Reflection in a Dead Diamond, recensione: tanto, forse troppo. Di certo non un film come gli altri

Hélène Cattet e Bruno Forzani vanno oltre la narrazione, riportando al centro della scena l'immagine. Convulsa, esagerata, satura, erotica, violenta. Un'opera fuori dagli schemi, che osserva il passato pensando al presente. Favoloso Fabio Testi. In sala.

Una scena di Reflection in a Dead Diamond

Oggetto folle che rifiuta le regole della narrazione ma, intanto, abbraccia quelle - più libere e istintive - delle immagini. Un'immagine sospesa, satura, vivida e imprevedibile. Se ci crucciamo per la moria di idee originali, quando ci troviamo davanti ad opere come quella di Hélène Cattet e Bruno Forzani restiamo spiazzati, e pure sorpresi. Ma anche spaesati, e un filo infastiditi. Eppure. Eppure Reflection in a Dead Diamond - presentato in concorso nella stanca e anonima Berlinale del 2025 - ha dalla sua un innegabile fascino. Visto il tono, visti i colori.

Reflection In A Dead Diamond Fabio Testi Sequenza
Reflection in a Dead Diamond: Fabio Testi in un primo piano

Un fascino avvicinabile ai viveur degli anni Sessanta. In mezzo, un po' tutto: Adriano Celentano, Diabolik (rivista al femminile, la splendida Serpentik), Caravaggio. L'omaggio allo spionistico all'italiana (su tutti O.K. Connery del 1967), con un filo di latente erotismo, mischiato ad una violenza che sfocia nel body horror, ma più sfumato e senza dubbio concettuale.

Reflection in a Dead Diamond: la spia che amava

Reflection In A Dead Diamond Yannick Renier Foto
Reflection in a Dead Diamond: Yannick Renier in una foto

In Reflection in a Dead Diamond non ci sono punti di riferimento. Ciò che accade, vedrete, è la prospettiva totalmente relativa di un contesto che muta, di scena in scena, intanto che il punto d'osservazione si sposta senza un attimo di tregua. In mezzo, a far da collante ad una trama che sfugge, c'è John D, settantenne che vive in un placido albergo sulla Costa Azzurra. Lavoro di casting perfetto: ad interpretarlo Fabio Testi, un po' Sean Connery un po' Dirk Bogarde in Morte a Venezia. Vive immerso nei ricordi passati, di quanto era una spia segreta (la versione ha il volto di Yannick Renier, altra gran bella faccia da cinema).

Reflection In A Dead Diamond Fabio Testi Maria De Medeiros
Fabio Testi e Maria De Medeiros

Gli stessi ricordi che si accavallano quando una giovane donna, ospite dell'albergo, sparisce nel nulla. Cosa le è successo? E se fossero tornati i cattivi di una volta, quelli che John D aveva combattuto. In lungo e in largo? E se invece fosse solo un gioco della mente, suscettibile ad un immaginario cinematografico capace di plasmare tanto i sogni quanto la realtà?

Oltre la narrazione

È questo il punto focale di Reflection in a Dead Diamond: cosa è vero? Cosa è falso? Ve lo diciamo subito: non soffermatevi sull'ideologia e sulla credibilità, ma anzi quando e dove possibile lasciatevi trasportare dallo sguardo di Hélène Cattet e Bruno Forzani: nulla è come sembra, o forse sì. Come nei sogni, quelli coscienti, quando la veglia sbraccia e si impossessa del sonno. Un'opera sul tempo perduto, quello mai vissuto, o magari vissuto di riflesso, immaginando di essere stati gli eroi di un libro, di un fumetto, di un vecchio film. Un film sui film, allora. Chissà. Non una ricerca spasmodica dell'effetto, ma anzi una propensione - a tratti egocentrica - all'esaltazione del cinema come materia mobile, fluida e apparente.

Reflection In A Dead Diamond Immagine
L'omaggio a Diabolik

Un omaggio, magari, ad una certa narrazione, asciugando però la narrativa stessa e puntando ad un cinephile che straborda di sequenze: una matrioska pressoché inesauribile, un effetto domino straniante, interminabile. Analisi illogica della potenza delle immagini, riflessione perpetua su quanto l'immagine abbia cambiato il mondo, dominandolo, e vendendolo a buon mercato. Elegante nella sua forma promiscua (e che bella la fotografia fuori dal tempo di Manuel Dacosse), poco incline al compromesso, inafferrabile, lontano da ogni schema. Tra i tacchi a spillo e una pioggia di diamanti, tra gli occhi che brillano e il sangue che scorre, Reflection in a Dead Diamond è forse tanto e magari pure troppo. Di certo, non è un film indifferente.

Conclusioni

Reflection in a Dead Diamond non è un film come gli altri. Rifiuta la narrazione canonica, omaggia il cinema spy degli anni Sessanta, intanto guarda al post-modernismo, all'astratto, all'arte che mostra e non racconta. Un climax assurdo, cinefilo certo ma forse fine a se stesso. Da vedere, nonostante tutto.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • Fabio Testi perfetto.
  • Un'ottima regia.
  • L'estetica.
  • Il ritmo...

Cosa non va

  • ... esasperato, anche troppo.
  • Una narrazione che predilige le immagini.
  • Forse eccessivamente egocentrico.