Resident Evil: Welcome to Raccoon City, la recensione: errando si impara?

La recensione di Resident Evil - Welcome to Raccoon City: un reboot schietto e sincero nelle sue ingenuità, capace di rievocare le atmosfere dei primi due capitoli videoludici della saga e soprattutto abbracciare la sua anima da puro B-movie.

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Resident Evil: Welcome To Raccon City, Robbie Amell durante una scena del film

Ci sono franchise duri a morire. Franchise che si trascinano da tempo. Brand sugli zombi che sono diventati zombi a loro volta. Resident Evil è qui a dimostrarlo. Dal 1997 in poi ha contagiato l'immaginario pop, proliferando come un virus contagioso capace di attecchire su ogni schermo possibile. Tra pixel e pellicola la saga Capcom ci ha inquietato, conquistato e inorridito, ma ci ha anche deluso e fatto arrabbiare con cocenti delusioni. Con questa recensione di Resident Evil: Welcome to Raccoon City forse saremo noi a far incazzare qualcuno. Soprattutto chi si aspettava una stroncatura. E invece no. Noi non bocceremo questo reboot. Non lo faremo nonostante il cast non sia poi così ispirato. Non lo faremo nonostante la storia sia tutt'altro che indimenticabile. Non lo faremo nonostante sia ovviamente un film fuori tempo massimo. Diciamo la verità: se questo Resident Evil fosse uscito nel 2002 avremmo soltanto applaudito questa trasposizione così fedele e appassionata, ma nel frattempo i nostri occhi sono cambiati. Siamo diventati più attenti, smaliziati e allergici alle ingenuità. Però, forse, in tutti questi anni ci siamo dimenticati che cos'era Resident Evil negli anni Novanta: un grandissimo omaggio ai B-movie americani.

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Resident Evil: Welcome To Raccon City, Robbie Amell e Kaya Scodelario in una scena del film

E questo film è esattamente la stessa cosa: un B-movie su tutta la linea, dall'estetica cheap ai personaggi senza spessore. Passando ovviamente per litri di sangue e qualche jump scare ben piazzato. Basta davvero questo per sopravvivere sul grande schermo nel 2021?

Tutto in una notte

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Resident Evil: Welcome To Raccon City, Kaya Scodelario in una scena del film

Siamo alla fine degli anni Novanta, e ovviamente è una notte buia e tempestosa. Dopo un breve prologo che sbircia nel passato traumatico della protagonista, la nostra Claire Redfield è appena arrivata a Raccoon City. Non proprio il più accogliente dei posti. Città fantasma oscura e desolata, Raccoon è invasa da non morti affamati di carne umana, e soprattutto sta per essere rasa al suolo. Perché? Perché nelle sue viscere l'azienda farmaceutica Umbrella ha creato un abominevole virus da cui è esplosa un'epidemia ormai fuori controllo. Peccato che tra le poche anime ancora in giro per la città ci siano anche Chris Redfield e Jill Valentine, intenzionati a recuperare una squadra di colleghi sparita dalle parti della misteriosa villa Spencer. Già dalle premesse è facile capire lo spunto da cui parte questo reboot, ovvero far convivere sul grande schermo storie e personaggi del primo e del secondo Resident Evil, due videogiochi che nel 1997 e nel 1998 hanno dato nuova linfa vitale al survival horror. Due titoli segnati da un senso di impotenza davanti alla figura dello zombie e all'incedere di un male umano prima che mostruoso. Le spietate macchinazioni della Umbrella Corporation erano il vero nemico imbattibile, trasformando gli erranti nella conseguenza di un problema molto più radicato. Di questa chiave di lettura, però, Resident Evil: Welcome to Raccoon City abbraccia solo la superfice. Il regista Johannes Roberts preferisce soffermarsi solo sulla corsa contro il tempo condita da leggera tensione e tanto sangue. Manca il mistero, manca quel senso di impotenza davanti a un complotto oscuro più grande di noi che ti sovrastava col procedere dell'avventura. Quel che resta di Resident Evil è l'anima da fiero film di serie B, da sempre segno distintivo dei primi videogiochi. Perché Resident Evil non era altro che lo sguardo con cui l'Oriente percepiva i miti d'occidente: l'uomo di legge, la critica alle multinazionali, i deliri della massificazione. Lo fa grazie a personaggi stereotipati, effetti visivi rozzi e un trucco prostetico sugli zombie davvero molto efficace. Visto con queste premesse, secondo noi Welcome to Raccoon City regala quasi due ore di onesto intrattenimento senza pretese. Perché, diciamolo, la saga videoludica non ha mai proposto un horror sofisticato. E questo film non intende certo cambiare le cose.

