Dal porno ad un'opzione, concreta, per la Notte delle Stelle. È singolare, la vicenda artistica di Wash Westmoreland: regista inglese trapiantato negli States, partito negli anni '90 dall'industria dell'hard core, per poi diventare, nel decennio successivo, uno dei più significativi nomi del panorama indipendente americano.
Dopo una serie di pellicole che hanno imposto il nome di Westmoreland e del suo collega (e compagno di vita) Richard Glatzer all'attenzione della critica internazionale, i due fanno ora il salto nel mainstream: Still Alice, distribuito dalla Sony Pictures, si avvale di una protagonista come Julianne Moore (data come già in odore di nomination) affiancata da interpreti del richiamo di Alec Baldwin, Kristen Stewart e Kate Bosworth.
Il film è un intenso dramma su una donna di successo, brillante docente universitaria, che vede la sua mente e la sua vita sconvolte da una diagnosi di Alzheimer precoce. I due registi, nel descrivere con precisione e accuratezza i sintomi e la progressione della malattia, riescono a delineare chiaramente lo smarrimento e la solitudine che accompagnano la condizione della protagonista; riuscendo nel difficile compito di risultare credibili e toccanti, senza per questo ricattare lo spettatore. Un tema evidentemente sentito, in parte sovrapponibile alla recente, difficile situazione dello stesso Glatzer; quest'ultimo, attualmente affetto da sclerosi laterale amiotrofica, in fase avanzata, non ha potuto ovviamente presenziare all'incontro stampa al Festival del Film di Roma. A introdurre il film ai giornalisti, quindi, resta il solo Westmoreland, che ne ha spiegato la genesi e le istanze di base, artistiche e personali.
Julianne Moore e un cast di star
"Quando Richard e io abbiamo lavorato sulla sceneggiatura, abbiamo subito pensato a chi potesse essere adatta a interpretare un viaggio così intenso", ha esordito il regista. "Un viaggio che attraversa una vasta gamma di emozioni, che trasforma una professoressa in una persona che quasi non riesce più a parlare. Abbiamo guardato alla carriera di Julianne Moore, e abbiamo pensato che è un attrice fantastica: l'avevamo già contattata per altro progetto e ci aveva detto di no, ma stavolta, appena ha ricevuto il copione, ha subito accettato". Un ruolo, quello della Moore, che non si è limitato all'interpretazione, ma ha riguardato aspetti sostanziali della costruzione del personaggio. "Era una partner creativa, abbiamo discusso molti aspetti della storia insieme, così come l'evoluzione della sua performance nel corso del film. Siamo andati un po' a tentoni, per tentativi, per cercare di capire cosa potesse funzionare subito, di ciò che mettevamo nel film, e cosa invece aveva bisogno di ulteriore lavoro."
Un inevitabile quesito riguarda le voci di Oscar che già si affollano intorno all'interpretazione della protagonista. "Noi, durante il film, non ci pensavamo proprio", risponde Westmoreland. "Eravamo totalmente immersi nel costruire la recitazione, sapevamo tutti che si stava facendo qualcosa di speciale. Certo, il sogno di ogni cineasta è che del film si parli bene, e che si parli anche di Oscar. Julianne, poi, è la più grande attrice americana che ancora non ha ricevuto la statuetta: la meriterebbe davvero. L'attenzione che ciò crea, comunque, è positiva: sia per il film in sé, sia per la sensibilizzazione al suo tema".
Riguardo a Kristen Stewart, interprete della figlia della protagonista, il regista afferma che "è un attrice di grande talento, magari più nota per i suoi film di cassetta ma capace di dedicarsi anche a progetti più piccoli e indipendenti. È così dura, onesta e anticonformista, che abbiamo pensato subito sarebbe stata perfetta pe il ruolo di Lydia. Ha un cervello che lavora a 100 km all'ora, va dritta all'obiettivo con onestà. Il legame che ha costruito con Julianne Moore, sul set, è stato palpabile, si sono subito piaciute moltissimo."
