare per filo e per segno il modello del Sogno Americano: sono affabili, carismatici, di bell'aspetto, gestiscono un'agenzia turistica a Washington D.C., vivono in una splendida casa e hanno due adorabili figli adolescenti, Paige ed Henry. Perfino i loro vicini, i coniugi Beeman, stravedono per loro e non perdono occasione per frequentarli e scambiarsi inviti a cena. Eppure, all'insaputa di tutti, Philip ed Elizabeth celano un inquietante segreto...
L'inglese perfetto dei coniugi Jennings, acquisito grazie ad anni di pratica, maschera la vera origine di Philip ed Elizabeth. Che non si sono sempre chiamati Philip ed Elizabeth, ma fino a una manciata di anni prima rispondevano ai nomi di Mischa e Nadezhda e vivevano nella loro autentica patria: la Madre Russia. Nessuno, dunque, potrebbe sospettare che i coniugi Jennings siano due agenti del KGB, a cui la fedeltà nei confronti della propria nazione ha richiesto una scelta radicale: tagliare qualunque legame con il passato, accettare di diventare marito e moglie senza neppure conoscersi e infine, uno accanto all'altra, ricostruirsi un'esistenza totalmente nuova in America, nel cuore del paese nemico. Un'esistenza nuova ma fittizia, utile esclusivamente come la più formidabile delle coperture, laddove addirittura i figli rappresentano un veicolo per tenersi al riparo da qualunque ombra di sospetto e poter agire indisturbati con l'arrivo dell'oscurità, quasi come vampiri.
Al servizio del KGB
Ad impersonare i ruoli dei due protagonisti di The Americans, titolo antifrastico e sottilmente ironico nella sua semplicità, sono due volti noti del piccolo schermo. Philip, uomo cordiale e benevolo e padre di famiglia amorevole, ha il sorriso traboccante di affabilità di Matthew Rhys, attore gallese conosciuto dal pubblico soprattutto grazie alla sua partecipazione a Brothers & Sisters. Elizabeth, madre severa ma affettuosa, esibisce la fredda compostezza, ma occasionalmente anche la raffinata sensualità di Keri Russell, che proprio in TV, poco più che ventenne, ha trovato il successo grazie al personaggio del titolo nella serie Felicity. E non è iperbolico affermare che per Rhys e la Russell (che dall'inizio delle riprese fanno coppia anche fuori dal set) The Americans ha segnato l'apice delle rispettive carriere, regalando ad entrambi personaggi complessi e sfaccettati, in preda al senso di scissione fra una "vita reale" e una "vita simulata" che, tuttavia, non cessano di sovrapporsi e di confondersi, spesso con enormi rischi.
Difatti, a regalare a The Americans una tensione costante e portentosa è appunto la capacità di mettere in scena la "doppia vita" dei suoi impenetrabili antieroi: le missioni notturne di Elizabeth, pronta a cambiare look, indossare parrucche, simulare gli atteggiamenti più diversi, a seconda della necessità e degli ordini provenienti dal Centro (il quartier generale del KGB a Mosca), fino a trasformarsi in un'implacabile killer professionista; e le analoghe operazioni condotte, con la medesima efficienza, da suo marito Philip, che arriva al punto di crearsi un alias, Clark Westerfeld, sedicente ispettore della Internal Affairs Division, per circuire e sposare l'ignara Martha Hanson (Alison Wright), segretaria del supervisore dell'FBI Frank Gaad (Richard Thomas). Nello stesso ufficio di Gaad lavora pure l'agente Stan Beeman (Noah Emmerich), il vicino dei coniugi Jennings, il quale, dopo la separazione dalla moglie Sandra (Susan Misner), sviluppa con Philip un rapporto di amicizia e di confidenza.
Una nuova generazione di spie
Al termine della seconda stagione, dopo aver scoperto l'agghiacciante verità sul massacro della famiglia Connors (due "colleghi" del KGB, anch'essi sotto copertura, trucidati con i loro figli da un misterioso assassino svelato solo nell'epilogo), Philip ed Elizabeth venivano messi di fronte a un annuncio che li aveva lasciati sgomenti: Paige (Holly Taylor), la loro figlia quindicenne, avrebbe dovuto essere 'reclutata' dai genitori come futura componente di una "seconda generazione" di spie del KGB, nate e cresciute sul suolo statunitense. Un'imposizione destinata ovviamente a turbare il già precario equilibrio dei coniugi Jennings: un equilibrio fondato, fin dal principio, sulla rigorosa divisione fra la vita quotidiana da bravi genitori e l'attività segreta in qualità di agenti dell'Unione Sovietica. La terza stagione di The Americans si apre al contrario su questa inquietante prospettiva: far sì che Paige, devota cristiana e attivista politica in erba, venga a conoscenza della vera identità del padre e della madre e di conseguenza sia convertita alla causa della crociata contro il capitalismo americano.
