Per il suo debutto, la regista messicana Fernanda Valadez ha affrontato un tema tanto attuale quanto spinoso come quello dell'immigrazione dal Messico agli USA. Sin señas particulares, in concorso al Torino Film Festival 2020, segue il viaggio di una madre che ripercorre le orme del figlio scomparso mesi prima, mentre era andato in cerca di fortuna verso gli Stati Uniti. Un debutto che ha impressionato la critica per la bellezza e l'intensità, ma anche per la scelta di adottare una prospettiva inedita sulla questione.
Sin señas particulares, il cui titolo internazionale è Identifying Pictures, è un film incentrato su una madre realizzato da una troupe interamente femminile. Una vera e propria sfida, come spiega Fernanda Valadez: "Per me è stata una scelta naturale perché mi sono circondata di collaboratrici che avevo conosciuto alla scuola di cinema. In Messico le registe hanno molti più ostacoli dei colleghi, un tempo solo il 5% degli allievi erano donne, oggi quando va bene arriviamo al 20%. L'ironia è che le troupe composte da donne sono molto più flessibili e resilienti perché devono essere il doppio più brave dei colleghi maschi".
Un viaggio emotivo lungo il muro della vergogna
Al centro di Sin señas particulares troviamo una madre che ripercorre il viaggio del figlio, partito mesi prima alla volta degli USA, per scoprire cosa gli sia capitato. Il film è ambientato lungo quella frontiera dove corre il muro voluto fortemente da Donald Trump, che sta per dire addio alla Casa Bianca dopo aver perso le Presidenziali. "Mi auguro che con Joe Biden ci sia un miglioramento" dichiara Fernanda Valadez "anche se i rapporti tra Usa e Messico sono complicati. Adesso i messicani hanno perso il diritto di chiedere asilo politico così sono costretti a vivere sulla frontiera, impossibilitati anche a fare ritorno a casa. Migliaia di bambini sono stati separati dai genitori, c'è un grosso punto interrogativo sul futuro dei Dreamers, i giovani migranti, e con la pandemia la situazione è ulteriormente peggiorata".
Sin señas particulares è un viaggio emotivo della protagonista alla ricerca del figlio, ma è anche un viaggio nella violenza cieca che caratterizza la realtà messicana. Il film, scritto a quattro mani da Fernanda Valadez con la sceneggiatrice Astrid Rondero, è "un road movie dell'anima che racconta ciò che accade e descrive la violenza attraverso l'esperienza emotiva di una madre che perde il figlio, ma anche dei personaggi che la circondano". La genesi di Sin señas particulares è stata molto lunga, la regista racconta di aver iniziato a pensare alla storia nel 2010 e di aver fatto anni di ricerche prima di completare la sceneggiatura: "Non volevamo intervistare i familiari delle persone scomparse o i sopravvissuti perché non volevamo che si sentissero usati quindi ci siamo basate sul materiale dei giornalisti investigativi che mettono la loro vita a repentaglio per denunciare questa situazione. Dopo aver fatto delle riprese l'idea è maturata in me e ho capito che non volevo solo raccontare una storia personale, ma dare una visione più ampia sulla crisi umanitaria".
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Messico, il paese della violenza
Nonostante la pericolosità del confine tra USA e Messico, girare Sin señas particulares è risultato particolarmente agevole grazie alla scelta di Fernanda Valadez di ambientare la maggior parte delle riprese nello stato del Guanajuato, da cui lei proviene: "Si trova al centro del Messico, da qui partono molto migranti e offre una grande varietà di paesaggi. Visto anche il budget ridotto, ho deciso di girare nel raggio di una ventina di chilometri in stagioni diverse per dare il senso del viaggio. Le uniche scene girate realmente al confine sono quelle nel centro di accoglienza". Come molte altre opere messicane, Sin señas particulares è figlio della violenza che nel paese latino ha visto un'incredibile escalation negli ultimi decenni.
"A scioccare è il fatto che la violenza sia cambiata non solo in quantità, ma soprattutto in qualità. Questa situazione ci ha spinto a raccontare questa storia perché sentivamo l'urgenza di denunciare la situazione attuale. Il film contiene picchi di violenza, che esprimono ciò che siamo, sono frutto della situazione umana. Il confine tra vittima e carnefice è sottile soprattutto là dove c'è mancanza di un ordine. Alla fine arriviamo sempre a porci la stessa domanda: 'Perché uccidiamo?'"