Si vede, ma fino a un certo punto, la mano di Kim Ki-Duk in un film come Poongsan. Strutturato come una delle atipiche love story dell'autore di Ferro 3 - La casa vuota, ma diretto col piglio dell'action movie dal regista Juhn Jaihong, il film non sempre riesce a trovare il giusto equilibrio tra questi due modi così diversi di fare cinema; tuttavia, il film si rivela un interessante esperimento di cinema incentrato su un tema delicato, e tuttora molto sentito in patria, come la divisione tra le due Coree. Di quest'opera, presentata in concorso alla sesta edizione del Festival del Film di Roma, hanno parlato il regista e la protagonista Kim Gyu-ri in una breve ma stimolante conferenza stampa.
Juhn, a noi occidentali il tema della divisione delle due Coree fa riecheggiare nella mente un'altra divisione, quella tra le due Germanie, con il Muro di Berlino a separare due mondi e due modi di vivere diversi. Come ha deciso di affrontare un tema così difficile? Juhn Jaihong: Tra nord e sud c'è una divisione ormai vecchia di 60 anni, talmente vecchia che spesso ci dimentichiamo di essere ancora, di fatto, in stato di guerra. Resta il fatto che convivere, ancora oggi, con questo stato di cose è assurdo. Io per un periodo ho vissuto tra gli Stati Uniti e l'Austria, studiando musica, e allora sentivo il problema molto profondamente; poi, tornato in Corea, la cosa ha assunto quasi i caratteri della normalità. Nella mia scuola di musica, in Austria, c'era uno studente nordcoreano, e io e lui eravamo praticamente impossibilitati a parlarci: queste cose riflettono bene la situazione del mio paese. In genere i film che parlano della divisione tra nord e sud sono film cupi che hanno come protagonisti dei militari, io al contrario ho voluto una persona normale, che avesse i suoi problemi interiori.
In realtà, però, il protagonista non appare esattamente "normale". E' un personaggio che mostra delle doti eccezionali, e soprattutto nel film non parla mai. Perché? Juhn Jaihong: Io lo vedo un po' come un simbolo della pace. Non parla proprio perché le differenze tra i dialetti di nord e sud sono molto forti, e se avesse parlato automaticamente avrebbe assunto una collocazione dall'una o dall'altra parte. Inoltre, ho voluto che lui trasmettesse le sue emozioni solo con l'espressività del volto, senza pronunciare parole.E' un personaggio, però, che cambia abbastanza nettamente nel momento in cui incontra la controparte femminile. Prima è una specie di supereroe, poi diventa sempre più umano... Juhn Jaihong: Posso dirvi che durante la scuola di musica, il mio idolo era Luciano Pavarotti: proprio studiando la musica lirica ho capito quanto sia importante esprimere le emozioni con il volto. Nel film ci sono tanti primi piani, proprio a questo scopo. Lui, all'inizio, appare quasi come immortale, ma poi, andando avanti, la sua espressione cambia: l'incontro con la donna lo rende progressivamente sempre più umano.
Nel film si vedono spesso delle torture, ad opera di esponenti di entrambe le parti. E' una rappresentazione realistica? Ha avuto problemi a mostrare queste sequenze? Juhn Jaihong: E' la realtà, anche i servizi segreti del Sud usano questi metodi, e non se ne parla molto spesso. Tuttavia, un film è un film, e fortunatamente noi non abbiamo problemi di censura. Comunque, ho voluto evitare lo stereotipo che mostra i nordcoreani come cattivi, ma ho voluto al contrario mettere le due parti sullo stesso piano; inoltre, il film si interroga su che vita potrebbe avere un nordcoreano se si trovasse a vivere nel sud.Signora Kim, com'è stato lavorare con un partner maschile che non parla mai? Kim Gyu-ri: Intanto volevo ringraziarla per la domanda: a Venezia mi è capitato di presenziare a una conferenza stampa senza essere mai interpellata, ed ero pronta a fare lo stesso anche qui! In effetti il personaggio maschile non parla mai, mentre io al contrario parlo tantissimo: parlo senza avere nessuna risposta, e all'inizio questo mi dava una sensazione strana. Andando avanti, tuttavia, sono stata sempre più capace di capire gli sguardi di lui, sguardi che, come ha detto il regista, si fanno sempre più trasparenti, onesti, insomma umani. Per il ruolo, comunque, ho dovuto fare una full immersion di 2 giorni per imparare il dialetto nordcoreano, e inoltre è da sottolineare che nessuno di noi, dagli attori alla troupe, ha avuto alcun compenso. Sono arrivata nel cast a film già iniziato, avrei potuto rifiutare, ma il progetto stesso ne sarebbe risultato a rischio: così, ho sentito questa forte responsabilità e ho deciso di accettare.
Il film mostra fatti drammatici, ma si coglie anche una certa ironia. E' qualcosa che appare tale solo a noi occidentali, o c'era una precisa intenzione il tal senso? Juhn Jaihong: Tutto nasce dal modo in cui io vedo la divisione tra le due Coree: faccio parte della generazione che non ha conosciuto direttamente la guerra, quindi vedo questa divisione come qualcosa di assurdo, ridicolo. E' un tono che nasce dalla mia ottica, che ho voluto inserire nel film.
E' un film low budget, in cui tuttavia si coglie un po' il modo di lavorare del maestro Kim Ki-Duk, che riesce sempre a trarre il meglio dai mezzi che ha a disposizione. Quanto il suo lavoro l'ha influenzata? Juhn Jaihong: Ho imparato molto da lui: mi diceva sempre che stare semplicemente fermo a guardare il monitor con gli occhiali da sole non andava bene! Avevamo un budget risicato e tempi strettissimi per la lavorazione, appena un mese: con una forte volontà, tuttavia, siamo riusciti a portare a termine il film. Alla fine è stato un successo, e siamo onorati che venga presentato in un importante festival internazionale come questo.Kim Jiu-ri: E' da dire, inoltre, che dovevamo confrontarci con i blockbuster americani in uscita in quel periodo: il cast e la troupe, che già non avevano percepito nessun compenso, temevano che non avrebbero avuto retribuzione neanche dopo la divisione dei proventi del film, visti i colossi con cui doveva confrontarsi. Alla fine, tuttavia, il successo è stato grande e ne siamo tutti molto fieri.