L'iper-prolifico Takashi Miike è giunto al Festival del Film di Roma, quest'anno, con ben due lavori: dopo il divertentissimo The Mole Song - Undercover Agent Reiji, gli spettatori della manifestazione capitolina hanno potuto vedere questo Blue Planet Brothers, progetto atipico, sopra le righe e assolutamente politically incorrect, che vuole descrivere i pregi del tabagismo. Un mediometraggio (60 minuti in tutto) composto di vari sketch, che vedono protagonisti un extraterrestre, un samurai e una sorta di fata dalle sembianze maschili; un progetto libero e fuori dagli schemi, malgrado la sua natura di prodotto "su commissione", finanziato dalla multinazionale Japan Tobacco.
Com'è nato questo progetto, così fuori standard anche per una cinematografia come la sua?
Takashi Miike: Beh, se fosse questo lo schema standard per il mio cinema, sarei morto in Giappone! Essendo fumatore, volevo fare un po' di pubblicità al tabagismo, e dire che le sigarette hanno qualcosa di buono, se fumate con civiltà. Il progetto è stato sostenuto dalla Japan Tobacco, e alcuni episodi del film sono stati trasmessi via internet. Il messaggio che volevo trasmettere è quello di fumare in maniera civile, senza eccedere.
Ma per me, infatti, è l'Italia il paese da sogno! Lo considero un paese meraviglioso.
Ci chiediamo quando lei dorma, considerato che realizza almeno quattro film all'anno; in più, spesso, aggiunge una serie di progetti televisivi e spot. Come si rapporta al lavoro con ritmi del genere?
Il ruolo di regista può essere anche rilassato. Ma questo vale per tutte le persone e per tutti i lavori: c'è per esempio chi lavora quattro giorni alla settimana, chi lavora solo un certo numero di ore al giorno; tutto è relativo. Molti mi dicono che faccio tantissimi film, ma io in realtà seguo solo il mio ritmo: non faccio paragoni col ritmo altrui. Se, poi, in futuro questo ritmo dovesse cambiare, non posso saperlo. Per me, comunque, non ha importanza quanti film producano gli altri.
La cosa straordinaria è che il livello qualitativo è sempre elevatissimo. Sono film realizzati sempre per il pubblico, che denotano una grande comprensione dei meccanismi dello spettacolo. Lei dove si colloca, all'interno dell'industria del cinema giapponese?
Sono considerato un regista strano, misterioso nel cinema giapponese. Produco telefilm trasmessi a notte fonda, e anche pubblicità televisive. Mi chiamano regista di genere, ma io non appartengo a nessun genere: faccio film di samurai, di gangster, storie d'amore, ecc. Non mi sono mai chiesto come mi vedano gli altri.
E' tutto legato alle storie: i personaggi si muovono sempre all'interno di una certa storia. Se parlo di yakuza, è normale che ci sia violenza, se metto una giovane coppia, allora sarà una storia d'amore. Io, ogni volta, mi concentro solo sulla storia che sto raccontando.
C'è una costante nel suo cinema, che è la sua particolare visione del mondo, e dei rapporti che gli uomini hanno tra di loro. Al fondo, sembra un cinema profondamente politico: i rapporti umani hanno un valore di merce, e sono determinati dall'avidità e dalla brutalità.
In realtà, quando faccio un film sono molto naturale, non cerco di trasmettere tematiche particolari. Man mano che giro, poi, le tematiche ovviamente vengono fuori.
Come mai la scelta di usare tre protagonisti fantastici, tutti e tre assolutamente folli e fuori contesto?
Mi piaceva pensare che questi tre personaggi così diversi, ognuno con la propria intelligenza, potessero avere dei sentimenti in comune.
Non l'ho ancora fatto perché finora non ho ricevuto quasi nessuna richiesta in tal senso. Produco tanti film, e uso un ritmo mio, personale: la prova di questo è che tra poco dovrebbe iniziare la cerimonia di premiazione, e non sono stato ancora chiamato!
Ha mai pensato di fare un film con protagonista Godzilla, un personaggio che tutti amiamo?
Per la nostra generazione, Godzilla è un vero eroe, un eroe dark. Io mi accontento di esserne spettatore, e di godermi sullo schermo questo dio terribile, un dio della salvezza.