Lo sceneggiatore e regista messicano Guillermo Arriaga e il direttore artistico del festival Paolo Virzì hanno presieduto oggi la conferenza stampa di presentazione della giuria internazionale del Torino Film Festival 2013 composta dallo scrittore americano Stephen Amidon, dalla regista e sceneggiatrice bosniaca Aida Begić (autrice di Buon Anno Sarajevo) da Francesca Marciano, una delle nostre più brave sceneggiatrici, e dall'icona del cinema cubano Jorge Perugorría. Queste le loro prime impressioni sulla città, sul festival, sui film presentati e sull'importanza della scrittura e della sceneggiatura nella realizzazione di un film e nell'assegnazione dei premi.
In questi giorni è comparso un tweet del presidente della giuria Guillermo Arriaga che esalta la bellezza della città di Torino (il messaggio testualmente recita :"Torino è una città straordinaria, non ancora scoperta dal turismo di massa. Bellissimi musei e piazze, piena di vita."). Come sta procedendo questa sua esperienza al TFF?Guillermo Arriaga: E' una città bellissima e il festival è meraviglioso. Personalmente sono molto contento dei film in concorso e la cosa che mi piace di più della selezione è l'appartenenza che ogni opera mostra nei confronti del suo paese d'origine. I film americani sono molto americani, i film italiani sono molto italiani e i film francesi sono molto francesi, tutti rispettano fortemente l'identità culturale e cinematografica del paese di appartenenza.
E' la sua prima volta a Torino?
Guillermo Arriaga: No, sono stato a Torino sette anni fa, e già allora mi sembrò bellissima e molto vitale. E' una delle mie città preferite e per fortuna non ancora invasa da orde di turisti come Venezia, una città che adoro che però adesso è morta, senza luce, finita le mani di milionari che la stanno lottizzando.
Francesca Marciano: sono dell'idea che i grandi registi e i grandi direttori della fotografia non sarebbero nulla senza gli sceneggiatori, se un film non è sostenuto da un'idea di partenza molto buona e da una scrittura forte e coerente non potrà mai essere un buon film. Come sta cambiano il ruolo dello sceneggiatore in questo momento storico?
Guillermo Arriaga: Penso di parlare anche a nome di tutti i miei colleghi quando dico che del Torino Film Festival apprezziamo la volontà di recuperare e comprendere fino in fondo l'importanza della scrittura come aspetto basilare dell'arte cinematografica. Nella società odierna c'è una progressiva perdita di comunicazione tra gli individui, non siamo più capaci di raccontare le storie, di inventare, e forse il motivo è racchiuso nel fatto che abbiamo abbandonato gradualmente il nostro mondo interiore. Siamo circondati da schermi, da televisioni, computer, li troviamo anche nei ristoranti, nei bar e nei negozi e mai come in questo momento è necessario fare in modo che la scrittura possa dar voce alla nostra anima e ridar slancio ai rapporti umani. Come vi immaginate il ruolo dello sceneggiatore nel futuro? Come influirà la tecnologia sulla concezione delle storie?
Aida Begić: Personalmente credo che la mia visione della scrittura è ancora piuttosto tradizionale ma fino a che non sono entrata a far parte della giuria non avevo ancora avuto la prova che esistessero ancora gli sceneggiatori (ride). Se guardo verso un futuro molto lontano mi immagino una macchina che traduce le immagini che passano nel mio cervello in un film ma la verità sull'argomento è racchiusa nella nostra concezione occidentale del testo. In Cina o in Giappone l'arte, il cinema e persino il teatro non sono mai troppo legati al testo mentre qui da noi in Europa il riferimento testuale è un po' il nostro motore trainante. Ecco perché a mio avviso lo scrivere in futuro non cambierà poi molto, forse a cambiare sarà la forma o il modo di approcciare a certi concetti o ancora l'importanza della transmedialità. Qual è l'opinione del direttore riguardo all'argomento?
Paolo Virzì: La tecnicalità della scrittura è importante quando si lavora ad un film ma ciò che per me viene prima è l'anima di una storia, il pensiero originario, il progetto in tutte le sue parti. E' lì che comincia un film, nell'idea. Per questo ho sempre un po' guardato con ironia e sarcasmo certi miei colleghi che amano tanto farsi fotografare in groppa ai loro dolly con l'aria di chi è pronto ad improvvisare la messa in scena di un film. Anche il film più realistico del mondo o il docudrama hanno dietro un pensiero, un progetto e una _storyline _da seguire, il seme sta nella testa di chi lo concepisce.
In Italia a che punto siamo?
Francesca Marciano: In Italia siamo abbastanza lontani dal riconoscere l'importanza del lavoro dello sceneggiatore, da noi esistono i film dei registi, gli sceneggiatori sono considerati un po' come dei dattilografi o degli arredatori. Sono stata spesso chiamata a partecipare alla scrittura di film con lo scopo di 'aggiustare' dei personaggi femminili un po' sconnessi dal contesto, un po' come quando chiamiamo l'idraulico per aggiustare un componente della lavatrice. E' imbarazzante che in un paese come il nostro non si riesca a riconoscere l'importanza del ruolo di chi scrive.
Stephen Amidon: Come molti scrittori della mia generazione, anche io mi sento figlio del Cinema. Il nostro scrivere ha ricevuto l'influenza non solo dei libri che abbiamo letto ma anche dei film che abbiamo visto, da Martin Scorsese a Francis Ford Coppola per esempio. C'è a mio avviso un processo di influenza reciproca tra il cinema e la letteratura e poi ci sono le emozioni di chi scrive e la sua sensibilità.