Il contributo delle parti in causa
Nei titoli di coda sono presenti vari ringraziamenti ad associazioni che si occupano di Alzheimer. Un contatto, con i malati e i loro familiari, che ha accompagnato tutta la realizzazione della pellicola. "Abbiamo avuto il sostegno totale dell'Associazione Alzheimer degli USA", ha spiegato il regista. "Per quest'ultima, lavora tra gli altri, Maria Shriver, una persona famosa nel mondo dei media, che fa un grande lavoro di sensibilizzazione ed è produttrice esecutiva del nostro film. L'Associazione ci ha aiutato in tutto il lavoro del copione e della preparazione, abbiamo parlato con assistenti sociali, medici, e soprattutto con quei malati che ancora potevano darci la loro testimonianza, e con le persone che li assistevano. Il film è rivolto a tutti, ma volevamo che quegli spettatori che avessero avuto quella stessa esperienza, lo sentissero come vero. Julianne ha fatto un ampio lavoro di documentazione, nel corso del quale ha anche fatto la conoscenza di una professoressa che stava vivendo, sulla sua pelle, la stessa situazione del suo personaggio. Il rapporto che si è creato tra le due è stato molto intenso".
La reazione dei pazienti e dei loro familiari, stando alle parole del regista, è stata comunque molto positiva. "Tutte le persone con cui abbiamo parlato hanno avuto un atteggiamento estremamente positivo verso il nostro film. Il libro di Lisa Genova da cui è tratto, poi, è molto noto nel mondo dell'Alzheimer. Tante volte ho chiesto a malati e familiari se l'avevano letto, e tutti mi hanno detto 'sì, è la storia della mia vita'. La protagonista, prima di ammalarsi, vive una vita ad altissimo livello, ma nel suo personaggio ci sono tantissime cose che sono accessibili a tutti. È stato un grande onore, per noi, incontrare l'onestà e la fiducia di persone che si sono aperte totalmente con noi."
Il tema e le sue implicazioni
Il modo in cui il film tratta l'argomento parte dalla questione cruciale della perdita del linguaggio, che significa per la protagonista perdita della vita. "E' una questione filosofica centrale", spiega Westmoreland, "quella del linguaggio e di come questo influenza il pensiero, e di come il pensiero a sua volta influisce sulla vita. Alice, nel film, si rende conto con dolore di cosa le succede quando non trova le parole: in quei momenti, lei non trova più se stessa. È terribile la riduzione progressiva del linguaggio e della memoria: la lotta, per lei, è quella di mantenere in modo diverso un rapporto con la vita. Ciò che lei fa nel film ha un altissimo valore: vediamo spesso la sua lotta per trovare le parole nonostante tutto, una lotta disperata. Ma quello che il film dice, alla fine è che una comunicazione è comunque possibile. Non abbiamo mai voluto presentarla come vittima, ma come una persona che, in ogni fase della malattia, reagisce in modo forte, e ciò la rende fonte di ispirazione".
Il tema, malgrado tutto, era a forte rischio retorica. Un rischio che i due registi hanno voluto assolutamente evitare. "Quando abbiamo cominciato, sapevamo che era un film pericoloso, dal forte potenziale melodrammatico, che sarebbe potuto risultare esagerato e sopra le righe. Volevamo avere un certo ritegno nel mettere insieme la storia, volevamo che il pubblico guardasse il film senza sentirsi manipolato. Abbiamo pensato che questo atteggiamento avrebbe creato un'onestà maggiore: abbiamo scelto di raccontare al pubblico una storia, in modo semplice e vero, e di lasciarlo libero di reagire come meglio credeva".
Un ultimo quesito riguarda la difficile situazione di Richard Glatzer, e il parallelo con quanto raccontato nel film. "Richard è il mio collega di scrittura, di regia, il mio partner, e ora, grazie alla legge della California, anche mio marito. Sarebbe stato felicissimo di essere qui, ma è dovuto rimanere a casa perché la SLA è entrata ora nella fase più difficile. Quando abbiamo iniziato a lavorare sul film, la sua malattia ha iniziato a colpire il linguaggio, le parole, e allora ci siamo chiesti se eravamo davvero in grado di affrontare una cosa del genere. Quando, poi, nel libro abbiamo visto quello che era il rapporto tra i due protagonisti, ci siamo detti che sì, era possibile. Lui ha sentito una connessione molto forte con ciò che vive Alice, anche se la sua situazione è diversa: l'Alzheimer, infatti, distrugge la mente, mentre la SLA lascia integra quest'ultima per attaccare il corpo. Abbiamo comunque trovato, nella storia, qualcosa di così onesto che abbiamo deciso di fare il film: questo, nonostante lui ormai non fosse in grado né di parlare, né di scrivere sul computer. Ma il suo contributo è stato comunque straordinario, sia in fase di scrittura che di realizzazione: è stato regista del film a tutto tondo".