Recensione Segreti di stato (2003)

L'inedita ricostruzione della strage di Portella della ginestra, quello che non abbiamo mai saputo.

Scavando tra le menzogne d'Italia

1 Maggio 1947, Portella della ginestra, qualcuno spara sulla folla: 11 morti e 27 feriti.
Questo è il presupposto da cui parte l'ultimo film di Paolo Benvenuti, che imbocca una strada decisamente più difficile rispetto al passato, tentando di spiegare come sono andate veramente le cose quel maledetto giorno in cui un gruppo di uomini (identificati poi nei compagni del bandito Salvatore Giuliano) sparò sulla folla di comunisti che festeggiavano la vittoria del partito comunista in Sicilia, evento che rappresentava una svolta epocale relativamente al contesto nel quale era calata.
Il giornalista Danilo Dolci (a cui è dedicata l'opera) e lo stesso Benvenuti hanno condotto per diversi anni indagini su questo "mistero italiano", andando a recuperare notizie, foto, indizi sepolti in mezzo agli archivi della storia recente, ricostruendo in maniera prettamente documentaristica gli avvenimenti, citando nomi di grande rilievo, fra i quali anche l'onorevole Giulio Andreotti.

Il regista risparmia nei preziosismi, e ci propone un lavoro fatto di dialoghi lunghissimi a carattere pienamente esplicativo, didascalico, accompagnati da disegni a matita che ci vengono mostrati in successione, in primo piano. E' l'indagine dell'avvocato di Gaspare Pisciotta (quest'ultimo interpretato da David Coco che ci offre una grande prova interpretativa), coadiuvato dai testimoni e dal suo assistente, che si dedica a rimettere assieme i tasselli di una vicenda tenuta nascosta per anni, sotto il peso degli interessi politici e mafiosi. Tutto questo si dipana in maniera abbastanza fluida dinanzi agli occhi dello spettatore, retto da una regia asettica, impersonale, dedita solo alla ricostruzione storica. Dal punto di vista tecnico il lungometraggio non brilla particolarmente, e, se permettete, sembra proprio un effetto voluto per tenere quanto più lontano possibile l'ombra del romanzesco da un qualcosa che, cinematograficamente, esige aria di verità e giustizia.
E' proprio questo il punto di forza, la rinuncia al cinematografico per mettere innanzi a tutto la storia, così come si crede sia andata veramente, e non come un gruppo di corrotti hanno voluto farci credere.
Una storia ricostruita sul grande schermo da attori che reggono bene il loro ruolo, un Antonio Catania in vesti insolite, che se la cava bene, un grande David Coco (come già detto) e una sfilza di comprimari che fanno il loro dovere, senza infamia e senza lode.

Nel panorama in genere deludente del cinema italiano recente, che ci pone di fronte a film-macchietta fatti apposta per sbancare i botteghini con la loro stupidità nazional-popolare, ogni tanto qualcosa di buono affiora. Presentato a Venezia, non ha raccolto il successo della critica che meritava, forse proprio per l'argomento che tratta e per il modo in cui lo tratta, con coraggio, con fedeltà storica, con onestà. Forse proprio quello che manca ai burattinai che tirano i fili della nostra nazione.