Sono solo... botte da orbi
Se Sukiyaki Western Django aveva comprensibilmente diviso gli animi in seguito alla criticata presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia, Crows - Episode 0 potrebbe porre un punto - anche se non definitivo con ogni probabilità - sulla polemica in merito alla deriva creativa di Takashi Miike; e non tanto perché questa sua ultima fatica rappresenta un ritorno agli albori per il regista di Osaka, quanto semmai l'opposto. Se poi è l'onestà degli intenti ad essere in discussione allora si facciano immediatamente i conti con la natura pienamente commerciale di questo progetto che in patria ha sbancato i botteghini. Perché risulta totalmente futile qualsiasi dietrologia sul percorso artistico di Miike se proposta al fine di denigrare un presente produttivo che, per ovvie ragioni, non è come lo ieri. Su Miike si è voluto dire di tutto, questionare sulla violenza contenuta nel suo cinema, filosofeggiare sui contenuti, puntualizzare all'uscita di ogni suo film, come fosse un rintocco d'orologio che richiama tutti all'attenzione, che la produzione di questo cineasta non è più feconda come un tempo, mentre ipertrofico, suo malgrado evidentemente, è sempre più l'interesse della critica nei suoi confronti. L'attenzione crescente verso un certo cinema che è poi stato abusato, storpiato, frainteso ed omaggiato, insomma riproposto in tutte le salse anche dall'altro capo del mondo, unito ad un'identità solo in apparenza più commestibile del cinema di questo regista si rivela evidentemente indigeribile per chi fa oggi della nostalgia del Miike di dieci anni addietro la propria bandiera, senza nemmeno considerare che sono solo i tempi - la tecnologia più che Tarantino - a dettare questa tendenza.
Crows - Episode 0, live action dell'omonimo manga di Hiroshi Takahashi a sua volta spin-off di un altro lavoro dello stesso mangaka (Worst), è ambientato nell'istituto scolastico di Suzuran, che vanta la fama di liceo col più alto tasso di teppisti del paese ed è proprio questa la ragione per cui Genji (Shun Oguri) vi si iscrive. Convinto di riuscire la dove nemmeno il padre, ora pezzo grosso della yakuza locale, anni prima aveva vinto, il giovane si prepara a formare una sua banda in grado di imporre la propria egemonia sulla zona, ma per riuscirci dovrà prima fare i conti con Serizawa (Takayuki Yamada) e la sua gang. Attraverso la più totale adesione all'iconologia del fumetto, anche la sola somiglianza degli attori ai personaggi su carta è impressionante, Miike mette in scena un cerimoniale fatto di arruolamenti e pestaggi che si condenserà in un lungo duello conclusivo.
Nella riproposizione del tema della violenza giovanile nelle scuole e nel carattere totalmente ludico della sua messa in scena il film risulta estremamente personale ed intimistico, pur nell'esasperazione formale, nonostante sia con ogni evidenza lontano, se non diametralmente opposto, ai lavori più teorici di Miike o a quelli di paragonabile ispirazione. Inutile quindi ogni tentativo critico se filtrato da esempi come Ichi the Killer, la direzione è semmai quella di prodotti considerati erroneamente minori come Zebraman e Yokai Daisenso, nell'estro del primo e per la natura commerciale del secondo. Non c'è qui la stratificata lettura sociologica che era solidissima struttura di Izo, né la chiave malinconica che guidava la narrazione di quello che per molti aspetti risulta il gemello diverso di questo Crows 0, il bellissimo Blue Spring di Toshiaki Toyoda. È il Miike più primitivo, per quanto paradossale possa apparire questa definizione se legata ad un lavoro di tale perizia formale, quello che si riconosce e distingue in questo film, quello imprevedibile che trasforma l'iperbole ultraviolenta che un po' tutti si sarebbero aspettati, in un leitmotiv ossessivo che sublima ogni formula di crudeltà, brutalità e ferocia. Nessuna possibilità di stretto paragone nemmeno coi suoi Young Thugs e l'iperrealismo che ha caratterizzato buona parte delle sue pellicole di conseguenza, qui il regista gioca con un'estetica trasbordante di ispirazione cartoonesca, nella frenesia stilistica del montaggio e gigioneggia in una dimensione irrimediabilmente cool (o fighetta se si preferisce) mettendo in scena un action di alto livello che disillude ogni aspettativa, confermando non solo la sua grandezza di cineasta a trecentosessanta gradi ma anche che ogni mala voce sul suo conto trova spesso nei fatti poche raisons d'être; perchè Miike, lo stesso che ad ogni virata piace, delude, insospettisce e abbaglia, e quello da amare ciecamente quindi, è sempre e solo quello che si mette alla prova, quello che destabilizza, che si smaschera e reinvesta la sua icona ad ogni pellicola.