La trattativa è opera destinata a far discutere, a dividere, a suscitare prese di posizione violentemente contrastanti. È sempre stato così con i lavori di Sabina Guzzanti, e sicuramente questo suo nuovo film, fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, non farà eccezione. Eppure, uno sguardo non superficiale al film della Guzzanti basta per rendersi conto che l'artista romana non confonde la storia con la personale lettura che il suo lavoro ne offre; che non le interessano i processi mediatici, e che la "sua" verità, ricostruita attraverso un attento lavoro di raccolta, assemblaggio e organizzazione in forma di racconto di una grande quantità di materiali, è un tassello di una vicenda, nel suo complesso, ancora da scrivere. Prezioso, però, perché racconta (e interpreta) la nostra realtà attraverso un passato recentissimo; e lo fa con un linguaggio vivo e moderno, cinematograficamente avvincente.
Nell'incontro che abbiamo avuto con lei al Lido, Sabina Guzzanti è stata prodiga di informazioni, dettagli, aneddoti riguardanti la realizzazione (dal percorso tutt'altro che agevole) del suo film; ma l'artista romana ne ha anche difeso, con passione, le premesse, l'utilità divulgativa, la sua natura di antidoto a una passività, e a un senso di scoramento, che sembra avviluppare gran parte della società italiana.
L'idea e la genesi
Puoi raccontarci qualcosa sulla genesi del film? È stato un lavoro che ha richiesto molto tempo?
Sabina Guzzanti: E' stato un lavoro di anni. L'avevo cominciato, poi l'ho dovuto interrompere e ho pensato non sarebbe stato più possibile farlo, e solo successivamente ho potuto riprenderlo. Doveva essere presentato a Venezia lo scorso anno, ma non avevo i soldi per finirlo. Li ho dovuti chiedere al ministero, ma mi sono stati negati: la cosa davvero sfrontata è che la commissione ci ha negato il titolo di "film di interesse culturale", che invece è stato concesso ai Vanzina. Tra l'altro, nella commissione c'era la moglie di Antonio D'Alì, politico che era stato appena assolto dall'accusa di associazione mafiosa.
Il tema del film si sovrappone in parte a quello di Belluscone. Una storia siciliana di Franco Maresco. Pensi nell'aria ci sia voglia di trattare questi argomenti?
A me non pare proprio che il tema si sovrapponga; sono due film molto diversi. Nell'aria non credo ci sia niente, in sé: c'è semmai quello che ci mettiamo noi.
Ma l'idea di affrontare proprio questo argomento, come ti è venuta?
E' stata un'idea che ho elaborato nel tempo. All'epoca stavo girando Draquila - L'italia che trema, e ho fatto una lunga intervista a Massimo Ciancimino; per me, quella fu un'ottima occasione di conoscenza dei fatti. Parlando con Ciancimino mi sono appassionata alla storia: volevo infilarla in qualche modo nel film, ma col terremoto in effetti c'entrava poco. E' un racconto che sembrava fatta apposta per il cinema. Così ho iniziato a studiare, e a cercare di informarmi di più sul tema: prima pensavo di conoscerlo, più o meno, ma poi mi sono resa conto che non era affatto così.
Perché proprio i rapporti tra lo stato e la mafia, tra tanti episodi di malcostume?
Non è affatto malcostume: è semmai una coalizione di forze del nostro paese, che imprime una direzione diversa alla nostra cultura. Credo che purtroppo la cultura dominante, oggi, sia la cultura mafiosa. Una volta si ragionava su un'alternativa possibile, ma oggi c'è fatalismo e scoramento. E' questa la differenza principale tra l'Italia di ora e quella di qualche anno fa.
Mescolanza di registri
Il linguaggio usato dal film è peculiare, mescola fiction, documentario e teatro...
Sì, è un meccanismo che consente di passare in modo omogeneo da un registro all'altro, con libertà creativa e umorismo; c'è una recitazione "brechtiana", anche se so che il termine non si potrebbe usare. Il film ha un'onestà totale nel presentare gli eventi, anche perché quello che presentiamo è il punto di vista dei personaggi; ma tutti i fatti raccontati sono realmente accaduti.
Forse hai girato il film così perché il materiale puramente documentario era insufficiente?
No, il film è pensato proprio così. Anzi, a dire il vero ho pensato anche di fare un film solo di finzione: ma poi ho concluso che non era possibile, perché ci sarebbe voluto un budget enorme. Alcune cose si possono raccontare solo col documentario, altre solo con la finzione. Il fatto che fosse necessario anche introdurre anche un ragionamento, rendeva particolarmente adatta questa formula.
Cogli una connessione tra il set teatrale del film, e l'ambiente delle aule di tribunale?
Certo, i processi sono anche teatro. Quando li ascoltavo su Radio Radicale, mi facevo delle crasse risate: si sentono un sacco di rumori ambientali, il processo non inizia mai, e quando inizia è lentissimo e piuttosto ridicolo. È tutto un mondo parallelo, così come lo è quello della legge. In questi anni ci siamo abituati a considerare i tribunali come una difesa dei nostri principi: ma a me non sembra proprio sia così. Quello di legalità, in sé, è un concetto misero rispetto a quello di giustizia: abbiamo bisogno di principi più solidi di questo. Certo, se uno fa il Presidente del Consiglio, è auspicabile perlomeno che non sia un bandito; il patto sociale si deve reggere sul fatto che la legge la rispettino tutti, ma poi bisogna puntare più in alto. Anche perché certe leggi sono sbagliate, mentre altre sono in contraddizione tra loro.
