Un film di scelte giuste e scelte sbagliate. Un film di consapevolezze ritrovate, e di quanto poi la vita sia lo specchio relativo dei nostri istinti. Un film che rintraccia gli umori contemporanei, legati al concetto di tempo (che passa, e non aspetta) e al concetto di auto-realizzazione. Ecco, come spieghiamo nella recensione, non c'è dubbio che Ricomincio da me di Nathan Ambrosioni sia un film moderno nei toni quanto nei legami (e di legami, il film, ne è pieno), ma forse troppo compiaciuto nel suo linguaggio scapigliato da dramedy sospeso (sfumato da una pallidume borghese), che con umore sapientemente francese si insinua nelle dinamiche di una famiglia a tutto tondo, portando in risalto una normalità spacciata per unicità.
Ricomincio da me (titolo originale Toni, en famille, con chiaro e ammesso omaggio a Toni Collette, attrice molto amata dal regista), quindi, rimettendo in discussione la figura di una donna e di una madre, si rivolge a tutti coloro che si sentono in ritardo, schiacciati da una vita andata fuori fulcro. Come per dire: c'è tempo per far tutto. Basta averlo, il tempo.
Ricomincio da me, la trama: non è mai troppo tardi
Di certo, il tempo non manca alla protagonista, Toni, interpretata da quella fuoriclasse, Camille Cottin. Come dire, un ruolo cucito addosso, che non le stona mai, e che anzi si inserisce alla perfezione nelle sue corde d'attrice. Ricomincio da me, scritto dallo stesso Ambrosioni, racconta infatti di Antonia, detta Toni, una mamma single con cinque figli. Da ragazza, una carriera musicale promettente (ma fortemente voluta da sua madre): una hit a soli vent'anni e il successo, prima di perdere l'occasione giusta.
Tutt'ora, per sbarcare il lunario, suona ancora in qualche locale. Ma i gusti sono cambiati, e la musica live ormai è superata. Toni, sempre indaffarata, porta con sé un'ansia che si fa sempre più grande: i suoi figli si stanno per diplomare, pronti a seguire i propri sogni all'Università. Insomma, Toni sta per diventare sola. Dunque, a quarantatré anni, decide di cambiare, di ricominciare. Niente musica, ma il desiderio (vero) di diventare un'insegnate. Per farlo, vuole riprendere gli studi, iscrivendosi, anch'essa, all'Università.
Un film di rivoluzioni (un po' troppo sbiadite)
Al centro di Ricomincio da me c'è una figura materna, delineata con la più naturale delle percezioni. Una centralità fortissima, che si riflette anche nella regia: la camera che la insegue, i primi piani, quasi di tre quarti, e poi gli occhi di Camille Cottin, che parlano, che spiegano, che osservano un mondo attorno in costante cambiamento, intanto che lei, immobile, decide di muoversi in avanti. Del resto, pur rivolgendo lo sguardo al passato, l'opera seconda di Nathan Ambrosioni traccia un naturale bisogno: quello di guardare al futuro. Se oggi il futuro appare grigio e sfocato, ci dice Toni, forse è il momento di portare avanti quella rivoluzione lasciata in sospeso.
Una rivoluzione intima quanto sociale: perché non può esserci società senza l'individuo. Da qui, intervallando il film con il ritratto di un adolescenza spesso arrabbiata (il motivo? Chiedete ai grandi...), e con la messa in discussione delle proprie certezze (di donna, oltre che di madre), Nathan Ambrosioni viaggia lineare con un linguaggio naturale e pulito. Tuttavia, se la naturalezza non manca, potrebbe mancare il guizzo giusto o il tono più acceso, quello capace di fare la differenza nell'economia del racconto, e nei riflessi cinematografici. Riflessi, in questo caso, troppo sbiaditi per restare effettivamente impressi.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Ricomincio da me, il film di Nathan Ambrosioni viene retto dalla bravura di Camille Cottin. Solo in parte, però: se la storia è notevole, il livello generale è fin troppo piatto, incastrandosi in un riflesso pallido e sbiadito che rinuncia - a tratti - al valore cinematografico.
Perché ci piace
- La bravura di Camille Cottin.
- Una bella storia...
Cosa non va
- ... Forse troppo sbiadita.
- Una linearità che sfiora il piattume.
- Una certo pallidume borghese.