Per chi, come noi, è cresciuto negli anni '90 con il mito del regista (ex) jugoslavo Emir Kusturica, non è facile accettare l'indiscutibile declino del suo cinema negli ultimi vent'anni. Sarà forse che ancora ricordiamo le sensazioni provate in sala ventun anni fa per quel capolavoro che fu e ancora è Underground o di quando abbiamo letteralmente consumato la VHS di quel gioiello che è Gatto nero, gatto bianco, ma nel leggere il suo nome nei titoli di testa di un film una certa emozione ci invade ancora oggi. La speranza.
La speranza di un ritorno ancora possibile e che nel cinema di oggi possa esserci ancora spazio per temi e stili che non erano già più freschissimi nemmeno due decenni fa. Perché Kusturica, questo è indubbio, non cambia mai, ma anzi continua ad essere fedele a se stesso, alla sua visione del mondo e dell'arte e mai, nemmeno per un secondo, pensa a fare qualcosa di diverso, a limitare e contenere le proprie esplosioni di creatività e follia.
Un regista immutabile
Sulla Via Lattea (On The Milky Road), che segna il ritorno del regista a Venezia a distanza di diciotto anni, è esattamente tutto questo: un film poco ispirato, che sa di vecchio e non fa altro che confermare l'impossibilità di Kusturica di cambiare e adattarsi, tanto che perfino le recenti possibilità offerte dal digitale rappresentano nel suo caso non un aiuto verso qualcosa di nuovo, ma un passo indietro in quello che da sempre era stato uno dei suoi punti di forza: l'aspetto visivo lussureggiante e ricco di suggestioni. Il che non significa che il film sia brutto da vedere, ma che semplicemente non riesce ad avere quell'impatto dirompente e, se vogliamo, anche rivoluzionario dei primissimi film.
Non contento, Emir Kusturica decide di recitare anche come protagonista assoluto della pellicola, relegando il suo attore feticcio Miki Manojlovic ad un ruolo minore e facendosi affiancare dalla star internazionale Monica Bellucci per questa bizzarra storia d'amore ambientata durante le guerra dei Balcani. Che Kusturica non abbia come attore lo stesso talento che aveva da regista è risaputo, ma in una pellicola che pasticcia in continuazione e mescola momenti di lirismo e naturalismo a sequenze a dir poco imbarazzanti e mal realizzate a questo punto diventa l'ultimo dei problemi, così come la presenza della diva che si limita ad interpretare una sorta di madonna italiana che canta in continuazione e lancia languidi sguardi d'amore verso la macchina da presa.
Il tempo delle favole
L'impressione è che la presenza nel film della Bellucci come protagonista sia l'unica cosa che realmente interessi il regista, tanto che in tutta la seconda parte il film si allontana dalla "commedia bellica" per virare verso il favolistico, il romantico e magico senza mai riuscire però ad elevarsi, forse anche a causa di due interpreti che raramente bucano lo schermo. Cosa che invece sembra riuscire a fare, seppur per pochi momenti, l'altra presenza femminile del film, la bella e carismatica Sloboda Micalovic, che però è enormente penalizzata da una scrittura del personaggio talmente caricaturale da risultare ridicola.
A salvarsi rimangono solo alcune immagini e inquadrature dedicate alla natura e ai tanti animali che da sempre accompagnano il cinema del regista: spesso, come il brutale inizio di Underground ci insegna, sono semplicemente vittime della guerra e della cattiveria umana, altre volte guidano e aiutano i protagonisti. E poi c'è il caso del serpente (in digitale) che beve il latte di mucca versato sulla strada dal buon Emir, si ingrandisce a vista d'occhio e diventa il perfetto deus ex machina per un film che già di suo non mancava di scelte senza senso. E ci ricorda che, almeno per quanto riguarda i film di Kusturica, il troppo bere non ha mai portato benefici a nessuno.
Movieplayer.it
2.0/5