Ormai Richard Gere è uno volto quasi famigliare. Non solamente perché nel corso degli anni ha frequentato sempre con grande piacere il Festival di Roma, ma anche perché l'abbiamo incontrato dieci giorni fa per la presentazione di Time Out of Mind al New York Film Festival. Ed è proprio per sostenere questa nuova avventura cinematografica, che torna nella capitale pronto ad animare ancora una volta il red carpet della manifestazione.
Il film, diretto da Oren Moverman, ha regalato all'attore un ruolo particolare, quantomeno diverso dalla consuetudine cui siamo abituati a vederlo. In questo caso, infatti, dismessa momentaneamente la sua naturale signorilità, Gere interpreta un senzatetto newyorchese che, trascorrendo gran parte della sua giornata sul marciapiede, scopre quanto invisibile possa diventare un uomo agli occhi dell'altrui umanità per il semplice fatto di rappresentare un incubo globale come il fallimento.
Una strada lunga dieci anni
Andamento elegante e un sorriso aperto. Richard Gere fa il suo ingresso in conferenza stampa e saluta i giornalisti con un allegro "buon giorno a tutti". È evidente che si tratta di una delle personalità più amate tra le star di Hollywood, riuscendo ad entrare in contatto con immediatezza con i suoi interlocutori. Altrettanto semplicemente e con desiderio di comunicazione, riesce a trasmettere i motivo alla base di questo progetto, che lo ha accompagnato fedelmente per molto tempo. "Quale versione della storia volete? Ne ho una lunga e una corta. Facciamo così, optiamo per quella media. La sceneggiatura mi è stata mandata più di dieci anni fa e conteneva già i semi di questo film. Allora non avevo alcuna intenzione di realizzarla e l'ho messa da parte senza che mi abbandonasse mai. Quando l'ho riletta ho scoperto che c'era una perfetta corrispondenza con la realtà. A quel punto avevo un'idea di come realizzarla ma non sapevo come comunicarla. Volevo un racconto che fosse naturale, quasi secco senza troppa enfasi. Quando ho fatto leggere la sceneggiatura ad Oren, poi, anche lui ne è rimasto conquistato e si è buttato a capofitto a riscrivere il soggetto."
L'invisibile
Per realizzare un film con al centro la difficile tematica dei senza tetto Gere si è sottoposto ad una lunga attività di ricerca. Per questo motivo, nel momento in cui sono iniziate le riprese non si è certo lasciato stupire dalla realtà che andavano a rappresentare. A colpirlo, invece, è stata proprio la sua esperienza in strada, vissuta pienamente e con completezza, proprio per dar vita al concetto base del film. "Partiamo dal fatto che i soldi a nostra disposizione erano veramente pochi. Quindi abbiamo dovuto girare in soli 21 giorni. Anche per questo motivo abbiamo deciso che l'impronta del film sarebbe stata invisibile. Il che vuol dire che io sarei stato per la maggior parte del tempo in strada, ripreso da lontano mentre nessun altro poteva vedere le cineprese nascoste in palazzi o negozi. E non sapevamo nemmeno se sarebbe stato per me possibile essere lì senza venire riconosciuto. Per questo motivo abbiamo organizzato una prima giornata di prove proprio al Greenwich Village, dove ci sono molti cinefili. Io avevo l'aspetto del mio personaggio e mi sono comportato come tale. Il risultato è stato strabiliante. Nessuno mi ha notato, ne ha incrociato il mio sguardo. Ed in questo modo, tra l'indifferenza generale, siamo andati avanti per 45 minuti."
Tendere la mano
Ma quanto deve essere difficile per un attore abituato a ben altre situazioni, esporsi all'indifferenza altrui e tendere la mano in attesa di un gesto caritatevole? "La tradizione tibetana prevede che si tenda la mano per chiedere qualche cosa agli altri. La motivazione, però, è completamente diversa rispetto a quella di chi lo fa per accattonaggio. In questo modo, ad esempio, un monaco da a qualcuno la possibilità di fare un' offerta. Questo elemento mi ha sostenuto nella mia prova. Come attore davo alle persone la possibilità di creare un merito positivo."
Cambiare direzione
E se il futuro del cinema, almeno quello impegnato fosse quasi esclusivamente nelle produzioni indipendenti come questa? Gere non esclude affatto l'ipotesi. Anzi, la sostiene visto, anche la frequente allergia degli studios nei confronti del dramma. "Credo che questo sia il futuro, almeno per alcuni tipi di film. In fin dei conti, le sceneggiatura migliori di questi anni sono state scritte per opere indipendenti. Stiamo parlando dei così detti film da cinque a undici milioni di dollari che, almeno in passato, venivano realizzati anche dalle major. Ora non è più così. Perché se vogliamo che una storia venga realizzata dobbiamo stare ben attenti alle parole che utilizziamo. Via libera per commedia e thriller, ma dobbiamo assolutamente abolire il dramma. Di fronte a questo le porte si chiudono automaticamente."
Gli indifferenti
Tornando sulla sua esperienza come invisibile, l'attore ne approfitta per fare un'ultima analisi sulla società moderna sorseggiando il suo irrinunciabile te. "Siamo tutti chiusi in una capsula. Conosciamo perfettamente la nostra destinazione ma raramente sappiamo cosa accade dal punto A al punto B. Per questo motivo credo che il film nasconda al suo interno un messaggio universale, oltre che umano e sociale. Ossia, vi è un profondo desiderio di appartenere a qualche cosa o a qualcuno. Trovare la propria comunità e il gruppo cui fidarsi è essenziale. E in questo non vedo nessuna differenza tra chi vive in strada e noi."
Qui la recensione di Time out of Mind