Sergio Romano, sulla strada del grande cinema: "Le città di pianura? Nessuna etichetta, solo libertà"

Mezz'ora al telefono con uno dei tre (folgoranti) protagonisti del film diretto da Francesco Sossai. E dice: "Riscopriamo la vera creatività per affrontare un'epoca anestetizzata". In sala.

Una foto di Sergio Romano

Dopo avergli confessato l'amore per Le città di pianura, Sergio Romano - in apertura di intervista - non nasconde l'entusiasmo, dicendo subito che "La mano di Francesco Sossai c'è tutta, abbiamo trovato un grande uomo di cinema". Non si potrebbe essere più d'accordo. Il film di Sossai, infatti, unisce la geografia locale - siamo in Veneto - con il contesto universale di un cinema senza confini, legato all'individualità di uno sguardo che non si limita solo a raccontare.

La Citta Di Pianura Scena
Sergio Romano, Pierpaolo Capovilla e Filippo Scotti

Romano, attore fuori dal comune, per scelte e per preparazione, interpreta lo spiantato Carlobianchi, in coppia con Pierpaolo Capovilla (altro fenomeno) che invece veste i panni stropicciati di Doriano. Due spiantati cinquantenni a caccia del bicchiere della staffa, girando tra un bar e l'altro della pianura veneta. Il duo diventa poi un trio, quando si unisce - volente o nolente - il timido studente Giulio (Filippo Scotti), affrontando con loro una specie di viaggio iniziatico.

Le città di pianura: intervista a Sergio Romano

Raggiungiamo al telefono Sergio Romano, tenendolo alla cornetta per quasi mezz'ora. "Sì, è stato liberatorio interpretare un personaggio del genere", dice l'attore, "È bello perché ho sempre sentito fiducia da parte del regista. La sceneggiatura è piena di segni e di rimandi. Ti rendi conto dell'idea del valore multistrato di un'opera, capace di cogliere l'essenza del lavoro attoriale. Sul set condividevamo segreti senza svelarli, non facevamo domande. In modo tale, l'immaginario si carica e si gonfia. Ed è bello, perché resta una percentuale di rischio. Ti poni curioso verso una storia densa e ricca. Non c'è solo quello che c'è scritto, c'è molto di più".

Le Citta Di Pianura
I tre protagonisti in scena

Secondo Sergio Romano - bresciano, classe 1965, e una filmografia senza titoli sbagliati - , Le città di pianura è un film che riflette "La profondità del vivere, attraverso un plot immediato. C'è uno stile libero e spregiudicato, con i personaggi a lato, che lasciano spazio al paesaggio". Come detto, è semplicemente pazzesca l'alchimia stretta con Pierpaolo Capovilla. "Il gancio ancora una volta è stato Sossai. Quando ci siamo incontrati con Pierpaolo abbiamo affrontato dei giorni di lavoro innamorandoci l'uno dell'altro. Un artista vero, si è donato. Vive sulla sua pelle la propria arte". Come sottolineato dall'attore, non ci sono stati dei riferimenti di partenza, "Non ci sono mai state definizioni per i nostri personaggi. Non c'erano degli esempi. Contava il gioco che instauravamo tra di noi. Tanto gioco, tanta condivisione con un ottimo lavoro preparatorio. La sceneggiatura è stata rispettata ma, senza eccedere, abbiamo avuto modo di improvvisare e cambiare. Un po' come le location".

Un film che sfugge alle solite dinamiche

La Citta Di Pianura Foto
Alla ricerca dell'ultimo bicchiere con i tre protagonisti del film

Le città di pianura, presentato nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2025, è saldamente legato ad un immaginario profondamente territoriale, dimostrando - qualora ce ne fosse bisogno - che anche l'Italia può offrire grandi scorci cinematografici. "Abbiamo bisogno di raccontare il nostro paese, e credo che l'occhio di Francesco, la sua nostalgia verso un luogo trasformato, funziona", dice Sergio Romano. "In fondo il luogo è creato dal nostro occhio, perché lo carica di emozioni. C'è bisogno di qualcuno che colga tutto questo, portando a galla una riflessione. Un luogo che non deve essere solo usato, ma anzi raccontato. Ho vissuto in Veneto, anche prima del film. È incredibile di come appaia meraviglioso grazie alla mano umana. Qua e là, però, scorgi una natura indomita. La natura non puoi addomesticarla, ecco perché l'urbanizzazione ha cambiato faccia al territorio".

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E prosegue, "Sono cresciuto nella bassa Lombardia, tra cascine veraci, salame e birra, passando attraverso la terra incolta per arrivare da un paese all'altro. Ora ci sono le tangenziali. Ed è quello che racconta il film, sono luoghi da trascorrere e non da vivere. Per questo certi posti vanno riletti e raccontati". Poi, l'attore si sofferma sull'importanza di illuminare al cinema altri luoghi, poco battuti dalle sceneggiature. Dice: "Bisogna raccontare le nostre storie senza incasellarsi nei filoni romani, siciliani o napoletani e così via. Bisogna pure allontanarsi dalle solite dinamiche, che possano essere le solite commedie o i soliti crime. Ripeto, servono gli sguardi giusti".

L'arte e un'epoca anestetizza: come affrontare la creatività

Se quello di Francesco Sossai è, senza dubbio, un ottimo sguardo, lo è anche quello di Paolo Strippoli che ha diretto Sergio Romano nell'horror La valle dei sorrisi. "Gli autori giovani ce ne sono, ma tutto dipende poi dal clima culturale generale, come si vive e come si respira", continua l'interprete.

"Quando Moretti fa la battuta su Netflix ne Il sol dell'avvenire, beh, è la verità. Non è facile trovare un cinema nel quale vedere cose che ti interessano. Tutta questa omologazione anestetizza, soffoca. Sono sincero, la vedo brutta. C'è una distruzione della creatività", e ancora, "Tutto è uguale e tutto è uniforme. Questo blocca la visione individuale degli artisti. Un altro effetto negativo dell'industrializzazione anglosassone. Non si può più dire nulla, anche presentando un film. Tutto è marketing. È il riflesso della nostra epoca. Abbiamo paura di essere ammazzati. Non puoi manifestare per paura di prendere le mazzate. Non ce ne stiamo più rendendo conto, ma questo si riversa nella creatività".

Un film che punta sulla libertà e sulla filosofia

Nulla a che vedere con la libertà accolta da Le città di pianura, capace di puntare sull'autenticità e sull'emotività, portando in superficie tutta la bellezza dell'imperfezione e della leggerezza. "Francesco ha creato personaggi notevoli, che hanno pagato sulla loro pelle le loro scelte", dichiara Romano a Movieplayer. Carlobianchi e Doriano sono amici, si sostengono, tengono duro, non smettono di sorridere perché "L'ultimo bicchiere che vogliono trincare non finisce mai. Nonostante tutto l'amore prosegue. Si fottano i soldi e si fottano i padroni. Non hanno rabbia o astio, ma hanno amore. Per questo il film finisce con un bel sorriso. Per me sono dei grandi filosofi. Avere questa leggerezza mi aiuta, ed è una conquista. Del resto non è nella mia indole. Io, che sono figlio di una classe popolare, del lavoro in fabbrica, so bene quanto è difficile diventare attori quando ti dicono "sì, ma di lavoro vero che vuoi fare?"".