Il segno di Zoro sul Torino Film Festival

Nella sezione E adesso in Italia, il conduttore di Gazebo, Diego Bianchi, ha presentato una piccola anteprima del suo debutto registico, Arance e martello, un film che racconta con ironia e disincanto la crisi della sinistra; 'E' straziante essere di sinistra in Italia. Provi tanta sofferenza e piccole sporadiche gioie', ha raccontato Diego Bianchi.

Si chiama Diego Bianchi, ma il mondo lo conosce come Zoro; blogger, giornalista, conduttore televisivo di Gazebo su Rai Tre, e presto lo vedremo anche nelle vesti di regista. La consacrazione è avvenuta durante il Torino Film Festival, nella sezione E adesso in Italia. Per Bianchi, oltretutto membro della giuria del Premio Cipputi, Arance e martello, prodotto da Fandango, in arrivo in sala il prossimo anno, rappresenta un debutto coi fiocchi, ribattezzato dal direttore artistico del TFF, Paolo Virzì, "Un piccolo kolossal romano". Scritto, diretto e interpretato, il film "politico e storico" ha l'ambizione di raccontare la sinistra italiana in un modo particolare, ispirandosi ai volti e agli ambienti in cui Bianchi è cresciuto. "Abito a San Giovanni da sempre, in una via in cui si trova un grande mercato. Un giorno ho sentito delle persone pronunciare questa frase, Se chiudono il mercato, scoppia una rivoluzione. In Italia non scoppia mai la rivoluzione, mi sono detto, stai a vedere che adesso succede davvero e ho cominciato a ragionare su questa cosa; in cima alla stessa via, poi, c'è la sezione del PD di Porta San Giovanni, quella in cui sono cresciuto come militante, Mercato e sede politica sono divise dalla muraglia gialla dei cantieri della metro C. In pratica è un plastico di Vespa messo lì".

Il film ruota attorno alla figura di un documentarista (lo stesso Bianchi) che telecamera alla mano gira tra i banchi del mercato per intervistare i commercianti e farsi dire qualcosa di più su questi tempi difficili. "Essere di sinistra in Italia è straziante - ha aggiunto -. Si prova tanta sofferenza e piccole sporadiche gioie". Di sofferenza ("decisamente piacevole") ha parlato anche riferendosi a questa nuova fase della vita artistica, scandita da ritmi completamente diversi, da un gergo all'inizio sconosciuto e misterioso e da un modo di concepire lo script piuttosto differente. "Nei miei lavori precedenti non ho mai avuto la possibilità di scrivere una sceneggiatura, per questo ho provato a buttarne giù una, scritta sull'iPad mentre vedevo mia figlia in piscina. Il punto è che ero arrivato circa a 680 pagine - ha spiegato -. Evidentemente ho problemi a tagliare il superfluo. Quando giravo i video per Parla con me sarebbero dovuti durare 7 minuti, ma duravano un quarto d'ora, poi si arrivava al compromesso degli 11 minuti".

E sul confronto con il nuovo lavoro di regista è stato altrettanto chiaro. "E' l'uomo delle risposte. Passi tutto il giorno a rispondere delle persone, devi essere il più decisionista del mondo, io che le decisioni proprio fatico a prenderle - ha aggiunto -. Per decidere il tatuaggio da fare ad una ragazzina che compare nel film ho discusso alcune ore con la truccatrice; avevo scelto delle zampe di gatto e lei si è presentata con un catalogo per farmi scegliere esattamente il modello giusto. Come se la qualità finale del film dipendesse da questa scelta". Il rapporto con quelle strane creature chiamate attori è stato da subito idilliaco. "Tu ci fai fare quello che vogliamo - ha rivelato - da qui ho capito che i registi vengono percepiti come stronzi". Fino a metà dicembre proseguirà l'avventura su Rai Tre con il suo programma di seconda serata, poi inizierà l'opera di 'riduzione' del film. E giusto per portarsi avanti col lavoro, Bianchi ha già pronto l'ipotetico lemma a lui dedicato in un futuro dizionario del cinema. "Autore che raccontò i suoi tempi, ma ne capì poco".