Roman Polanski: 5 film da riscoprire del grande regista polacco

Accanto a capolavori quali Chinatown e Il pianista, la filmografia di Roman Polanski comprende anche titoli meno noti o poco fortunati, ma che meritano di essere riscoperti.

Roman Polanski: 5 film da riscoprire del grande regista polacco

Ha appena compiuto novant'anni, di cui oltre sessanta sono trascorsi da quando ha iniziato la propria attività dietro la macchina da presa: sei decenni di carriera, per un totale di ventitré lungometraggi di cui ha firmato la regia, e un'esistenza scandita da soddisfazioni, trionfi, tragedie personali (l'orrore antisemita nella Polonia occupata dai nazisti, l'omicidio della moglie Sharon Tate) e controversie che ne hanno marchiato la reputazione (gli abusi sessuali ai danni di Samantha Geimer e le relative traversie giudiziarie). Figura ammirata quanto discussa, Roman Polanski, nato a Parigi il 18 agosto 1933 da padre polacco e madre russa, resta al di là di tutto uno dei giganti della settima arte: pochi registi hanno saputo rinnovare i codici del thriller, del grottesco e dell'horror in maniera altrettanto portentosa, o sono stati in grado di destreggiarsi fra i generi più diversi con la sua stessa, spiazzante disinvoltura, pur mantenendo fede a una poetica ben precisa.

La carriera di Roman Polanski, fra capolavori e titoli da riscoprire

Roman Polanski
Un ritratto di Roman Polanski

A partire dalla sua rapida consacrazione nel panorama del cinema europeo degli anni Sessanta, per approdare a Hollywood nel 1968 con un titolo epocale quale Rosemary's Baby, Roman Polanski ha dimostrato una straordinaria propensione quando si tratta di far emergere le ambiguità, i lati oscuri e le pulsioni autodistruttive dei suoi personaggi; una propensione associata spesso alla capacità di dipingere le contraddizioni e le storture della società e della storia. Da Chinatown, capolavoro noir del 1974 e assoluta punta di diamante della sua produzione, a Tess, trasposizione datata 1979 del romanzo di Thomas Hardy; da Il pianista, struggente rievocazione della guerra e dell'Olocausto, che nel 2002 gli valse la Palma d'Oro e l'Oscar per la miglior regia, a successi più recenti come L'uomo nell'ombra del 2010 e L'ufficiale e la spia del 2019, la carriera di Polanski è ricca di opere memorabili, alcune delle quali sono ormai impresse nel nostro immaginario collettivo.

Chinatown 1974
Chinatown: Jack Nicholson e Faye Dunaway

Ma accanto a classici di indubbia fama quali appunto Chinatown e Il pianista, la filmografia di Roman Polanski include pure titoli poco noti al di fuori del pubblico più cinefilo o che, per vari motivi, non hanno riscosso molta attenzione alla loro uscita. E in attesa del suo nuovo lavoro, The Palace, commedia satirica che sarà presentata fuori concorso all'imminente Mostra di Venezia e approderà il 28 settembre nelle sale italiane, di seguito vi invitiamo a riscoprire cinque pellicole meno ricordate fra quelle dirette dal regista polacco, ma in grado comunque di mettere in luce alcuni tratti distintivi del suo cinema conturbante e senza tempo.

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1. Il coltello nell'acqua

Il Coltello Nellacqua
Il coltello nell'acqua: un'immagine del film

Tutt'altro che un'opera minore: al contrario, Il coltello nell'acqua si attesta fra i più impressionanti debutti negli annali del cinema. Scritta da Polanski con il suo collega Jerzy Skolimowski e realizzata nel 1962, la pellicola già propone alcuni elementi-chiave della produzione polanskiana: dal senso di sottile minaccia che percorre la storia all'attrazione erotica come motore della tensione crescente fra i personaggi, due uomini e una donna che si trovano confinati nello spazio circoscritto di una barca durante una gita al lago. Presentato al Festival di Venezia 1962 e ricompensato con la nomination all'Oscar come miglior film straniero, Il coltello nell'acqua non ha raccolto l'immediata visibilità dei futuri successi del regista, ma si è imposto comunque come uno dei capitoli più rappresentativi del suo itinerario artistico.

