Scarlett è una giovane studentessa di archeologia, che sta portando avanti le ricerche del suo defunto padre legate all'alchimia. L'uomo era convinto della reale esistenza della Pietra Filosofale, un manufatto capace di trasformare tutti i metalli in oro e di conferire la vita eterna; questo sarebbe stato creato, secoli fa, dall'alchimista francese Nicholas Flamel. Quando, durante una spedizione in una caverna iraniana, Scarlett trova la misteriosa Chiave Rosa, una statua su cui sarebbe incisa la reale localizzazione della Pietra, la ragazza vede il sogno di suo padre prossimo a realizzarsi. Giunta a Parigi insieme al suo cameraman di fiducia Benji, insieme al quale sta realizzando un documentario sulla ricerca della Pietra, chiede l'aiuto del suo ex fidanzato Stone per decifrare le iscrizioni trovate in Iran; insieme, i tre realizzano che queste indicano le catacombe poste sotto la capitale francese.
Si rivolgono così a un gruppo di giovani esploratori, che già si erano avventurati nel sottosuolo della città, per farsi guidare attraverso il dedalo di cunicoli, e arrivare così al luogo indicato da Flamel; i ragazzi, pur riluttanti, decidono di aiutarli, nonostante l'esito infausto di una precedente spedizione, che aveva provocato la morte di un loro compagno. L'intera ricerca sarà documentata dalla videocamera di Benji, che Scarlett spera possa rivelare al mondo una scoperta di portata epocale. Le immagini girate da Benji si riveleranno invece documento di un incubo agghiacciante.
L'alchimia ritrovata
Dopo la parentesi di Devil, progetto affidato loro da M. Night Shyamalan, i fratelli John Erick e Drew Dowdle tornano al filone del found footage horror, già da loro sperimentato nei precedenti Quarantena e The Poughkeepsie Tapes. I due, che da circa un decennio lavorano in team (entrambi sceneggiatori, col primo a occuparsi della regia) affrontano stavolta un tema di sempiterno fascino, quello degli studi alchemici, spostandone il setting nel sottosuolo della capitale francese. Ambientazione, quest'ultima, dotata anch'essa di un notevole magnetismo, già frequentata nel passato da cinema e letteratura: il dedalo di tunnel posto nel sottosuolo di Parigi aveva ospitato, ultimo in ordine di tempo, l'horror Catacombs, ma era già stato utilizzato da Victor Hugo per il suo classico I miserabili, nonché descritto in molti saggi.
Curiosità e leggende legate alla Parigi sotterranea, e all'ossario (le Catacombe propriamente dette) che ne è al centro, rendono particolarmente interessante la scelta dello script di ambientarvi un soggetto di matrice orrorifica, nonché di legarlo a un tema come la ricerca della Pietra. Gli appassionati di tematiche alchemiche troveranno in Necropolis - La città dei morti (ma il titolo originale, As Above, So Below, descrive meglio uno dei cardini della storia) dei motivi di interesse che prescindono dal suo valore cinematografico; ma, soprattutto, la ricerca dello straordinario nel quotidiano, la rivelazione dell'altra faccia, quella perturbante, di luoghi già noti e frequentati, collegano il film a una feconda tradizione del genere fantastico. Sotto la realtà di tutti i giorni, se ne cela un'altra sconosciuta, foriera di indicibili segreti. La tecnica del finto documentario porta questo tema direttamente nell'estetica del nuovo millennio.
La credibilità di una scelta
Chi scrive ha, da sempre, i suoi dubbi sulla moda (perché di ciò si tratta) che da The Blair Witch project - Il mistero della strega di Blair in poi ha attanagliato gran parte del cinema di genere, tagliandone trasversalmente i filoni e modificando le basi stesse del racconto cinematografico: il found footage nega lo stato di simil-trance in cui lo spettatore viene indotto, normalmente, di fronte alla visione di un film, sottolineando la natura artefatta (e non è un paradosso) delle immagini proiettate. Considerazioni di estetica più generale a parte, comunque, bisogna dire che in questo Necropolis - La città dei morti c'è un maggiore sforzo di giustificare, sul piano diegetico, la scelta di questa modalità narrativa: la protagonista sta realizzando una ricerca che ritiene destinata a cambiare il volto della scienza, e le sue stesse basi; la scelta di documentarne ogni fase trova una sua, seppur generica, giustificazione nel racconto. Il problema di base di ogni prodotto come questo, inoltre (riassumibile nella domanda "perché, di fronte ad eventi drammatici, l'operatore continua a riprendere?") viene aggirato ponendo la videocamera direttamente sul casco di uno dei personaggi. Soluzione semplice ma efficace; che tuttavia non basta, da sola, a rendere funzionale una scelta di campo forte come quella del found footage. Per rendere credibile quello che viene presentato (al livello del racconto) come documento "autentico", ci vogliono innanzitutto dialoghi e situazioni che siano essi stessi credibili.
Il racconto "da dentro"
E' proprio a livello di sceneggiatura che Necropolis - La città dei morti mostra i suoi principali problemi. Sulla messa in scena di un prodotto come questo, infatti, ci si può esprimere in modo molto relativo, viste le strette maglie del genere che, inevitabilmente, consentono poche libertà al regista. Possiamo sottolineare, comunque, come la claustrofobia dell'ambientazione, unita al suo indiscutibile fascino, renda il film piuttosto efficace a livello puramente visivo; e come le sequenze-shock, centellinate e piazzate nei punti giusti dallo script, insieme ad alcune visioni ed apparizioni (pur a volte decontestualizzate) abbiano il loro impatto. Ciò che invece convince meno, del film dei fratelli Dowdle, è la costruzione della sceneggiatura, che rende davvero ardua, in certi punti, la sospensione dell'incredulità: esempio possono esserne la reazione del gruppo, ai limiti dell'indifferenza, di fronte all'uscita di scena di alcuni personaggi, l'ambiguità sulla reale natura della Pietra, e sulla sua funzionalità, oltre a una gestione approssimativa dello spazio (evidentissima in una delle ultime sequenze, che ovviamente non riveliamo) che non può essere giustificata integralmente dal carattere fantastico dello script. Limiti che in parte inficiano l'efficacia drammaturgica del tutto, considerata anche la scelta di campo che il film fa, che avrebbe richiesto semmai una maggiore attenzione in fase di scrittura.
Conclusioni
Necropolis - La città dei morti si rivela un found footage horror discreto, che ha dalla sua soprattutto il fascino dell'ambientazione e delle tematiche, oltre ad alcune sequenze decisamente riuscite. Come in molti prodotti simili, tuttavia, è l'elemento-credibilità ad essere deficitario, risultato di una sceneggiatura a tratti approssimativa. I cultori del tema, comunque, e più in generale gli appassionati del genere, potranno trovare nel film di Dowdle più di un motivo di interesse.
Movieplayer.it
2.5/5