Saw: (season) finale
Seppur morto e defunto, il buon (?) Jigsaw non ha completato la sua opera coercitiva di indottrinamento all'importanza della vita. Mancava un ultimo tassello, reso possibile dalla collaborazione del detective Hoffman, che in Saw V, eliminando l'agente speciale Strahm, si era già palesato come assistente-erede del suo macabro gioco con la morte, atto a far comprendere a chi ne sottostima l'importanza, il valore della vita. A qualsiasi prezzo, affidandosi alla fedeltà delle persone a lui più vicine. L'ultimo piano dell'Enigmista consiste nel colpire un assicuratore di successo creatore di uno schema di attribuzione dell'assistenza sanitaria e quindi arbitrario giudice della vita e della morte agli occhi dell'Enigmista.
Arrivati a quota sei film in sei anni è più che comprensibile che qualcuno non ne possa più di giochetti truculenti, plot intricati, frattaglie e lezioni morali, eppure Saw si è dimostrata saga probabilmente priva di particolari picchi qualitativi ma anche dalla longevità spesso sottovalutata. Si può spendere del tempo (oziosamente) a stabilire quale sia il film più riuscito e meno riuscito della serie - e questo Saw VI è probabilmente il migliore da Saw 2 - ma è altrettanto chiaro che il pubblico amante del genere sa sempre esattamente cosa aspettarsi in termini di messa in scena, intrigo, storia e soprattutto gore, la cui voyeuristica esibizione rimane una delle ragioni del successo di una saga che da sempre ha preferito lo shock visivo all'atmosfera e il twist conclusivo alla verosimiglianza e all'empatia. La cifra stilistica non muta di una virgola, tanto che l'intercambiabilità delle figure tecniche è così rodata da generare il passaggio al timone di regia a Kevin Greutert, montatore degli altri film; abile però a tenere in piedi il film più complesso narrativamente. Si è usato il tempo passato perché nonostante sia già in produzione un nuovo film in 3D (prevedibile vista la rivitalizzazione che le nuove tecnologie stanno permettendo, specie in campo horror) Saw VI chiude il sipario sui sadici giochi enigmistici di Jigsaw sistemando tutti i pezzi del puzzle in una struttura molto vicino a una season finale di una stagione televisiva e utilizzando molto più il montaggio che la scrittura per incasellare i vari enigmi, al fine di una soluzione coerente, tenuta insieme da un rinnovato senso etico nelle azioni del protagonista intento a far giustizia nella giungla delle assicurazioni mediche. Se il risultato è cervellotico e pretestuoso, l'esibizione granguinolesca e il substrato moralista rimangono il marchio di fabbrica della saga. Ma lo spunto più interessante, come già rilevato nel film precedente, è questa definitiva aderenza a una serializzazione sempre più di stampo televisivo che include anche il ritorno di personaggi creduti morti come l'agente Perez. Tanto che per districarsi con chiarezza sarebbe necessario avere la memoria fresca su tutto quello che è successo precedentemente. L'idea alla base è quella di simulare una progettualità narrativa che preceda la singola realizzazione dei film, in modo da chiudere le vicende, dando anche maggiore spessore al personaggio dell'enigmista, in linea con la generale revisione del villain cinematografico, perfino di un assassino. Qui da folle e rabbioso serial killer a visionario dispensatore di vita e di morte secondo la sua opinabile idea di rispetto dell'esistenza. Chiaro che in tempi di delusioni collettive per il fenomeno Lost, la ricerca di risposte generali all'interno di una saga, chiaramente figlia del progressivo successo commerciale, ripropone con forza la natura falsificante dell'esperienza cinematografica, segnando una chiara differenza tra i modelli classici della serializzazione horror, fatti di riferimenti iconografici e narrativi precisi, ma di film sommariamente autoconclusivi. Argomenti extra-cinematografici probabilmente, ma che hanno fornito indubbiamente ossigeno alla saga. Anche se ora è davvero tempo di staccare la spina.