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2. Macbeth

Macbeth Polanski
Macbeth: un'immagine di Jon Finch

A tre anni dal fenomenale responso per Rosemary's Baby, e dopo la strage di Beverly Hills in cui aveva perso la vita sua moglie Sharon Tate, nel 1971 Roman Polanski fa ritorno sul set con un adattamento, curato insieme all'accademico Kenneth Tynan, di una delle più celebri tragedie di William Shakespeare, Macbeth, già portata al cinema in precedenza da registi del calibro di Orson Welles e Akira Kurosawa. Polanski sceglie di affidare i due ruoli principali, l'ambizioso nobile scozzese e la spietata Lady Macbeth, a due interpreti molto giovani e non ancora affermati, Jon Finch e Francesca Annis (ingaggiati dopo i rifiuti di due star come Albert Finney e Glenda Jackson), e di accentuare il crudo realismo della messa in scena, evidenziando i toni sanguinari. Di conseguenza, la sua trasposizione non sarà in grado di fare troppa presa sul pubblico: Macbeth si rivelerà infatti un pesante (e ingeneroso) fiasco commerciale.

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3. Luna di fiele

Bitter Moon
Luna di fiele: Hugh Grant ed Emmanuelle Seigner

Dopo aver rilanciato la propria carriera nel 1988 grazie al thriller Frantic, anche sull'onda della popolarità di Harrison Ford, sempre in Francia Roman Polanski si dedica a un progetto ben più complesso e rischioso: portare sullo schermo un romanzo di Pascal Bruckner incentrato sul bizzarro ménage fra uno scrittore americano, Oscar Benton (Peter Coyote), e la sua provocante moglie Mimi Bouvier (Emmanuelle Seigner). Il sadomasochismo, le fantasie erotiche che prendono forma, il sesso come strumento di potere e di sopraffazione: in Luna di fiele, Polanski si tuffa senza remore in una materia narrativa 'scabrosa', illustrando il rapporto di coppia fra i protagonisti come un crudele gioco fra vittima e carnefice, in cui resteranno coinvolti anche due giovani turisti inglesi, Nigel e Fiona Dobson (Hugh Grant e Kristin Scott Thomas). Uscito in Europa nel 1992, Luna di fiele dovrà aspettare un anno e mezzo prima di essere distribuito negli Stati Uniti, dove la sua natura fieramente trasgressiva gli impedirà di attrarre vaste platee.

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4. La morte e la fanciulla

Death And The Maiden
La morte e la fanciulla: Sigourney Weaver e Ben Kingsley

E a suo modo, costituisce un gioco fra vittima e carnefice anche il film successivo di Roman Polanski, sebbene qui la dimensione sentimentale ed erotica ceda il posto a quella politica: si tratta de La morte e la fanciulla, adattamento del 1994 dell'omonimo dramma teatrale di Arel Dorfman del 1990, portato due anni più tardi a Broadway con Glenn Close, Richard Dreyfuss e Gene Hackman. Per la versione cinematografica, Polanski scrittura invece Sigourney Weaver nella parte di Paulina Escobar, ex-detenuta durante un regime dittatoriale in un imprecisato paese dell'America latina, e Ben Kingsley nei panni di Roberto Miranda, un medico in cui Paulina crede di riconoscere uno dei propri aguzzini. La dimensione da Kammerspiel, il confronto/scontro fra un terzetto di personaggi e il rovesciamento dei rapporti di forza, da sempre ingredienti del cinema di Polanski, ne La morte e la fanciulla trovano un'altra esecuzione esemplare e tesissima.

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5. Quello che non so di lei

Based On A True Story
Quello che non so di lei: Emmanuelle Seigner ed Eva Green

Fra Venere in pelliccia del 2013 e L'ufficiale e la spia del 2019, che entusiasmano la critica in Europa e riscuotono numerosi premi (fra cui due César per la miglior regia e il Leone d'Argento a Venezia nel 2019), si inserisce una pellicola assai meno apprezzata, frutto della collaborazione tra Roman Polanski e il co-sceneggiatore Olivier Assayas a partire da un romanzo di Delphine de Vigan: Quello che non so di lei, presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2017. Emmanuelle Seigner, moglie del regista e sua frequente partner sul set, presta il volto alla protagonista Delphine Dayrieux, una scrittrice in crisi creativa che si lascia irretire da una seducente ammiratrice, interpretata da Eva Green; ma in maniera inesorabile, la relazione fra le due donne sfocia in un'indefinita atmosfera di pericolo. L'elemento metanarrativo si fonde con suggestioni hitchcockiane in un film che, pur senza attestarsi fra le vette della filmografia del regista, si offre come un saggio emblematico del cinema di Polanski, delle sue ossessioni e del suo fascino talvolta perverso.

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