Roselyne Bosch presenta Vento di primavera a Roma

La regista francese ha presentato ai giornalisti romani il suo film, incentrato su un terribile e poco noto evento dell'Olocausto: l'internamento e la deportazione di migliaia di bambini ebrei del quartiere di Montmatre ad opera della Francia di Vichy.

Dopo la proiezione per la stampa di un film intenso ed emotivamente forte come Vento di primavera, incentrato su un evento terribile quanto poco noto dell'Olocausto (l'internamento e la deportazione di migliaia di ebrei, bambini compresi, del quartiere parigino di Montmatre) sono state prevedibilmente tante le domande rivolte alla regista Roselyne Bosch, che ha presentato il film ai giornalisti romani. Un incontro che ha visto anche la presenza del vicepresidente della comunità ebraica romana Stefano Valabrega, che ha voluto così dare il suo personale sostegno al film, che uscirà in tutta Italia il 27 gennaio distribuito da Videa Cde in occasione della Giornata della Memoria: "Questo è un film che dovrebbe girare per le scuole", ha detto, "perché racconta per la prima volta una verità spesso taciuta: quella del collaborazionismo. Anche in Italia c'è stato un collaborazionismo, anche da noi se ne parla poco. Un film come questo permette non solo di ricordare, ma soprattutto di capire e conoscere."
Seguiamo ora le principali domande che sono state rivolte alla regista francese.

Ci può dire qualcosa sulla genesi del film?
Roselyne Bosch: E' un progetto che io e il produttore Alan Goldman avevamo in mente da dieci anni. La sua famiglia viveva a Montmartre, e i suoi parenti sono riusciti a sfuggire alla retata descritta nel film. Ci chiedevamo se sarebbe stato possibile raccontare una storia del genere, così cruda, visto che volevamo fosse il più realistica possibile. Per questo abbiamo aspettato tanto, avevamo molti dubbi. Poi, cinque anni fa, ci siamo resi conto che i protagonisti reali della vicenda erano tutti molto anziani, e che presto quella generazione sarebbe sparita e con essa la possibilità di dare una testimonianza diretta dell'evento. Infatti non ci sono immagini in movimento della retata del Velodrome d'Hiver, solo una foto dei camion vuoti davanti alla struttura; anche nei libri di storia se ne parla poco, in un libro che ho potuto vedere ci sono appena tre righe che descrivono l'evento. Tre righe per 13.000 ebrei deportati. Ci siamo resi conto che fare il film era proprio necessario, ma volevamo che ci fosse qualcuno a testimoniare che era tutto vero, che non avevamo romanzato niente.

Nel film si vedono più divise francesi che tedesche. E' evidente che in eventi come questo i francesi hanno colpe gravissime, pari a quelle dei tedeschi. Come è stato preso il film in Francia, alla luce di questo?
Il collaborazionismo francese è un tema che solo adesso si sta approfondendo, visto che dopo la guerra ci sono state pochissime epurazioni dei funzionari coinvolti. Quel periodo, per noi, ha rappresentato una "zona d'ombra" per molto tempo. Io volevo far vedere i meccanismi politici dei rapporti tra Berlino e Vichy, ma anche mostrare i campi di concentramento francesi, che finora non erano stati mai mostrati: erano la copia esatta di quelli tedeschi. La stessa retata è stata opera di francesi, eseguita interamente dalle nostre forze di polizia. Quando abbiamo mostrato il film al pubblico, mi sono stupita di vedere che pochissimi tra i giovani erano a conoscenza dei fatti, e soprattutto dell'integrale responsabilità delle autorità francesi. Il successo del film comunque ci ha stupito molto, visto che abbiamo girato principalmente per motivi personali e di memoria. Sono state significative soprattutto le vendite del DVD, che hanno superato di molto quelle del video on-demand: è il segno evidente che la gente voleva avere il film per rivederlo.

Nel film si vede Hitler in alcune scene familiari con Eva Braun e con dei bambini, in situazioni quotidiane. Quelle che sembra di vedere sono persone normali, che però fanno cose orribili.
Nel film ci sono tre esperienze diverse: Pétain che va a giocare alle corse, i ragazzini che finiscono la scuola per l'ultima volta, e Hitler che se ne sta tranquillo sulla sua terrazza. Su di lui ho fatto ricerche per tre anni, e quando dico tre anni intendo proprio tre anni, tutti i giorni a tempo pieno: ho studiato a fondo la sua figura, per me era diventata una specie di ossessione. Penso di sapere tutto su di lui ormai. Per questo non volevo mostrarlo come uno stratega chino sulle carte, o magari riprenderlo di spalle, nell'ombra. Volevo che fosse ben visibile l'uomo che gioca con i bambini, e però non esita a massacrare centinaia di migliaia di bambini ebrei, il vegetariano che inorridisce per le sofferenze degli animali ma compie un genocidio. Volevo che fosse ben visibile, in faccia. La mostruosità ha un volto mediocre.

Nonostante il collaborazionismo, la Francia è stata ammessa al tavolo dei vincitori, alla fine della guerra. Ha trovato delle resistenze, per fare le ricerche necessarie per il film?
A dire la verità no, almeno durante le ricerche è andato tutto bene, anche se gli archivi aperti erano soprattutto quelli delle vittime, su cui sono riuscita ad avere più notizie. Solo con la Croce Rossa c'è stato qualche problema, ma più che ostilità era scarsa collaborazione. Non so dire perché. Le cose però sono cambiate dopo il successo del film: si è iniziato a confondere il tema del film con l'attualità del conflitto israelo-palestinese, come se le due cose fossero legate. Pareva quasi che piangere i bambini ebrei morti significasse giustificare la politica israeliana.

Come si sente nel vedere le leggi, se non razziali comunque fortemente discriminatorie, varate oggi da molti paesi europei, compresa la Francia?
Io sono un'immigrata di seconda generazione, mia madre era abruzzese, mio padre catalano, un repubblicano perseguitato dal regime di Franco. L'espulsione dei 10.000 Rom da parte del governo francese è stata una cosa molto brutta: se anche alcuni di loro avessero commesso dei reati, comunque non sarebbe questa la soluzione al problema. Però devo anche essere onesta: secondo me siamo entrati in un'epoca in cui emigrare potrebbe non essere più una risposta ai problemi. Siamo nell'epoca di internet e della globalizzazione: per gli abitanti dei paesi poveri, la cosa migliore sarebbe restare e sviluppare le proprie capacità in loco. Gli emigranti sono un po' una elite, quelli più intraprendenti, più pronti al rischio: rappresentano delle energie di cui il loro paese d'origine viene privato, e questo è un peccato.

Come siete arrivati a scegliere Jean Reno in un ruolo così insolito per lui?
Conosco Jean da molti anni, ricordo che dieci anni fa gli dissi: "Ho voglia di farti soffrire un po' in un film, visto che al cinema non fai altro che uccidere la gente". Gli ho fatto leggere la sceneggiatura e il giorno dopo mi ha subito detto di sì. Tutti gli attori hanno accettato subito, e non credo fosse per ragioni economiche: di soldi ne avevamo a disposizione pochi, e gran parte li abbiamo spesi per la ricostruzione del velodromo. Per tutti noi partecipare a questo film è stato un po' come fare volontariato. Molti pensano che io abbia esagerato nel presentare certe situazioni, ma non è vero: tutto quello che si vede nel film è accaduto veramente, compresi i dettagli, su cui mi sono direttamente documentata. Non ho voluto far piangere, ma piuttosto presentare delle motivazioni razionali per piangere.