Inside Sixto Rodriguez
Rodriguez è morto. Si è dato fuoco sul palcoscenico, durante un concerto. Anzi no, si è sparato un colpo alla tempia davanti al pubblico che lo stava ridicolizzando. O forse è semplicemente sparito nel nulla. La vita di questo musicista americano, autore negli anni '70 di due soli album, ritenuto dagli estimatori migliore di Bob Dylan, è di per sé un film; mito e leggenda si mescolano e si trasformano in una mistura indefinibile e affascinante, in cui è impossibile delineare con chiarezza verità e finzione, storia e racconto. Ci ha provato e ci è riuscito in maniera geniale il regista svedese Malik Bendjelloul che con Sugar Man ha conquistato il Premio Oscar al miglior documentario; un riconoscimento del tutto meritato per l'equilibrio con cui il cineasta è riuscito a bilanciare resoconto e rappresentazione, non perdendo mai di vista la centralità del protagonista.
Nato a Detroit il 10 luglio del 1942, sesto figlio di una coppia formata da un messicano e da una donna di origini europee, Rodriguez si avvicina al mondo della musica intorno al 1967, ma riesce a pubblicare il primo LP solamente tre anni dopo e senza grossa fortuna. Cold Fact prima e Coming from reality poi vendono pochissime copie e la casa discografica Sussex, diretta da uno dei boss della Motown,Clarence Avant, decide di rescindere il contratto. Finisce così la non-carriera di una delle tante promesse del firmamento musicale, incapace di confermarsi a grandi livelli. Girano voci su un presunto suicidio, avvenuto al termine di uno dei suoi (pochi) live, una notizia infondata che a dispetto di tutto contribuisce a creare un'aura mitica attorno a questo personaggio borderline. Già, perché se gli Stati Uniti non sono stati in grado di comprenderlo, dall'altra parte dell'Oceano, in Sud Africa, Rodriguez viene invece considerato uno dei grandi della musica contemporanea, al pari dei Beatles e di Simon and Garfunkel, un simbolo della lotta al segregazionismo.
Due fan scalmanati, Stephen Segerman, oggi titolare di un negozio di dischi di Cape Town e soprattutto il critico musicale Craig Bartholomew Strydom, decidono quindi di scoprire chi sia stato davvero Rodriguez e come sia morto. Non si aspettano grandi sorprese e noi con loro; a mano a mano che la narrazione procede, però, indizio dopo indizio, prova dopo prova, testimonianza su testimonianza, la verità si rivela e quello che avrebbe dovuto essere solo un tributo ad un artista dimenticato, finisce per essere il racconto della vita di una persona strappata all'anonimato. Si mettono sulle sue tracce, cercando di individuare qualche dettaglio geografico in più dai testi delle sue canzoni; si rendono conto che i diritti per le migliaia di dischi venduti in Sud Africa sono stati trattenuti dalla Sussex e mai restituiti al legittimo proprietario. Creano un sito per ottenere informazioni di prima mano e nel 1997, contattati on line dalla figlia di Sixto, apprendono con grande stupore che Rodriguez è vivo e vegeto e fa l'operaio a Detroit. Nel 1998 Rodriguez vola finalmente nel Continente Nero con le sue figlie per una tournée da sold out. La particolarità di questo lavoro è che in certi momenti si ha la sensazione di assistere ad un raffinatissimo e geniale mockumentary su uno dei più grandi musicisti americani di cui gli americani non hanno mai sentito parlare; questo è in realtà il più grande merito del regista che ha saputo prendere gli snodi fondamentali della vita di Sixto, trasformandoli in spettacolo cinematografico puro. Ci ha mostrato la verità nel modo più appassionante, facendoci diventare gli spettatori di un giallo. Il regista non fa che sottolineare l'eccezionalità di un uomo che torna a prendersi lo spazio che merita, la straordinarietà di un artista che viene 'ritrovato'. E' la storia che ogni buon scrittore vorrebbe trovarsi tra le mani e il fatto che sia 'vera' non fa che arricchirla, perché la vita per fortuna riesce ad essere più bizzarra del lavoro del più ispirato dei narratori. Sono toni apparentemente sommessi quelli di Bendjelloul che ha effettuato le riprese con il suo telefonino, sfruttando appieno la leggerezza di un mezzo tecnico del genere e lo stile vintage di un'applicazione ad hoc, che riproduce in digitale la romantica imperfezione della pellicola.
Aveva tutte le carte in regola per essere un grande, dice Dennis Coffey, uno dei suoi primi produttori. E allora perché non ce l'ha fatta? La domanda è assillante e piuttosto dilaniante per i rappresentanti di uno showbiz abituati ad ottenere risultati positivi, eppure in questo caso è un dettaglio quasi marginale. Nel parossismo di un certa industria musicale che cerca continuamente nuovi eroi, salvo poi abbandonarli a sé stessi quando l'equazione della popolarità non si risolve, Rodriguez è una piacevole eccezione. I parametri commerciali ne fanno un perdente, ma può essere definito perdente un musicista che in qualche modo è stato una fonte d'ispirazione così forte? Che al termine della carriera non ha avuto paura di fare l'operaio, si è attivamente battuto per i diritti dei poveri e si è laureato in filosofia, insegnando l'amore per il bello e l'arte alle figlie? Con le sue canzoni radicate profondamente in quella realtà che ha dato il titolo al secondo album, Rodriguez ha saputo dare qualcosa di sé al pubblico e questo è il compito di ogni artista che si rispetti. "Un musicista è un pioniere che sa andare oltre la mediocrità di ciò che ci circonda", dice uno dei suoi colleghi operai. Ed è una verità che le top ten non sanno ancora spiegare.
Movieplayer.it
4.0/5