Era molto atteso il ritorno alla regia di Michel Hazanavicius dopo la sorpresa The Artist, film omaggio all'epoca d'oro del cinema muto che arrivò fino all'Academy Award. Per questa nuova prova, il regista francese riesce a modo suo a tornare a omaggiare un classico, ma con un film che non potrebbe essere più lontano dal precedente.
Odissea cecena
Per raccontare - in maniera, per la verità, un po' semplicistica - un genocidio troppo in fretta dimenticato, quello consumatosi nei dieci anni della seconda guerra cecena, il regista francese prende spunto da Odissea tragica di Fred Zinnemann, un film famoso per essere stato girato tra le rovine delle città tedesche devastate dai bombardamenti poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Nella stessa atmosfera di cupa devastazione ci trasporta dunque Hazanavicius per sviluppare il suo racconto su tre fronti: c'è la storia di Hadji, un bambino ceceno di nove anni che sopravvive ai genitori uccisi dai russi, e quella di Carole, una funzionaria delle Commissione per i Diritti umani che si trova in Cecenia come osservatrice per l'Unione europea, e quella di Raissa, la sorella di Hadji che il bambino crede morta ma che cerca disperatamente di ritrovarlo.
Soldati
La linea narrativa voluta da Hazanavicius di cui non c'è traccia in Zinneman è quella che vede protagonista Kolia, un ragazzo di neanche vent'anni costretto a entrare nell'esercito per evitare la prigione dopo essere stato pizzicato con qualche grammo di hashish addosso; apparentemente slegata dal resto dell'ordito, e latrice di echi kubrickiani, questa storyline serve al regista a illustrare da cosa origina l'inimmaginabile spietatezza dei giovani militari russi, rivelando le violenze e le pressioni che servono a fare di loro dei "veri soldati". Kolia tenta di opporre resistenza, pensa persino di denunciare i suoi superiori, ma a lungo andare non gli resta che scegliere se conformarsi o soccombere. Scegliere di sopravvivere significa abbracciare in pieno la ferocia dell'azione militare che colpisce indistintamente ribelli e civili, perché "non esiste un ceceno innocente". La scena della videocamera, in cui Kolia di fatto riprende materialmente il ruolo di uno degli assassini dei genitori di Hadji, fucilati nella scioccante scena di apertura, forse la più efficace in assoluto di The Search, esemplifica tutto questo in maniera inequivocabile oltre a rendere la narrazione più coesa.
La voce di Hadji
Più vicino ai temi dell'originale di Zinneman, il racconto principale con al centro il piccolo Hadji (Abdul Khalim Mamutsiev) e la donna che lo accoglie e protegge, Carole (Bérénice Bejo) viene spogliato comunque di gran parte degli orpelli retorici alla ricerca del più severo ed essenziale realismo. Così, nel tratteggiare il rapporto tra il bambino e la donna è il calore e l'espressività di lui (che, per gran parte della pellicola, non parla) a prendere il sopravvento mentre la Bejo si fa generosamente da parte. Una scelta sulla carta apprezzabile, ma che finisce per sacrificare in buona parte il potenziale impatto emotivo del film. Il piccolo Mamutsiev, con i suoi occhi saggi e malinconici e con la sua vena birichina, ci conquista comunque alla sua causa, e la grande Annette Bening, nel ruolo di un'attivista smaliziata, incarna l'anima realista e schietta della pellicola.
Conclusione
Michel Hazanavicius fa seguire coraggiosamente all'esuberante e struggente The Artist un film interessante e onesto, ma forse fin troppo misurato, a cui avrebbe giovato una presenza più significativa di quella affidata a Berenice Bejo, qui un po' in ombra.
Movieplayer.it
3.0/5