È una constatazione ovvia, ma è difficile resistere alla tentazione di mettere a confronto trasposizioni, adattamenti, remake - letterari, musicali o altro - con le fonti. Fortunati loro, ai telespettatori statunitensi capita di rado: è facile imbattersi in commenti di utenti che si vantano di non conoscere la serie inglese che ha ispirato l'ennesimo rifacimento americano o indovinare nelle recensioni dei critici una scarsa e più o meno abilmente celata ignoranza dell'originale. Noi seguaci della serialità britannica, invece, ci sforziamo di avvicinarci alle versioni d'Oltreoceano senza pregiudizi che persuadano a ignorare una nuova produzione solo perché rifacimento di un'altra, ma ad apprezzarla come entità a sé stante. Gli adattamenti più riusciti sono, finora, quelli di The Office e Queer as Folk, remake di successo perché gli showrunner hanno evitato la trappola degli episodi fotocopia e optato per la creazione di archi narrativi inediti (scelta che a un certo punto diventa obbligatoria, considerata la maggior brevità delle stagioni inglesi). Shameless, Being Human e Skins, rispettivamente show di Channel 4, BBC3 e E4, gioielli diversissimi della corona britannica, vantano tutte e tre trasposizioni americane partite nel corso dell'ultima stagione e nate dall'esigenza di superare l'insormontabile barriera linguistica e culturale tra Paese di origine e quello di destinazione, ostacolo che rende obbligatoria una complessa operazione di adattamento... Perdonate l'ironia.
I risultati sono eterogenei, per quanto riguarda Shameless - rifatta da Showtime -, Being Human - adattata da Syfy - e Skins - riproposta da MTV.
Shameless è il longevo cult creato dall'eclettico affabulatore Paul Abbott (quello di Cracker e State of Play, già passato per il remake made in US con Touching Evil)
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Gli attori assegnati alle parti di Lip e Ian non hanno di che temere da eventuali paragoni con gli originali: Cameron Monaghan (il letale ragazzino dai poteri mentali di Fringe) e Jeremy Allen White sono affiatati e sinceri. Tra i personaggi secondari, i fan di Bones possono riconoscere Pej Vadhat, il bel turnista musulmano del Jeffersonian nella serie Fox, ora nei panni di Kash, datore di lavoro e amante segreto di Ian. Altrettanto azzeccata la piccola Emma Kenney nei panni di Debbie, cocca di babbo, manipolatrice in erba e affezionata al denaro più dell'Alex di casa Keaton (ma non può competere con la diabolica e snodata zingarella di Manchester interpretata da Rebecca Ryan). Al posto del mostro di bravura scozzese James McAvoy, lo sconsolante Justin Chatwin, che aveva già recitato a fianco della Rossum in Dragonball (sì, era l'inqualificabile incarnazioe di Goku....). Chatwin è Steve, ragazzo dall'aspetto per bene e dalle attività illecite che adora Fiona e la sua sgangherata famiglia, ma ha solo due espressioni per esprimerlo.
È difficile unire tenero e cinico, irresponsabile e devoto, variamente osceno (i numeri sadomaso di Frank con la agorafobica Sheila interpretata dalla sempre più svitata Joan Cusack li eviteremmo volentieri) e calorosamente domestico, e contemporaneamente riuscire a trasferire questa delicata combinazione in un altro contesto sociale creando gradatamente una identità propria coerente e indipendente, eppure Abbott consegna agli spettatori statunitensi una ottima Shameless tutta per loro.
Se ne sentiva il bisogno, dei Gallagher del Midwest? No, ma ci sbagliavamo.
Ampiamente pubblicizzata come la "nuovissima serie di Syfy", Being Human US parte il 17 gennaio e rifà la serie BBC che l'attore e sceneggiatore Toby Whithouse aveva concepito come la storia di tre ragazzi conviventi alle prese con le difficoltà di normali ventenni inglesi, e che quasi per caso si era trasformata nella storia di... tre mostri desiderosi di riacquistare la propria umanità. Il vampiro, il lupo mannaro e la ragazza fantasma che dividevano casa a Bristol (ora occupano una casa-ostello a Cardiff)
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Il pilot, variazione sul tema di quello originale, cambia i nomi dei protagonisti (Josh, Aidan e Sally), modifica qualche ruolo minore e qualche dettaglio, suggerendo che la versione made in USA si costruirà un'identità propria; tuttavia i primi episodi sono la copia carbone, approssimativa e indefinita del piccolo gioiello horror di Whithouse. Una sinuosa sensazione di fastidio la si percepisce fin dalla battuta su Twilight, da cui la serie sembrerebbe prendere le distanze, mentre in realtà fa l'occhiolino alla parte di pubblico che ama i protagonisti della saga della Meyer e che riconosceva nello show britannico l'anti-Twilight per eccellenza. Non c'è equilibrio tra dramma e commedia, Being Human US è melodrammatica, incapace di creare empatia e rubare un sol sorriso.
