La vita, la morte, il cinema
Stilare il bilancio della propria vita non è mai un compito facile, e senz'altro pochi lo definirebbero piacevole. A meno che non si affronti l'impresa con una buona dose di autoironia, capace di filtrare attraverso una luce meno drammatica di quella con cui siamo soliti giudicare noi stessi, come se fossimo davvero così importanti, noi e le nostre gesta, il buono e il cattivo che abbiamo compiuto. E poi, se per decodificarli usiamo il linguaggio che ci è più caro, quello che abbiamo utilizzato con più impegno e grazie al quale abbiamo potuto esprimerci come meglio sapevamo fare, allora dal passato non abbiamo niente da temere, e forse anche il futuro ci concederà qualche altra insperata possibilità.
Perlomeno è quello che sembra credere Paul Vecchiali, nel suo Ritorno a Mayerling. Mayerling è la villa della sua infanzia, dove hanno avuto origine le proprie passioni e ossessioni, e dalla quale ricomincia a sviscerarle, a scomporne e ricomporne i perché, creando un alter ego di se stesso che lui stesso interpreta, il signor Laforge. Dopo aver freddato a colpi di pistola due intrusi, l'eccentrico anziano, animato da una goliardica, irriducibile sete di emozioni, decide di chiedere la mano della sorella della sua defunta consorte: ma non prima di aver confessato a Isa che Margherita non era stata assassinata, bensì si era suicidata. Da questa sconvolgente verità, che non sembra turbare più di tanto l'allegra, eppure reticente a qualsiasi contatto fisico, Isa, si dipartirà un inevitabile confronto con gli altri membri della famiglia: le due figlie naturali, una costretta a prostituirsi causa la negligenza del padre, troppo impegnato a seguire i suoi sogni di cineasta per mantenere la famiglia, l'altra silenziosa e adorante, e la figlia acquisita, frutto dell'adulterio della moglie, ma proprio per questo ancora più amata.
L'ultimo lavoro di Vecchiali è un continuo compenetrarsi di realtà e fiction, di passato e presente, tanto della realtà quanto della fiction. I rimandi ai suoi film, già suggeriti dalla natura dei personaggi che via via entrano in scena, sono resi ancora più evidenti dall'inserzione di flashback tratti dalle sue precedenti pellicole, che qui trovano un collegamento al di fuori del tempo, diventato sempre più un concetto relativo. Poco importa se la storia della Rosa di adesso non concorda perfettamente con quella della "Rosa la Rose" del 1985: sono la stessa donna, perché nel grande sogno che sono la vita e il cinema tutto è possibile. Orchestrando con una forte enfasi teatrale tutto l'impianto recitativo, Vecchiali dà vita a una commedia dell'assurdo in cui si ride ma ci si commuove anche, in virtù del tono dolcemente patetico che permea molte scene, e che, per essere apprezzata al meglio, richiede una sospensione dell'incredulità senza riserve. Ma, per chi è abituato al linguaggio ironico e senza compromessi del regista corso, ciò non costituirà di certo una sorpresa: in quest'ottica, anche i sedicenti malfattori che aspirano al suo patrimonio, delineati in modo macchiettistico e mai minimamente approfondito, risultano perfetti per il compito che è stato loro assegnato, a metà tra quello di un coro greco che tutto commenta, e quello di un deus ex machina che imprime una svolta agli eventi dei protagonisti.
Vecchiali ha voluto ancora una volta sperimentare con il linguaggio cinematografico, ancora una volta mettendo in gioco grandi temi, come quello del rapporto tra genitori e figli (o tra creatore e creatura), o quello della morte, e del destino che ci aspetta dopo di lei, stemperandoli con la verve pungente e umoristica che ha sempre contraddistinto la sua poetica. A ottantadue anni, l'autore francese ha dichiarato alla platea del Napoli Film Festival di non avere nessuna intenzione di ritirarsi, e chissà cosa ci riserverà in futuro questo imprevedibile e poliedrico artista.
Movieplayer.it
3.0/5