Recensione Un matrimonio (2013)

Pupi Avati regala alle feste di Rai Uno un ritratto familiare in sei episodi, Un matrimonio, con Micaela Ramazzotti e Flavio Parenti nei panni di una coppia che vive insieme mezzo secolo di storia.

La famiglia di Pupi Avati diventa una fiction

Una celebrazione della famiglia, senza bisogno di stupire con effetti speciali. L'intento di Pupi Avati è piuttosto chiaro: la fiction Un matrimonio, divisa in sei prime serate di Rai Uno a partire da domenica 29 dicembre, è un affresco di mezzo secolo tra le mura domestiche. E non una storia creata da una fervida immaginazione, romanzata dalla licenza poetica e servita come modello astratto di una felicità irraggiungibile.
I fatti raccontati a Bologna a partire dal secondo dopoguerra sono stati vissuti sulla propria pelle dal regista e prendono forza dal suo album di ricordi. Le vicende dei parenti s'intrecciano nella rivisitazione del piccolo schermo con un inedito realismo perché traggono appunto forza e linfa dalla realtà.
Francesca (Micaela Ramazzotti) è una ragazzina di origine proletaria che vive un autentico colpo di fulmine per Carlo (Flavio Parenti), unico figlio maschio di Peppe Dagnini (Christian De Sica), proprietario di una camiceria nel centro di Bologna. Non sa chi sia quando lo incontra durante il soggiorno dalla zia Amabile (Katia Ricciarelli) ma se ne innamora perdutamente, pur continuando ad assecondare malvolentieri la corte del violinista svizzero Joseph (Maximilian Dirr).
Si trova, insomma, in uno di quei momenti in cui la vita ti pone davanti ad un bivio e devi scegliere, come racconta la voce narrante di sua figlia, tra "un rassicurante futuro con chi l'adorava e l'attrazione irragionevole". Aveva, insomma, "pochi attimi per scegliere tra la ragione e il sogno, ma le furono sufficienti".

Questa scena rappresenta uno dei punti di svolta crociali di un racconto lungo oltre cinquant'anni, che ripercorre dalla giovinezza alla vecchiaia i sentimenti di questa biondina all'inizio troppo innocente per capire fino in fondo la realtà. Gli unici brividi che provava da adolescente le venivano regalati al cinema, dove universi femminili lontani anni luce da lei erano immersi nelle avventure romantiche più magiche. Sua madre Rosalia (Valeria Fabrizi), casalinga, la spinge a trovare marito in un "buon partito", mentre il padre Sisto (Andrea Roncato), operaio, prova a trovarle un lavoro come dattilografa ignorando di spingerla nelle fauci dell'ennesimo approfittatore di turno.
Una serie di vicissitudini, invece, la porta ad incrociare l'amore estivo, Carlo, che si scopre essere proprio il rampollo del suo nuovo datore di lavoro. Il divario sociale tra i due si assottiglia quando il padre di lui (interpretato da De Sica con una malinconia a dir poco struggente) fa sprofondare la famiglia tra debiti e disonore. "Sono momenti difficili per tutti - commenta l'uomo - la guerra non l'ho inventata io". E s'indispone quando i dipendenti esigono gli stipendi arretrati (tematica tristemente attuale) dicendo: "Ormai la gente lavora solo per i soldi".
Queste difficoltà cementano il rapporto tra i due protagonisti che si declina in varie circostanze fino a farli convolare a nozze. Il titolo della fiction prende vita in una quotidianità familiare fatta di compromessi, soddisfazioni, crisi e riappacificazioni. La famiglia si allarga e cresce mentre il panorama socio-culturale della Penisola attraversa alcuni cambiamenti radicali.
La narrazione di queste vicende scorre lenta in una dilatazione solenne del racconto, che vuole onorare e celebrare la poesia del quotidiano incorniciandola con una serie di istantanee. Pupi Avati ci mette il cuore e si vede: la storia prende vita dal suo vissuto in maniera armoniosa e pacata. Persino i drammi, alla fine, sono funzionali e fondamentali e si manifestano senza causare fratture irreparabili.
La casa resta un porto sicuro in cui rifugiarsi, comunque vada, e niente sembra turbare la forza di questa famiglia che alla fine sa sempre come ritrovarsi.
Attraverso una meticolosa ricostruzione storica delle varie epoche e un parterre d'attori nutrito e variegato, il regista porta su piccolo schermo un'impresa personale e intima, in cui varie generazioni di spettatori sapranno ritrovarsi. Un racconto garbato, quasi "vecchio stile", che riconcilia e rasserena.