Privo così di originalità, umorismo e pathos, allo show resta da giocarsi la carta dei personaggi. Involontariamente comico è l'incupito vampiro Aidan: triste ed esangue, fa il verso a Edward Cullen e si crogiola nei patemi dell'isolamento e della diversità senza che quasi nulla traspaia dai lineamenti del suo volto. Potrebbe essere colpa del botox, non abbiamo prove per giustificare l'incapacità di Sam Witver (Smallville, Battlestar Galactica) a impersonare il vecchio vampiro (Aidan è molto più antico di Mitchell), e quando lo scorgiamo nei flashback fare il verso al Dracula di Oldman
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Being Human UK racconta i drammi esistenziali dell'umanità enfatizzati per mezzo di protagonisti "mostruosi" più umani degli umani, Being Human US è incapace di mettere in scena qualsiasi parabola sull'essere uomini, tanto che sarebbe auspicabile cambiare titolo.
Se ne sentiva il bisogno, dei fratelli maggiori di Edward, Bella e Jacob? Decisamente no, Being Human non ha niente di umano.
Being Human nacque come parabola dell'umanità e di cosa significhi esserne parte, Shameless illustra enfaticamente la quotidianità di uno strato sociale in cui si ripetono situazioni comuni di sopravvivenza, Skins è uno spaccato dell'adolescenza travagliata ed eccessiva basata sulle esperienze reali di giovanissimi sceneggiatori.
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Ricordando le prime due stagioni di Skins UK, durissime, eccessive, traspiranti follia, gioia chimica e disperazione, non si può dimenticare che prima dei Misfits, sono stati i ragazzi di Bristol ad abbattere l'ultimo tabù che impediva, in nome della decenza, di ritrarre senza filtri la realtà adolescenziale. La rappresentazione del disagio giovanile dalle conseguenze fatali (tra overdosi, aspirazioni suicide, anoressia), la crudeltà della malattia e della morte che non risparmiano i teenager (la morte del padre di Sid e di Chris ci lasciano ancora raggelati) fanno della Skins (o meglio, delle prime due stagioni) di Elsley e Jamie Brittain una pietra miliare della serialità teen. Il canale giovanile per eccellenza, MTV, è famigerato responsabile di obbrobri come Sorority, Undressed e Valemont (macchia indelebile della filmografia di Eric Balfour), fatto che rende lecito qualche pregiudizio nei confronti della versione statunitense della serie brit.
I ragazzi "americani" di Skins sono scatenati, strafatti e incasinati come i cugini inglesi, perché MTV vuole essere audace e altrettanto provocatoria, salvo bippare le parolacce e coprire i seni nudi. Non si può ambire all'aurea di anarchia e irriverenza che MTV vuole esibire se questa è presto messa in ridicolo da una censura che svela una avvilente ipocrisia. I patemi dei protagonisti, all'inizio più o meno ricalcati dalla versione inglese - ma era il caso di riesumare addirittura il soprannome della bella della compagnia? - sembrano insinuare che i coetanei americani non hanno esperienze personali a cui attingere. Sebbene il destino grottesco del povero Chris , abbandonato improvvisamente dalla madre e sfrattato dalla propria casa da un abusivo, è riproposto con soddisfacente aderenza, si pretendeva un istantaneo ricorso a trame nuove senza il passaggio obbligato al copia-incolla iniziale, soprattutto perché anche gli sceneggiatori del remake sono abbastanza giovani da attingere a un patrimonio di storie di prima mano.
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Sempre in linea con il progetto di Elsley, che ha consegnato a E4 un cast quasi completamente esordiente, Skins US ha scelto i suoi attori tra ragazzi per lo più alla prima esperienza, giovani supercarini quasi totalmente incapaci di impersonare i ruoli loro assegnati. Gli interpreti di Stanley (nella versione originale era il timido Sid), Cadie (al posto della biondissima e svampita Cassie), Tea (la cripto lesbica italo-americana sostituisce Maxxie, seducente ballerino gay), Abbud (al posto dell'arrapato migliore amico musulmano di Maxxie, Anwar), Eura (Effy), Daisy (Jal), Chris, Tony e Michelle non costituiscono affatto un cast di debuttanti affiatati e in stato di grazia come quello che ha reso memorabili la prime stagioni di Skins. Solo Daniel Flaherty, il virginale e introverso Stanley dal ciuffo che acceca, emerge dal gruppo, mentre il Tony di James Newman è insopportabilmente arrogante ma senza essere affascinante come il suo corrispettivo, l'impavido manipolatore "indossato" da Nicholas Hoult.
Anche le avventure dei ragazzi di Baltimora sono eccessive e illegali e prendono ben presto strade diverse rispetto all'originale, ma con esiti opposti - artificiosi e vacui - che tradiscono la mancanza di schiettezza e dell'esigenza di verosimiglianza della produzione MTV.
Se ne sentiva il bisogno, dei teenager in acido cripto-canadesi? Assolutamente no, Skins è l'ennesima montatura di MTV (e poi non c'è Maxxie).