Si può sorridere di una madre che, dopo aver cresciuto cinque figlie e aver costantemente atteso un marito assente, si rifugia nella follia di un mondo caratterizzato dalle canzoni di Tutti insieme appassionatamente? La risposta è affermativa, soprattutto se dietro queste premesse c'è il tocco leggero di P.J. Hogan che, abbandonate per l'occasione le ambientazioni a stelle e strisce, sceglie di immergersi nuovamente nel cuore della sua Australia per raccontare una autobiografica storia di straordinaria follia. Dunque, archiviati i successi de Il matrimonio del mio migliore amico e le disavventure della Shopaholic Becky Bloomwood, il regista tornato dietro la macchina da presa e presenta in anteprima al Festival di Roma la sua nuova commedia Mental, dove mette in scena una famiglia tendenzialmente bipolare affidata alle cure di un altrettanto improbabile governante autostoppista, sostenitrice di un caos rigenerante. Così, dopo aver opportunamente ricoverato la moglie Shirley in una casa di cura, Barry (Anthony LaPaglia) è costretto a fidarsi dei metodi "innovativi" della tata Shaz (Toni Colette) che, con il suo mastino Ripper, un coltello nascosto negli stivali da Cowboy ed un ex marito cacciatore di squali terrorizza le ragazze, ma le incoraggia anche ad uscire allo scoperto, affrontando i timori che sembrano caratterizzare anche la sua vita. Tanto per confermare il principio che non esistono più le Mary Poppins di una volta.
Dopo il successo de Le nozze di Muriel, lei ha iniziato a lavorare negli Stati Uniti firmando commedie come Il matrimonio del mio migliore amico. Cosa l'ha condotta nuovamente in Australia per realizzare Mental? P.J.Hogan: La mia esperienza negli Stati Uniti è stata gradevole, ma vi dovete rendere conto che, per quanto vi paghino bene, ad Hollywood non è possibile fare ciò che si desidera fino in fondo. Quindi, ho sentito che, per realizzare un film personale era giunto il momento di tornare a casa. Mental è una vicenda completamente autobiografica, quindi ogni singolo evento che avete visto sullo schermo è accaduto veramente alla mia famiglia. Quando avevo dodici anni mia madre ebbe un esaurimento nervoso, l'ultimo di una lunga serie. Mio padre, un politico locale, ci disse che era andata in vacanza per riposarsi e questa era la versione che dovevamo dare a chiunque chiedesse notizie. A quel punto, schiacciato dagli eventi, penso che sia impazzito anche lui accettando di affidarci ad una ragazza incontrata lungo la strada. Non so per quale motivo, ma la vide con un cane e pensò che dovesse trattarsi di una brava persona. Da quel momento la mia Shatz è diventata il mio punto di riferimento e, se ci penso bene, era assurdo visto che si trattava di una pazza scatenata.
Com'è riuscito a dare al racconto una nota comica, nonostante tocchi degli eventi così fondamentali per la sua infanzia? P.J.Hogan: Il tempo aiuta a guardare alle cose con uno sguardo nuovo. Dopo aver girato Le nozze di Muriel ho dovuto affrontare degli eventi imprevisti, come la nascita di due bambini autistici. A quel punto, avendo anche l'esperienza di una sorella bipolare, la malattia mentale è diventato qualche cosa di veramente rilevante. Quando si entra in contatto con questi problemi, inevitabilmente conta solo la persona malata, mentre chi le rimane accanto sparisce del tutto. Per questo volevo che Mental fosse una commedia. Volevo dimostrare a tutti che si deve e si può ridere di ogni problema. Inoltre, ho scelto di essere politicamente scorretto come unico mezzo per parlare e non vergognarsi più dei propri limiti. In questo modo spero che il film provochi anche una discussione, dando a chiunque soffre di depressione o malattie mentali la possibilità di esprimere chiaramente la propria condizione, senza per questo essere emarginato o ignorato.
Nonostante un film sulla pazzia, lei sembra essere incredibilmente equilibrato... P.J.Hogan: Assolutamente no, io sono incredibilmente squilibrato, altrimenti non potrei fare questo lavoro. La famiglia che avete visto sullo schermo è chiaramente la mia, quindi non potevo fuggire ad un destino comune. Fortunatamente ho lasciato casa a diciassette anni e questa è stata la mia salvezza. Con gli studenti della scuola di recitazione ho condiviso l'amore per il cinema, riuscendo finalmente a ridere del passato. Parlando con loro mi sono reso conto che la storia migliore da raccontare era quella che avevo vissuto. In fondo se c'è un motivo alla sofferenza è perché possiamo condividerla.
Il mondo da lei descritto è disegnato a forti tinte pastello. Come ha utilizzato il colore? P.J.Hogan: Sono cresciuto sulla costa australiana in una cittadina creata per il turismo, dove ogni cosa è eccessiva e assurdamente colorata. Un po' come la vostra Rimini, per capirci. Ricordo che quando ero ragazzo non esisteva nemmeno una libreria ed avevamo una sola sala cinematografica. Perciò non ho dovuto fare nessuno sforzo per ricostruire l'ambiente. E' bastato discutere con il direttore della fotografia per ricreare il look e l'atmosfera.
Fin dagli inizi la musica ha avuto un posto importante nei suoi film. In questo caso, che ruolo ha affidato alla colonna sonora di Tutti insieme appassionatamente? P.J.Hogan: Da bambino riuscivo a fuggire dalla realtà solamente attraverso le canzoni degli ABBA. Ricordo che, mentre i miei amici ascoltavano David Bowie, io non riuscivo a staccarmi da SOS. La sentivo ripetutamente, sembrava che mi parlasse. Per quanto riguarda, poi, le canzoni di Tutti insieme appassionatamente, erano semplicemente le preferite di mia madre. Ricordo pomeriggi passati a guardare il film insieme, mentre lei piangeva per la commozione. Solamente dopo molti anni, mi sono reso conto che le sue lacrime erano per tristezza e desolazione di fronte al modello di una famiglia sana e partecipe.