Roberto Gudese, classe 1989, è uno che ha ben chiaro cosa voglia dire essere un attore. Un lavoro, un impegno, un applicazione, guardando alle sfumature dei ruoli. Non può essere tutto bianco o tutto nero; non può essere tutto dramma o tutto commedia. Come dimostra ne Il punto di rugiada (qui la nostra recensione), nel quale è diretto da Marco Risi (condividendo il set con attori bravissimi, in un mix di generazioni). Un ruolo, quello di Roberto, che inizia in un modo, e finisce all'opposto. Insieme a Carlo (Alessandro Fella), condivide i servizi sociali in una casa di riposo, Villa Bianca. Nasce un'amicizia, anche frutto del cambiamento.
Quel cambiamento che, secondo Gudese, è fondamentale nel cinema. "Bisogna cercare soluzioni", ci dice, in una lunga intervista. "Soluzioni che possano creare il giusto clima, e i giusti ruoli". Del resto, se Il punto di rugiada è anche un film di generazioni a confronto (più simili di quanto si possa pensare), quella di Roberto Gudese sembra finalmente aver trovato una dimensione. Almeno al cinema, si intende.
Il punto di rugiada: intervista a Roberto Gudese
Roberto, com'è andata con Marco Risi?
Benissimo! Giravamo nello stesso luogo, nel quale dormivamo e mangiavamo. La Villa in realtà è un hotel. Una bella dinamica, perché si viene catapultati in un modo a sé. Il film sembra arrivare da un racconto di Edgar Allan Poe, dove c'è il castello protagonista. È stato un vantaggio anche per il film stesso. Abbiamo legato, anche fuori. Con Massimo (Massimo De Franvovich, ndr.) siamo andati a vedere la finale del Master 1000 di Tennis, abbiamo legato in maniera sincera. Spesso ci sentiamo, andiamo a cena, anche con Alessandro Fella.
Com'è andato il provino?
gli ho scritto una mail, mandandogli il testo di una canzone che avevo scritto ispirandomi al tema del film e ad una famosa poesia di Kinplig, "se"
Dopo un mese, credevo non fosse andata bene. Gli ho scritto una mail, mandandogli il testo di una canzone che avevo scritto ispirandomi al tema del film e ad una famosa poesia di Kinplig, "Se". La prima conferma, dopo, mi è arrivata da lui: avevo fatto i provini anche per il ruolo di Carlo. Volevo sperimentare un ruolo diverso, meno bidimensionale. Sono contento, perché il mio personaggio compie un'evoluzione.
Il punto di rugiada mette in contatto due generazioni molto simili. Forse, il problema è la generazione di mezzo...
Una generazione un po' saccente, è vero. Perché ha trovato i loro padri che si sono fatti il mazzo. Quella generazione lì, di mezzo, ha ricevuto tanto, dando però poco. Credono sempre di sapere tutto, si sono arricchiti grazie al boom economico, mentre la generazione degli ultra ottantenni ha più cose da trasmettere. Poi c'è una certa complementarità genetica, ad una certa età ti accorgi di avere un po' la coperta scoperta, che è la stessa cosa che provano i ventenni. Sono due generazioni simili.
Oggi il cinema sta riscoprendo i trentacinquenni, però. Come mai siamo pieni di ansie?
La generazione dei trentenni ha attraversato diverse crisi, dalla bolla economica del 2008 al Covid. Ha una struttura mentale come quella dei ventenni, come se fosse in ritardo. Abbiamo passato un decennio complesso, che non ha permesso di creare grandi cambiamenti. Vengo dal Veneto, e conosco una realtà di venticinque enni che hanno un'azienda di proprietà. Poi, i loro operai sono i loro stessi compagni di studi, e frequentano gli stessi posti. Hanno ottenuto tanto, grazie ai genitori.
I ruoli di oggi
Secondo te ci sono buon ruoli, oggi?
C'è ancora il retaggio della maschera, della commedia all'italiana. Da cosa arriva questo standard? Dalla tv? Penso a Sophia Loren, che interpretava una donna adulta ne La ciociara, ma era una bambina. Però le cose stanno cambiando, anche grazie alle piattaforme che fanno adattare l'Italia ad una certa internazionalità. Non bisogna avere remore. E tornando indietro, si nota la rendita con cui abbiamo vissuto: grandi attori che fanno successo, ma restano formattati su alcuni ruoli. Poi vedi Dustin Hoffman o Daniel Day-Lewis, e capisci la grandezza.
C'è competizione tra grande schermo e serialità?
La competizione con il cinema non riguarda il prodotto in sé, ma come si innesta nella società. Mi fa paura la società che sceglie il divano per vedere un film. Poi la storia è ciclica, e quindi il grande schermo tornerà potente. Sono due esperienze incomparabili.
Tra l'altro, oggi i prodotti streaming sono in competizione con la tv generalista.
E la tv generalista prova ad imitare i prodotti streaming. C'è più competizione, leggevo che la piattaforma di RaiPlay sta facendo forte concorrenza ai grandi colossi americani. Questo è importante, riguarda sia gli attori che la qualità dei casting. Non serve avere attori simili al personaggio, ma bravi attori. I casting devono creare grandi attori, non ruoli.
"Oggi bisogna innovarsi, l'arte della recitazione è forse esausta"
Sei stato a teatro in Cabaret delle piccole cose diretto da Filippo Timi. Com'è andata?
Filippo ha una personalità caleidoscopica, è bello, ma anche complicato. È un animale da palco, e quando è libero sul palco, con la sua indole, è perfetto. È stato un bel percorso, ho conosciuto colleghi bravi.
Sarai anche in C'è anche domani, biopic sulla vita di Ennio Doris, che ruolo hai?
Racchiudo un certo provincialismo che porta alla cattiveria e alla frustrazione. Una persona insicura e fallita, e che poi grazie a Ennio, riuscirà a trovare la sua strada. Anche qui c'è una crescita.
Perché hai iniziato a recitare?
Ho iniziato a recitare per sfogare le mie emozioni. Soprattutto, se lo fai da ragazzo. Vengo da una famiglia normale, senza background artistico. Sentivo l'esigenza di voler esprimermi. Poi studi, approfondisci. I modelli sono quelli che hanno coscienza umana. Recitare è facile, essere uomini è difficile. Poi canto, scrivo, recito. E ti dirò... non è un caso che la AI sia arrivata in questo momento, l'arte della recitazione è arrivata in un punto massimo: c'è stato tutto, dal teatro muto a Marlon Brando, e poi una parabola fino a Meryl Streep. Ora nel 2024, come si fa, a far meglio? L'arte della recitazione è forse esausta. Per questo bisogna cercare soluzioni. La speranza, è cercare di essere freschi, ma con esperienza.