La ricezione del pubblico
Non temi che lo spettatore resti affranto da quello che vede? Tutto appare come deciso a priori...
Anch'io, nell'apprendere la materia, ho attraversato momenti di depressione. Credo però che lo scopo del film sia quello di mettere tutti in grado di capire di che cosa davvero si tratti: questi sono fatti che hanno cambiato il corso della nostra democrazia. Questi eventi dovrebbero essere conosciuti bene, e non in modo generico, da una larga fetta di italiani: ci vuole un'idea precisa di chi e quali fasce delle istituzioni siano compromesse, da dove venga questa Italia che abbiamo ora sotto gli occhi. Questo film spiega come questo paese sia cambiato in modo così rapido. Il fatto che se ne fruisca tutti insieme mi dà gioia, non depressione.
Pensi che il film possa essere anche un antidoto al dilagante qualunquismo?
Certo. Se, qui fuori, chiediamo alla gente comune della trattativa stato-mafia, otteniamo risposte come "ma sì, sai che novità, lo stato e la mafia sono sempre stati la stessa cosa, le cose vanno così e non cambierà mai nulla". Questa convinzione generica porta a dire "andrà sempre così" mentre una conoscenza specifica porterà a una diffidenza specifica. Così come non è vero che la trattativa è stata solo questione di poche "mele marce", che c'erano precisi apparati dello Stato che ne erano coinvolti, è pure vero che esiste uno Stato buono, che la mafia l'ha sempre combattuta. Falcone e Borsellino ne sono un esempio. La questione è che deve vincere proprio quello Stato buono. L'errore più grande sarebbe arrendersi al fatto che "è stato sempre così".
Non temi che le persone che già si informano possano trovare risaputo il contenuto del film?
Io non ne ho trovata nessuna, personalmente: anche i giornalisti specializzati sono rimasti impressionati dal film. La nostra attività è stata quella di prendere una gran quantità di verbali, personaggi e materiali, e assemblarli in un racconto: una cosa che non era mai stato fatta prima. Parlo di racconto, che è una cosa diversa da una messa in fila di fatti: il racconto trasporta, coinvolgendo a vari livelli, e permette di fare un'esperienza.
Non pensi che, rispetto a qualche anno fa, la capacità di indignarsi del tuo pubblico sia un po' diminuita?
Non so, questi per me sono ragionamenti di marketing, e io considero il marketing un'ideologia pericolosissima. Cosa vuole davvero il pubblico? E' difficile saperlo, nessuno può avere questa pretesa. Il paese cambia in continuazione, e le persone con esso, in modo imprevedibile.
Gli italiani hanno paura di essere onesti?
Sono le istituzioni italiane, semmai, che hanno paura della democrazia, e scelgono sempre un'altra strada. Lo fanno per senso di "responsabilità": pur di evitare la democrazia, prendono decisioni che loro considerano sensate e responsabili. Senza trattativa, questo sarebbe stato un paese diverso, e forse avremmo ancora in vita Falcone e Borsellino.
I fatti e i personaggi
Quanto ha influito, sul film, l'ambiguità di alcune dichiarazioni di Massimo Ciancimino?
Beh, in effetti ha provocato un punto di arresto. Anche lui l'ho trattato in modo satirico, nel film: era un modo per prevenire le critiche, e per non farlo apparire come un eroe. Alcuni suoi documenti sono stati riconosciuti come autentici, e non si capisce perché non siano stati utilizzati; altre sue affermazioni, invece, non hanno mai avuto riscontro. La campagna mediatica contro i pentiti, comunque, c'è sempre stata. L'abolizione della legge sui pentiti è uno dei punti del papello, non dimentichiamocelo; anche il centrodestra ha fatto richieste in tal senso. Ci sono molti politici che si lamentano dei pentiti, dicono "Ma come? Crediamo alla parola di questi assassini?", e poi esaltano la figura di Falcone. Dimenticano che gran parte del lavoro investigativo di Falcone si basava sulla collaborazione di Buscetta.
Nel film si parla anche di Martelli, ma non si accenna al fatto che lui fu coinvolto in Tangentopoli e si dovette dimettere. Come mai?
Si è dimesso dopo, in realtà, a causa della soffiata di uno della P2. La faccenda, in sé, è controversa. Secondo me il suo ruolo è stato positivo: se non fosse stato per lui, Falcone sarebbe stato emarginato, e tutta la sua legislazione sarebbe stata smantellata. Lui voleva proseguire il suo lavoro, ma è stato fatto fuori da una soffiata di uno della P2: secondo me, si è trattato di una rappresaglia.
Ti aspetti polemiche e attacchi?
Purtroppo, questo è un film piuttosto inattaccabile.
Se il processo di Palermo non supporterà tesi dell'accusa, come la prenderai?
I fatti che racconto sono tutti accaduti. Questo, poi, non vuol dire che sarà trovato necessariamente un colpevole. In Italia siamo abituati a dire "aspettiamo i risultati del processo", e questo succede dagli anni '92-'93: ma il processo serve solo a trovare responsabili penali. Non è che non si possa discutere dei fatti a livello politico, o che l'opinione pubblica non possa entrare in certe questioni. La mancata perquisizione del covo di Riina, che racconto del film, è stato un fatto che è successo. Nella cassaforte c'erano nomi di collaboratori, una miniera di informazioni enorme: il ritrovamento avrebbe dato un colpo durissimo alla mafia. Si tratta di svincolarsi dal percorso processuale, e prendersi le responsabilità che ci spettano come cittadini, e che abbiamo erroneamente delegato alla magistratura.