Sette Tour de France vinti uno dopo l'altro. Un cancro al terzo stadio completamente sconfitto. Contratti milionari. Sponsor prestigiosi. Un profilo pubblico simile a quello di una rock star. Lance Armstrong in una manciata di anni ha ridefinito l'idea dell'atleta, collezionando vittorie e copertine, dando lustro ad uno sport, il ciclismo, che negli Stati Uniti non era mai stato considerato una disciplina di serie A. Un sogno ad occhi aperti quello che il campione delle due ruote ha regalato ha migliaia di ammiratori insieme alla speranza per altrettanti malati di cancro di poter tornare a vivere una vita dignitosa se non addirittura migliore di quella precedente alla diagnosi.
Peccato che fosse tutto, o quasi, finto. Il frutto della più grande truffa sportiva venuta a galla negli ultimi anni e che ha visto protagonista proprio l'eroe d'oro, elemento cardinale di un programma dettagliato di doping, realizzato grazie all'aiuto del preparatore atletico di Armstrong, il medico italiano Michele Ferrari, che coinvolgeva la maggioranza dei ciclisti in gara per aggiudicarsi la tanto agognata maglia gialla. Il regista Stephen Frears è partito dal libro del giornalista sportivo del Sunday Times, David Walsh, fondamentale tassello per scoprire la verità dietro quelle vittorie sensazionali, per realizzare un film che mira a ricostruire l'esatta dinamica dei fatti, con uno stile quasi da thriller, che ha presentato oggi a Roma insieme al protagonista, l'attore statunitense Ben Foster.
Il campione spodestato
"Non ho idea se Lance abbia visto il film o meno e, in realtà, non ho cercato di contattarlo perché dice bugie. Da quello che so di lui, tramite racconti collaterali, è una persona che tende a controllare cose e persone e quindi non credo che avrebbe gradito il taglio del film. Non avevo davvero nessun interesse a contattarlo. Il mio interesse non era fare un biopic ma realizzare una crime story" esordisce così, con il suo inconfondibile accento british, il regista Stephen Frears alla domanda che incuriosiva un po' tutti, desiderosi di sapere cosa pensasse del film l'ex atleta spodestato dal podio dei vincenti dopo la sua ammissione di aver fatto uso di sostanze dopanti, aggiungendo: "Non sapevo nulla di lui tranne quello che avevo letto sui giornali. Inoltre ho letto The Secret Race, il libro del ciclista Taylor Hamilton, che partecipò alle gare e si dopò con Armstrong, trovandolo molto interessante".
Diversamente dal regista, l'ottimo Ben Foster, interprete convincente nel ruolo del ciclista più famoso del mondo, ha provato invece a contattare Armstrong, nella speranza che l'atleta acconsentisse ad un incontro per permettergli di aggiungere altri particolari alla creazione del suo personaggio. "Io, a differenza di Stephen e andando contro i suoi desideri, ci ho provato a contattarlo tramite un consulente interno al film ma lui non ne ha voluto sapere. Abbiamo tutti metodi di lavoro differenti e avevo bisogno di guadagnare più informazioni possibili su di lui. Avevamo solo sei settimane per preparare il film e io dovevo imparare ad andare in bicicletta perché era una cosa che non avevo mai fatto in precedenza. Avevo davvero molto da apprendere in un tempo limitato, su aspetti diversi che passavano dall'alimentazione all'aspetto fisico, alle movenze per le quali era fondamentale una supervisione medica anche per capire al meglio cosa dovessi rappresentare".
Lance Armstrong, una mente machiavellica?
