Amore e morte oltre il confine
Il confine tra le due Coree è un varco tuttora invalicabile e guardato da una rigida sorveglianza armata. Un confine che divide non solo due stati, ma due mondi e due modi di vivere agli antipodi, che a noi occidentali rimanda istintivamente suggestioni da Guerra Fredda oltre a un altro, più noto confine: quello del Muro di Berlino, che segnava più in generale la divisione tra Est e Ovest europei. Il giovane Poongsan è esperto proprio nel fare ciò che gli agenti del Nord e del Sud non vogliono: far passare clandestinamente persone e comunicazioni attraverso questo varco, penetrare nella cosiddetta zona smilitarizzata e recapitare lettere e registrazioni, mettere in comunicazioni due mondi la cui divisione ha separato, brutalmente, finanche gli affetti. E' ciò che è successo a In-oak e al suo compagno, un disertore nordcoreano che ora lavora per il governo del Sud, e che vorrebbe riunirsi alla donna. Poongsan, dietro compenso, penetra nel territorio del Nord e convince la donna a seguirlo, riuscendo, grazie alla sua straordinaria abilità e conoscenza della zona, ad eludere gli strettissimi controlli. Dai modi rozzi e apparentemente incapace di proferire parola, l'uomo sembra tuttavia esercitare una peculiare attrazione su In-oak, a cui salva anche la vita quando la ragazza, nascondendosi sott'acqua, perde i sensi e smette di respirare. Quando In-oak riesce infine a riabbracciare il suo uomo, questi non può fare a meno di notare i segni che la traversata insieme a Poongsan ha lasciato nel cuore della ragazza; roso dalla gelosia, il disertore decide di consegnare l'uomo ad agenti governativi del Nord, ma Poongsan e In-oak si rivelano legati ormai indissolubilmente l'uno all'altra.
E' un curioso ibrido, questo Poongsan, un po' dramma politico, un po' action movie e un po' atipica love story, scritto e prodotto da un protagonista del cinema sudcoreano degli ultimi anni come Kim Ki-Duk. Il film di Juhn Jaihong, in effetti, mostra chiaramente il tocco dell'autore di Ferro 3 - La casa vuota, film, quest'ultimo, con cui condivide il tema di un amore illogico e avversato, e i cui protagonisti mostrano più di un punto di contatto con quelli della pellicola di Juhn. L'ostinato silenzio del protagonista, il suo modo di fare rozzo ed enigmatico, il singolare magnetismo che emana e la love story in cui si trova, suo malgrado (e malgrado la volontà della stessa ragazza) coinvolto, rimandano con forza alla poetica di Kim, al suo modo di delineare i personaggi, all'inscindibile legame tra amore e violenza che ha sempre caratterizzato il suo cinema. Tuttavia, se fosse stato diretto da Kim Ki-Duk, questo Poongsan sarebbe stato sicuramente tutt'altro film: la regia di Juhn si rivela lontana anni luce dalla dilatazione dei tempi e dall'estetica contemplativa proprie dei film di Kim, e la componente da action movie che il regista ha voluto dare alla pellicola viene sovente alla ribalta nei suoi 121 minuti di durata: con un intreccio complesso che comprende tradimenti e ribaltamenti d'ottica, brutali scene di tortura (con protagonisti esponenti di entrambi i governi) e persino un finale da revenge movie, con una soluzione certo originale e non priva di efficacia drammatica. Quello che non funziona completamente, in un film pensato come prodotto low budget ma che si è rivelato, in patria, un inaspettato successo, è l'equilibrio non sempre perfetto tra l'aura autoriale, il modo di trattare i temi dell'amore e della morte, degli affetti e della loro perdita, che denunciano chiaramente l'influenza dello sceneggiatore e produttore, e la messa in scena di tipo classico, a tratti quasi occidentale: una mescolanza che conferisce al film un ritmo diseguale e poco organico. Non sembra trovarsi perfettamente a suo agio, Juhn, con due personaggi così chiaramente "alla Kim Ki-Duk", e preferisce fin dalle prime battute portare il film sui binari di un classico action movie sudcoreano, che non manca tuttavia di qualche lungaggine e momento di stanca. Se, verso i minuti finali, Poongsan sembra trovare un suo tono e una sua "anima", con un riuscitissimo prefinale che colpisce per ferocia e cinismo (prima di un finale catartico e abbastanza esplicito nel suo assunto) il film arriva a questo risultato un po' per singulti, a volte annoiando, più spesso suscitando perplessità per il suo tono incerto: quasi che il regista non fosse del tutto convinto del tipo di storia che voleva raccontare, e di come raccontarla. Un'incertezza che toglie in parte fascino e incisività a un'opera che resta interessante, ma che non riesce a scrollarsi di dosso il peso di una tensione non risolta tra le sue diverse anime.Movieplayer.it
3.0/5