Un film come Ritual - una storia psicomagica, esordio alla regia di Luca Immesi e Giulia Brazzale, resta sicuramente impresso. Liberamente ispirato al libro autobiografico La danza della realtà di Alejandro Jodorowsky, incentrato sulla psicomagia jodorowskiana (una pratica curativa, di auto-guarigione, che si pone a metà tra la medicina psicosomatica e l'arte surrealista), direttamente avallato dal regista franco-cileno (che vi recita anche, in un piccolo ruolo) il film è un affascinante thriller psicologico, sospeso tra modernità ed esoterismo. Un thriller che indaga anche sulla vita di coppia, sulle sue pulsioni e deviazioni, e sui possibili rischi di una sua concezione distorta: risultandone alla fine in una riflessione sulla vita moderna, costantemente messa a confronto coi miti e riti di tradizioni antichissime, capaci di rigenerare l'individuo liberandolo dai suoi traumi. Del film, della sua genesi, e del suo legame col cinema e l'arte di Jodorowsky, hanno parlato i due registi e gli attori principali (Ivan Franek, Patrizia Laquidara, Cosimo Cinieri, oltre alla protagonista Désirée Giorgetti, giunta in un secondo momento) nell'interessante incontro che ha seguito la presentazione del film alla stampa.
L'origine e la genesi del film
"Il film è stato costruito partendo dal rito psicomagico che si vede alla fine", spiega Giulia Brazzale, "un rito che era già presente nei libri Psicomagia e La danza della realtà di Jodorowsky. Questo rappresentava per noi un motivo molto forte anche visivamente: è proprio da questo rito che abbiamo costruito la storia. È un film classico in tre atti, con trama narrativa ben precisa. Non volevamo fare un film surrealista ma un thriller psicologico, che fosse anche uno spaccato sull'incomunicabilità che c'è nella coppia moderna. Io ho studiato psicologia, ma sempre stata interessata al cinema: qui ci sono anche i temi della depressione e del narcisismo, che attengono alla psicologia. Io, col cinema, vorrei cambiare il rapporto che c'è tra maschio e femmina, quello che ancora vede la donna sottomessa e l'uomo come padre padrone. In genere, cerchiamo l'originalità nei temi che trattiamo: qui, oltre alla psicomagia, c'è anche l'argomento poco affrontato dell'aborto". "E' stato lo stesso Jodorowsky a suggerirci come rendere il rito più forte e corretto visivamente", le fa eco Luca Immesi. "Non volevamo certo misurarci con Jodorowsky, che è un mostro sacro del cinema mondiale; volevamo piuttosto trattare il tema della psicomagia, quindi più direttamente il Jodorowsky scrittore. Quando l'abbiamo incontrato e gli abbiamo esposto il progetto, inizialmente ci ha detto di no. Noi però abbiamo insistito, e allora lui ci ha mandato il numero del suo agente: ci siamo rivolti a questi, gli abbiamo mandato la sceneggiatura, e successivamente, con nostra grande sorpresa, l'agente ci ha detto che Jodorowsky era rimato colpito dalla sceneggiatura, e che addirittura si proponeva per un cameo. Di ciò, siamo rimasti colpiti e onorati. Quando poi ha visto come lavoravamo, ci ha consentito anche di usare il termine 'psicomagia' nel titolo. Inoltre, è stato un attore estremamente valido e disponibile: quando è arrivato sul set ci ha detto subito 'io sono il vostro schiavo'; si è messo a completa disposizione. Oltre a darci suggerimenti, ci ha anche letto i tarocchi".
L'impostazione visiva e quella musicale
"Dal punto di vista visivo, volevamo creare due ambienti diversi e due storie diverse", ha proseguito la Brazzale, "e quest'idea si è ripercossa sulla cesura che caratterizza le diverse fasi del film". Immesi ha tenuto poi a ricordare la consulenza per la sceneggiatura di Jeff Gross, sceneggiatore che ha più volte collaborato con Roman Polanski: "Lui ha insistito molto sui tre atti e sulla descrizione dell'ordinary world che caratterizza l'universo iniziale dei due protagonisti: un mondo in realtà nient'affatto 'ordinary', perché malato, ma nonostante tutto rappresentante la loro quotidianità." I registi sono poi passati a parlare delle scelte musicali che hanno caratterizzato il film. "Siamo stati fortunati perché Patrizia Laquidara, che è presente anche nel cast, ci ha dato un suo pezzo, con cui aveva vinto il Premio Tenco nel 2011. Moby, invece, aveva dei pezzi inediti che aveva scritto per il suo progetto dedicato ai filmaker indipendenti: noi gli abbiamo detto che volevamo usare le sue musiche per alcune scene, e lui ci ha dato sei pezzi. Dato che i diritti per le sue composizioni costano tantissimo, ci ha detto che sarebbe bastato avessimo devoluto 2000 dollari in beneficenza alla Human Foundation, un'associazione americana per cani e gatti. L'interprete delle musiche, e l'autore delle altre composizioni, è Michele Menini: lui ha composto questi tappeti sonori che dovevano essere poco udibili, ma organici per l'atmosfera del film". "Il mio album, Il canto dell'anguana, è un progetto in cui sono andata a ricostruire le tradizioni del Veneto", ha aggiunto Patrizia Laquidara. "Si tratta di una figura che si trova in quel territorio, ma anche in altre parti del mondo, segno che le tradizioni viaggiano. Nell'album c'era questa canzone, Dormi putin, che era una ninna nanna e che stava molto bene nel film. Io rappresento, nel mio ruolo, propri questa figura, che è bianca e nera insieme: loro sono riusciti a renderne molto bene l'essenza. Tutto il film è basato su questa mistura di bene e male".La produzione e il lavoro sul set
"Noi siamo complementari, la divisione dei ruoli tra noi è molto spontanea", ha spiegato Giulia Brazzale, a proposito del modo in cui i due lavorano insieme sul set. "A volte uno di noi due scrive di più, e l'altro si occupa del lavoro di regia, a volte capita il contrario. Sul set, può capitare indifferentemente che l'uno o l'altro dia suggerimenti e corregga in corsa il lavoro, l'atteggiamento è molto libero. Siamo stati fortunati, inoltre, a poter lavorare con un prototipo di camera Red Eric, che ci è stata portata da un amico dall'America: è la stessa macchina da presa che si usa attualmente a Hollywood. La Fratelli Cartocci era interessata al nostro lavoro e ci ha fornito gratuitamente il suo equipaggiamento e le location. Siamo stati molto fortunati, perché, anche grazie al finanziamento della Regione Veneto, il film ha un alto valore di produzione, ma un budget molto basso". "Non abbiamo avuto neanche particolari problemi nel modificare la sceneggiatura, nonostante Jodorowsky ne avesse approvato la prima stesura", ha proseguito Immesi. "Dal punto di vista narrativo eravamo assolutamente liberi, anche di cambiare in corsa i dialoghi. La preproduzione è stata brevissima, è durata circa 2-3 mesi. Si sono incastrate diverse coincidenze che ci hanno permesso di fare il film".