Regina di cuori
La Danimarca del 18° secolo è un regno come tanti nel Vecchio Continente. La corte vezzeggia re Cristiano VII con la falsità dei cicisbei. Lunatico, sopra le righe, affetto da seri problemi psichiatrici, il monarca si trova a governare una nazione con l'aiuto di collaboratori dispotici e bigotti, che ne fanno poco più che un burattino. Così, mentre il popolo muore di fame e viene decimato dalle malattie, il sovrano vive nelle bambagia, circondato da ogni comodità possibile. Neanche il matrimonio con la giovane nobildonna inglese Carolina Mathilda di Hannover pone un freno alle sue scelleratezze. Cresciuta in un ambiente intellettualmente stimolante e affascinata dai proseliti dell'Illuminismo, Carolina non sopporta la vicinanza del marito con cui limita gli incontri carnali al minimo indispensabile per dargli un erede. Le cose cambiano quando a corte arriva Johann Friedrich Struensee, assunto come medico personale del Re. Seguace di Voltaire e Rousseau, convinto sostenitori dei principi liberali, Struensee entra nelle simpatie di Cristiano VII che sotto la sua guida imprime una svolta progressista al proprio governo, scatenando le ire dei collaboratori del Monarca. A caccia di indizi che possano mettere in cattiva luce Struensee davanti al Re, i complottatori, manipolati dalla matrigna del sovrano, gioiscono alla scoperta dell'appassionata relazione tra il Medico e la Regina, una liason da cui nasce anche una bimba, Luisa Augusta. Condannato a morte per lesa maestà, il medico di Altona viene decapitato, mentre Carolina Mathilda finirà i suoi giorni in esilio, allontanata dai figli, a cui scriverà, in un'ultima accorata lettera, tutta la vera storia.
Dopo l'apertura dedicata a Maria Antonietta di Francia, protagonista dell'opera di Benoit Jacquot, Farewell, My Queen, il 62.mo Festival di Berlino dà spazio questa volta ad una misconosciuta regina europea, Carolina di Danimarca e alla storia d'amore con Johann Friedrich Struensee, entrambi assi portanti del lungometraggio di Nikolaj Arcel, En Kongelig Affære, in lizza per l'Orso d'Oro. Avvincente nella resa dei protagonisti, accurato nella ricostruzione storica, il film dell'autore danese soddisfa per l'ampio sviluppo narrativo, modulato attorno a fatti realmente accaduti, mostrati attraverso lo sguardo di ogni singola pedina in campo. Carolina Mathilda viene dall'Inghilterra di Shakespeare, l'autore che raccontò gli intrighi della corte di Danimarca prima di ogni altro e a svariati secoli di distanza gli intrallazzi e le odiose macchinazioni che dividevano le madri dai figli, trasformando i fratelli in nemici. Arcel fa di certo tesoro di quella fonte e se anche non tocca le profondità del dramma shakespeariano, confeziona per gli spettatori un prodotto di buon livello, in cui politica e sentimento si confrontano sull'impervio terreno della Storia. Ciò che appare efficace nel film è il modo in cui il regista drammatizza il conflitto fra i tre personaggi principali; un triangolo che vede come vertice il magnetico Struensee, a cui presta anima e corpo Mads Mikkelsen, noto al pubblico per la sua partecipazione a Valhalla Rising e Scontro di Titani. Il re (il bravo Mikkel Følsgaard) ne apprezza l'amicizia sincera, la regina, interpretata dalla svedese Alicia Vikander, ama invece l'uomo ardimentoso e libero. La storia, poco conosciuta al di fuori della Danimarca, ma raccontata in patria in ben quindici libri e insegnata a scuola, è appassionante e diretta con perizia da Arcel (autore della sceneggiatura assieme a Rasmus Heisterberg), che riesce a restituire con buona credibilità, gli antichi rituali di una corte ai limiti della decadenza, solo sfiorata dal soffio dell'Illuminismo, e poi ripiombata nell'oscurità. Una liturgia piuttosto avvilente che prevedeva, ad esempio, l'annuncio del Re durante la cena delle svogliate 'visite' notturne nella camera della Regina, previa approvazione del Primo Ministro. Nulla di sconvolgente, sia ben chiaro, ma si tratta comunque di annotazioni che nella loro semplicità amplificano il senso di inadeguatezza di quei governanti, totalmente ignari di quanto stesse succedendo attorno a loro. Per trasformare l'opera in una più acuta osservazione delle dinamiche politiche dell'epoca, in grado di gettare una nuova luce sul nostro oggi, Arcel avrebbe potuto azzardare qualcosa in più a livello linguistico, trasportando anche nello stile quel caos così evidente nell'intreccio. Il giovane autore scandinavo ha preferito invece cristallizzare amore e passioni, delitti e corruzioni in immagini pacificanti, corrette nella loro messa in scena, ma non palpitanti. In quest'ottica molto precisa anche il più drammatico degli epiloghi viene raccontato come se fosse un'ordinata catastrofe, con una sensazione di già visto che proprio non va via.
Movieplayer.it
3.0/5