Per cinque settimane e dieci episodi, Romulus, la nuova serie Sky creata e prodotta da Matteo Rovere ha giocato con noi. Ha giocato con la nostra conoscenza e con la leggenda della nascita di Roma, facendoci chiedere come la storia di Yemos e Wiros, un erede al trono allontanato dall'usurpatore e uno schiavo che sa usare il dono della parola e dell'eloquenza per raggiungere i suoi scopi, potesse intrecciarsi a quella di Romolo e Remo. E con l'episodio conclusivo abbiamo finalmente avuto la risposta, in cinquanta minuti che, pur lasciando uno spiraglio aperto per una seconda stagione, chiudono l'intreccio e la frase che, una parola alla volta, si è composta nei titoli degli episodi (lo vedremo tra poco). Tuttavia la serie fa molto di più: tra le vicende violente legate al trono di Alba, tra un conflitto irrisolto tra volontà divina e libero arbitrio, il significato del finale di Romulus si rivolge alle nuove generazioni fornendo una chiave di lettura che non solo mette in scena un conflitto tra padri e figli tanto caro alla nostra epoca, ma fornisce anche, di riflesso, un discorso prettamente meta-cinematografico che si dimostra coerente con il lato produttivo della serie stessa.
Di giovani, dei e padri
Un conflitto triplice si svolge nel corso dei dieci episodi della prima stagione di Romulus. C'è lo scontro tra la libertà degli uomini e il volere degli dei, tra ciò che si deve fare per compiacere la fortuna (nel senso latino del termine, quindi inteso generalmente come "sorte") e ciò che, invece, è l'uomo stesso a desiderare. Tutte le scelte dei personaggi, ciò in cui credono e il modo in cui ragionano sono filtrate attraverso la religione e la sottomissione a un potere divino che spesso è rivelatorio, ma è capace di essere anche silenzioso. Proprio in questo finale percepiamo il silenzio degli dei, un silenzio capace di mettere in discussione l'ordine prestabilito del mondo e, di conseguenza, di essere capaci a sovvertirlo. Non è un caso che quello che doveva essere il grande scontro finale tanto atteso si risolva in maniera anticlimatica: Amulius, ancora seduto sul trono ma di fatto senza più alcun potere (si potrebbe pensare che gli dei gli abbiano voltato le spalle), è destinato ad evitare l'onorevole lotta morendo per mano della figlia Ilia (Marianna Fontana), inginocchiato senza più orgoglio. Avviene circa a metà episodio, come se fosse un evento di scarsa rilevanza, e per un certo senso è così. Perché più importante del "gioco di troni", quello che Romulus ha messo in scena è stato il conflitto tra generazioni e la fatica dei figli di appropriarsi di una voce nuova. Ilia, Yemos e Wiros sono vittime di un mondo antico che piano piano li ha schiacciati in un'esistenza soffocante e da cui cercano di rinascere. Tutti e tre hanno avuto un'esperienza mortuaria che li ha portati vicini alla morte (Ilia seppellita viva, Wiros imprigionato, Yemos precipitato nel fiume e allontanato da Alba) da cui si sono salvati e hanno trovato un nuovo punto di vista, un nuovo modo di vivere, una diversa consapevolezza di loro stessi. Tutti e tre possono fondare un nuovo mondo anche per il loro essere orfani, senza genitori, senza più legami con il passato e con chi è venuto prima di loro.
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La nascita di Roma
Dieci episodi, dieci titoli, dieci parole per formare una frase di Virgilio tratta dal Libro VI dell'Eneide: "Tu regere imperio populus, Romane, memento: [...] parcere subiectis [et] debellare superbos" ovvero "Tu, Romano, ricorda di governare i popoli: risparmiare gli arresi e sconfiggere i ribelli". Una frase che riassume la parabola di quello che sarà l'Impero romano e che si sposa bene con il percorso narrativo dei tre protagonisti (sì, compresa Ilia vista l'ultima inquadratura dell'episodio che lascia aperto lo spiraglio per la stagione successiva). La nascita di Roma non passa attraverso una battaglia e lo spargimento di sangue, ma attraverso una presa di coscienza del giovane che, invece di modificare un sistema antiquato ma troppo profondo per abbracciare cambiamenti, decide di partire da zero costituendo una nuova città, in questo caso Velia diventa Ruma, in onore alla dea dei Lupi. Non si sparge il sangue con atti violenti, ma sempre una decisione legata al sangue, quella di Yemos (Andrea Arcangeli), ormai talmente legato al "fratello" Wiros e alla sua nuova famiglia di luperci. Al suo breve insediamento ad Alba, Yemos si scontra subito con i re dell'Alleanza dei Trenta: vecchi, con la barba bianca, icone di un mondo troppo antico che non riesce a comprendere le nuove generazioni e già ne ostacola le decisioni. Impossibilitato a trovare un equilibrio tra il sangue biologico e il sangue di fratellanza, Yemos rinuncia al potere di Alba per regnare, insieme a Wiros (Francesco Di Napoli) in una Velia che si trasformerà in Roma.
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Metafore per una nuova Alba
È la vittoria delle nuove generazioni o una sconfitta per loro? Alla ricerca di pace e giustizia, i giovani e tutti gli esclusi della società, gli emarginati, quelli considerati dai più come "diversi" saranno padroni - per usare un termine forte - "a casa loro". Il risultato a cui i giovani sono costretti può essere interpretato in maniera diversa a seconda dei punti di vista (il classico bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto), ma è indubbio che, comunque la si veda, il passo di Yemos è un nuovo inizio. E conoscendo già la Storia, sappiamo che Roma crescerà sempre di più fino a diventare un impero nel suo massimo splendore. Ci piace pensare che la serie, addirittura attraverso la sua stessa esistenza, voglia parlare alle nuove generazioni proprio attraverso il coraggio dei protagonisti ad accettare questa sconfitta in senso stretto che però si dimostra il primo passo verso una vittoria completa. Il Romulus del titolo non è quindi da intendersi, almeno finora, il Romolo della leggenda, ma un Romolo fondatore di una nuova Roma, di una nuova Alba. È lo stesso Matteo Rovere che lotta contro un'industria cinematografica italiana che ha paura del cambiamento proponendo narrazioni di carattere internazionale; è la serie stessa che risulta essere un prodotto televisivo locale unico e atipico (per la cura fotografica, per l'ambientazione, per l'uso del protolatino come lingua); è la storia di giovani emarginati che si sentono orfani e invece di provare a cambiare il mondo, ne costruiscono uno nuovo a loro misura, sapendo che quello antico è destinato a esserne inglobato. Una serie che racconta il mondo contemporaneo attraverso una dimensione mitologica, perché in questo scontro generazionale, nell'invito a diventare tutti quanti un Romolo, si nasconde una forza ribelle che urla al cambiamento.