Tale prospettiva provocherà reazioni contrastanti in Philip ed Elizabeth, oltre a determinare una rottura tra Philip e il loro nuovo supervisore, Gabriel, un ruolo affidato a un veterano di razza quale Frank Langella (Frost/Nixon - Il duello). Ma si tratta soltanto di uno dei numerosi subplot intessuti da Weisberg e dai suoi co-sceneggiatori in una trama costruita come una ragnatela, con una pluralità di storyline che si affastellano l'una sull'altra per poi divergere o spezzarsi, ma sempre secondo i dettami di un'impeccabile solidità narrativa. Uno fra i percorsi più interessanti di questa terza stagione, ad esempio, riguarda il legame tra Philip, sempre camuffato dietro una delle sue identità fittizie, e Kimberly Breland (Julia Garner), la figlia quindicenne del capo della divisione afghana della CIA: un rapporto nato allo scopo di ottenere informazioni sulle manovre degli Stati Uniti in Afghanistan, ma in cui troveranno posto un inatteso senso di tenerezza, con momenti di idillio accompagnati dalla musica degli Yazoo (gruppo pop britannico ripescato dagli annali degli Eighties), e pulsioni erotiche trattenute a stento.
L'Impero del Male colpisce ancora
Qualora non fossimo riusciti a incuriosirvi a dovere sugli intrighi spionistici e i drammi familiari dei coniugi Jennings, vale la pena sottolineare una volta di più le virtù di una delle migliori serie dell'attuale panorama televisivo. Perché The Americans, pur senza essere ammantato dell'aura di culto di altri titoli più blasonati del piccolo schermo (troppo 'gelido' e impietoso, del resto, per conquistarsi legioni di fan), vanta una ricchezza di scrittura, una qualità nella ricostruzione storica e nei dettagli sociali e culturali, una precisione geometrica nel far confluire ogni singolo elemento in un superbo amalgama, proprie soltanto dei capolavori della fiction seriale. La critica, per fortuna, se n'è accorta fin dal principio; e per questa terza stagione, forse la più apprezzata dagli addetti ai lavori, The Americans si è aggiudicato il premio come miglior serie drammatica ai Critics' Choice Television Award, mentre Margo Martindale, alla sua terza candidatura consecutiva, ha ottenuto l'Emmy Award come miglior attrice guest star per la sua sapiente interpretazione di Claudia, ambiguo tramite fra i Jennings e i vertici del KGB.
E a testimoniare i livelli altissimi che The Americans è stato in grado di raggiungere, basterebbe citare alcuni dei momenti di climax della stagione 3: la straordinaria macrosequenza nell'episodio Walter Taffet, una grande prova di virtuosismo di regia e di montaggio, accompagnata dalla trascinante melodia del brano The Chain dei Fleetwood Mac; nella stessa puntata, la suspense tagliente successiva alla scoperta del microfono inserito di soppiatto da Martha nell'ufficio di Gaad; il confronto - sincero, durissimo, scioccante - fra la Elizabeth di Keri Russell, totalmente asservita alla causa sovietica, e l'anziana Betty Turner (un'ammirevole Lois Smith) in Do Mail Robots Dream of Electric Sheep?. E poi una scena finale (naturalmente non vi sveliamo cosa accade) che fa calare il sipario su questa terza stagione con un colpo di scena che è un autentico pugno allo stomaco, mentre il televisore restituisce i filmati di repertorio di Ronald Reagan che, nel famigerato discorso pronunciato l'8 marzo 1983, definisce l'Unione Sovietica "l'Impero del Male".
Ecco, The Americans è tutto questo e molto di più: un sensazionale period drama sull'ultimo atto della Guerra Fredda, estremamente abile nel far confluire i grandi eventi della storia contemporanea in una tesissima spy story; l'emblematico ritratto di una famiglia percorsa da conflitti, segreti e sentimenti la cui gestione si rivela talvolta assai dolorosa; e una penetrante, spietata riflessione sulla difficoltà di far convivere le diverse identità all'interno di ciascun individuo, in una descrizione dei rapporti umani dominata dalla doppiezza e dall'inganno. Senza dimenticare, però, che l'inganno più feroce è quello a cui sottoponiamo noi stessi, giorno dopo giorno, ormai incapaci di distinguere la maschera dal volto...