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Fedeltà zoppicante

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Resident Evil: Welcome To Raccon City, Robbie Amell, Tom Hopper, Nathan Dales, Hannah John-Kamen in una scena del film

C'è un aspetto che ci ha colpito di questo reboot: ovvero la strana gestione dei protagonisti. Dei cinque personaggi principali solo Chris e Claire Redfield hanno avuto una controparte davvero fedele a quella del videogioco, mentre Wesker, Jill e Leon (personaggi amatissimi dai fan) risultano del tutto stravolti. L'ultimo in particolare, forse il più popolare e iconico del franchise, viene ridotto a insopportabile macchietta e rappresentato come un novellino ingenuo e buono a nulla. Tutte cose molto lontane dalla caratterizzazione di Leon Kennedy. Se questo tradimento farà arrabbiare i fan, siamo certi che l'unica grande consolazione arriverà dalle atmosfere ricreate e soprattutto dalla cura scenografica, che rievoca alla perfezione due luoghi iconici di Resident Evil. Villa Spencer e la mitica stazione di polizia di Raccoon City non sono solo degli edifici, sono quasi dei personaggi a sé stanti con un'anima oscura tutta da esplorare. Da questo punto di vista la fedeltà è stata davvero maniacale, ed è un vero peccato aver scelto di unire due storie in una, perché entrambe le ambientazioni avrebbero meritato un film tutto per loro. Questo non significa che Welcome to Raccoon City sia un binario morto, perché è lampante l'intenzione di dare vita a una nuova saga. Speriamo che in futuro ci sia più coerenza e non questa schizofrenia tra fedeltà assoluta e tradimento. Una cosa è certa: Resident Evil: Welcome to Raccoon City ci ha ricordato quei tipici di film di fine anni Novanta da gustare con gli amici di sabato sera: horror grezzo, tanto sangue, qualche spavento e l'illusione di rivivere sul grande schermo proprio videogioco preferito. Resident Evil è la serie A dei videogame, ma si è sempre nutrito del cinema di serie B. Welcome to Raccoon City lo ha capito e ha portato avanti con orgoglio quest'anima del brand. Prendere o lasciare. Farsi mordere oppure fuggire spaventati.

Conclusioni

Nella nostra recensione di Resident Evil: Welcome to Raccoon City vi abbiamo raccontato un reboot fedele all’anima da b-movie che ha sempre ispirato la saga videoludica. Preso atto di questa scelta artistica, il film si dimostra un horror grezzo, con qualche momento di tensione e jump scare piazzati qua e là. Se cercate personaggi complessi, una trama approfondita e un orrore sofisticato, siete nella città sbagliata.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
2.7/5

Perché ci piace

  • Lo spirito da fiero B-movie, coerente con la natura del videogioco.
  • La fedeltà delle ambientazioni e delle atmosfere ricreate sul grande schermo.
  • Il trucco prostetico degli zombie.

Cosa non va

  • Il personaggio di Leon è stato letteralmente maltrattato.
  • I dialoghi e la sceneggiatura sono senza spessore.
  • La sensazione è quella di un film fuori tempo massimo.