Proprio le incredibili capacità dissuasive del ciclista, capace di abbagliare con le sue menzogne un gran numero di ammiratori e giornalisti, hanno portato ad accostare la sua figura a quella descritta da Niccolò Machiavelli nel 1513 nel suo trattato di dottrina politica, in virtù di una capacità di rimanere così a lungo sul gradino più alto senza far dubitare nessuno, o quasi, della sua sincerità. "Non ho mai letto Il Principe di Machiavelli ma credo che Lance Armstrong sia contemporaneamente un uomo molto intelligente e molto stupido. Un uomo che è riuscito a superare il cancro e a fare tante beneficenza, una sorta di santo, ma anche un diavolo che ha imbrogliato tanta gente" ha affermato il regista, incalzato da Ben Foster che sottolinea ancor di più la duplicità caratteriale e psicologica dell'atleta: "Non credo sia solo una personalità negativa. Dobbiamo tenere a mente il periodo storico di quando lui gareggiava. A quei tempi tutti mentivano. Su diciotto ciclisti magari solo uno era pulito e credo proprio che il film si basi su questo, che sia un atto d'accusa contro una cultura e non contro una persona. I miei sentimenti per Lance Armstrong sono combattuti. Ha raccolto molti soldi, mezzo miliardo di dollari, per la ricerca e credo l'abbia fatto con intento sincero, senza nascondercisi dietro, ma al tempo stesso ha moltissime ombre".
Corruzione VS. Storytelling
The Program racconta, attraverso la vicenda pubblica di Lance Armstrong, un macrocosmo molto più ampio rispetto alla semplice storia di un singolo atleta, sebbene, da solo, rappresentasse l'intero sport. Il film cerca di mostrare proprio lo sbandamento generale, del quale gli stessi media furono vittime, e che ha portato a non voler guardare con più attenzione sotto la patina di bugie perché troppo presi dal credere al grande miracolo su due ruote per denunciare la truffa in atto. "Mi sono interessato alla realizzazione di un film su un giornalista, David Walsh, che non credeva alla facciata, era scettico. Indagava. E credo che porsi e porre domande sia importante e positivo. La scorsa notte ero a Zurigo e lì c'è Blatter. Leggendo i giornali capita continuamente di imbattersi in queste storie di corruzione profondissima che assomigliano quasi ad un romanzo ma che purtroppo sono reali. Proprio il vostro cinema realizzava film sulla corruzione. Penso a Salvatore Giuliano o Le mani sulla città di Francesco Rosi. Ho imparato molto dal cinema italiano di quel periodo" ha ammonito il regista ricordando uno dei grandi cineasti italiani recentemente scomparso e celebrato al Festival di Berlino.
Una preparazione estrema
Interpretare il più grande campione di ciclismo degli ultimi vent'anni, nonché una delle personalità più enigmatiche dello sport è stato per Ben Foster particolarmente impegnativo, specie se si pensa che prima di iniziare a girare The Program non era mai salito sul sellino di una bicicletta. Per calarsi ancora di più nel ruolo ha provato sul suo stesso corpo cosa significhi assumere sostanze dopanti per trovare un punto d'incontro ancora più profondo e convincente con l'ex campione. "Non ho mai pedalato prima di iniziare le riprese e non ho mai pedalato con le scarpe che si adattano al pedale. Il doping aiuta e ho capito perché lo utilizzano. Ha cambiato il mio corpo rapidamente insieme agli allenamenti e all'alimentazione. Ti aiuta ad andare oltre e più veloce. La cosa davvero difficile però è smettere di prendere queste sostanze. Per me c'è voluto un po' prima di abbandonarle e permettere al mio corpo di ritrovare un equilibrio".
Anche dal punto di vista registico realizzare le sequenze ciclistiche non è stato semplicissimo in virtù di quell'aderenza al reale e alla ricostruzione adottata dal regista. "Siamo partiti "vergini". Ci siamo resi conto che dovevamo andare dritti al Tour de France. Hanno tutte le inquadrature di ogni pezzetto di gara. Un materiale d'archivio infinito. Per la scena relativa alla scalata al Sestrière ci hanno chiesto di quali sezioni avessimo bisogno senza che potessimo visualizzarlo. Abbiamo dovuto lavorare in un modo disciplinato" ha chiosato Stephen Frears.