Recensione Munich (2005)

Quasi impeccabile dal punto di vista strutturale e formale quindi, Munich dimostra però tutta la sua importanza nell'analisi dei temi che tratta.

Spielberg contro tutti

Chi scrive non è (era?) mai stato uno spieleberghiano. Chi scrive ha per lungo tempo pensato che il regista in questione avesse prodotto alcuni grandissimi film nella parte iniziale della sua carriera per poi (dis)perdere buona parte del suo talento in una serie di produzioni più o meno riuscite ma mai veramente incisive.
Da qualche stagione a questa parte però Spielberg è tornato alla carica con una serie di film di grande rilievo, tutti portatori di un ragionamento lucido e a tratti spietato sugli Stati Uniti e sul mondo di oggi. Un percorso iniziato con Prova a prendermi (forse persino con Minority Report?) e proseguito con The Terminal e La guerra dei mondi, film diversissimi tra loro ma legati da un fil rouge solido e compatto. Un percorso ed un fil rouge che culminano nel suo ultimo film, Munich.

Munich racconta della cosiddetta operazione "Ira di Dio", ovvero della rappresaglia non ufficiale attuata da Israele come reazioni ai tragici fatti di Monaco '72, quando un commando palestinese di Settembre Nero sequestrò 11 atleti della squadra olimpica israeliana; atto che - complice il non brillantissimo intervento della polizia tedesca - si concluse con la morte di tutti gli ostaggi, di cinque degli otto terroristi e di altre due vittime. Israele decise quindi di mettere in piedi una squadra speciale, indipendente dal Mossad, che avesse il compito di rintracciare e uccidere coloro i quali erano ritenuti gli ideatori ed i mandanti dei fatti di Monaco. Una vera e propria vendetta, compiutasi nell'arco di molti anni, che Spielberg racconta oggi con un film di grande intelligenza, cinematografica e non.
Rifuggendo da ogni retorica, il regista (ebreo, lo ricordiamo) ha girato un film che dal punto di vista politico è stato capace di scontentare tutti: ha scontentato Israele, ha scontentato arabi e palestinesi, ha scontentato gli Stati Uniti, che vi hanno giustamente letto una durissima accusa alla loro politica estera, di ieri e (soprattutto) di oggi. E scontentare tutti, oggi, è un gran bene.

Andiamo per gradi. Da un punto di vista formale e di struttura cinematografica Spielberg ha avuto l'intelligenza di non puntare su una forma aulica e "autoriale" come quella di film come Schindler's List e A.I. Intelligenza artificiale, ma di raccontare una storia di spionaggio utilizzando temi e stilemi tipici del cinema di quel genere. Letto superficialmente, e dimenticando per un momento la Storia, Munich è una spy-story appassionante e con un ritmo impressionante, considerata la durata di quasi 2 ore e 45. Agenti segreti, commando, terroristi, informatori, killer si alternano sul grande schermo di pari passo con alberghi, appartamenti e case situati nelle principali città europee, quelle dove gli incaricati dell'operazione "Ira di Dio" stanano di volta in volta le loro vittime. Una vicenda avvincente ed emozionante, nella quale non stonano affatto l'umanità espressa dai protagonisti, i loro dubbi, le loro riserve, i loro errori, le loro paure e le loro rabbie. Il tutto girato da Spielberg con la consueta maestria tecnica e fotografato splendidamente da un altro grande nel suo campo come Janusz Kaminski.

Quasi impeccabile dal punto di vista strutturale e formale quindi, Munich dimostra però tutta la sua importanza nell'analisi dei temi che tratta. Come detto, il film è tanto politicamente spietato da aver spiazzato e scontentato tutti. Nella parabola del protagonista, (l'Avner a capo della squadra di "Ira di Dio" ottimamente interpretato di Eric Bana) c'è tutto il dramma di un uomo cresciuto con ideali e idealismi che si rivelano drammaticamente sbagliati, di un uomo che portando a termine la missione di morte assegnatagli perde una parte di sé che non ritroverà mai più. Quel che Avner capisce a spese sue, dei suoi compagni e delle sue vittime, è che la vendetta occhio per occhio, la rappresaglia che mira a decapitare un'organizzazione indecapitabile, scatenerà solo altre vendette e altre rappresaglie.
Lo sguardo di Spielberg è lucido e pessimista. Anche quando israeliani e palestinesi si parlano (in una scena che mette a confronto Avner con palestinese ignaro della sua identità) quello che emerge è magari una simpatia e un'empatia a livello umano, ma una assoluta e profonda inconciliabilità di vedute a livello macro, nella politica e nella sua azione pratica. La violenza scatena altra violenza, il dialogo sembra impossibile, ragioni e torti sono distribuiti in maniera equanime da entrambe le parti. La resa di Avner, una fuga, una rinuncia, sembra l'unica (non)soluzione possibile.

E se questo è il pensiero di Spielberg sulla questione israelo-palestinese, conseguente è quello che come detto in apertura va a toccare gli Stati Uniti e le loro responsabilità di ieri e di oggi. Apparentemente lontani da tutto quanto accade nel film, gli USA vengono tirati in ballo in pochi e precisi momenti da Spielberg, con spietata puntualità. Se il film si apre mostrando atleti americani che, seppur ignari, aiutano i terroristi di Settembre Nero ad entrare nel Villaggio Olimpico di Monaco non è certo un caso. Non è certo casuale che della CIA si sottolinei la presenza/assenza in alcuni precisi momenti nel corso della narrazione. E di certo non è un caso se il film si va a chiudere come si chiude: con una discussione tra il disilluso Avner ed il convinto sionista Ephraim (uno dei capi del Mossad che cerca di riportare Avner in servizio) che ha come sfondo lo skyline di Manhattan, che mostra il palazzo di vetro dell'Onu prima e le Torri Gemelle poi. Il simbolismo è chiaro. Il riferimento all'oggi anche. Con Munich Spielberg non si limita a sottolineare le responsabilità americane in Medio Oriente, ma denuncia l'inadeguatezza della diplomazia e soprattutto mostra, con inaudito coraggio, come l'11 settembre sia figlio di una spirale di violenza con precise responsabilità americane e di come le successive reazioni del governo Bush siano destinate a fare la stessa fine dell'operazione "Ira di Dio".

Si può cercare di eliminare i terroristi, si possono minacciare o invadere gli Stati canaglia. Ma, in assenza di cambiamenti strutturali, questo servirà solo ad alimentare violenza, conflitti, scontri di cultura e disillusione. Si può condividere il discorso di Spielberg o meno (noi lo condividiamo). Se ne può contestare il pessimismo. Ma non si può negare il coraggio che ha dimostrato con questo film né il grande talento cinematografico che ha confermato.